Yvonne era magra e muscolosa. Indossava calzoncini corti e una T-shirt. I suoi seni erano spinti in alto dal muretto su cui era appoggiata. Eravamo amanti da circa un anno. Scosse la testa dolcemente, mentre William mandava la moto su di giri. Mi appoggiai al muretto, di fianco a lei.
«Hai mai pensato di lasciarlo?» le chiesi.
Lei rifletté, poi mi guardò, abbassandosi gli occhiali sulla punta del naso. «No», rispose.
C’era una nota interrogativa nella sua voce: mi stava implicitamente chiedendo come mai le avevo fatto una domanda del genere.
Alzai le spalle. «Ero curioso…»
Attese che passasse una famigliola — ogni membro della quale reggeva un gelato —, poi mi disse: «Cameron, non ho nessuna intenzione di lasciare William».
Mi strinsi nuovamente nelle spalle, dispiaciuto per averglielo chiesto. «Come ti ho detto, era pura curiosità.»
«Be’, fattela passare.» Lanciò un’occhiata verso il punto in cui William sobbalzava entusiasta tra le onde, restando miracolosamente in piedi. Allungò una mano e mi sfiorò un braccio. «Cameron», disse, in tono dolce, «tu sei la parte eccitante della mia vita. Mi fai cose che William non riuscirebbe neppure a immaginare. Lui, però, è mio marito, e, anche se ogni tanto deviamo dalla retta via, saremo per sempre una coppia.» Socchiuse gli occhi e aggiunse: «…probabilmente». Guardò William che stava eseguendo una curva lenta: era un po’ instabile, ma ancora in piedi. «Voglio dire, se mai mi attaccasse l’AIDS, gli farei una cravatta colombiana, ma…»
«Ah!» esclamai. Una volta avevo visto una foto che ritraeva appunto quello: ti tagliano la gola e poi ti tirano fuori la lingua dal taglio. È sorprendentemente grossa, la lingua umana. «Gliel’hai detto?»
Lei rise. «Sì. Ha detto che, se lo lasciassi, chiederebbe la custodia della Mercedes.»
Mi voltai per lanciare un’occhiata alla Mercedes 300, appena sporca di fango, parcheggiata di fianco al marciapiede; attirava l’attenzione di tutti quelli che passavano. Poi guardai Yvonne come se la stessi valutando.
«Be’, mi sembra giusto», commentai infine, alzando le spalle, continuando a osservare il fiume e a bere la birra. Lei mi diede un calcio sul ginocchio.
Più tardi, mentre stavamo aiutando William a tirare la moto fuori dell’acqua, arrivarono alcuni tipi molto rumorosi; portavano tutti giubbotti di pelle nera con il logo della BMW e avevano una Range Rover nera fiammante nonché un grosso motoscafo. Pretendevano che tutti i presenti, occupati a tirare in secco le imbarcazioni, si togliessero dai piedi perché loro volevano mettere in acqua la loro barca. Il grosso motoscafo a tre motori bloccava l’accesso e, quando la gente chiese di spostarlo, i nuovi venuti cominciarono a protestare. Uno di loro sostenne persino che avevano prenotato la rampa.
Tutto rimase bloccato per almeno dieci minuti. Riuscimmo a caricare la moto sul carrello, ma la Mercedes di William era una delle macchine sulla rampa; lui cercò di far ragionare i nuovi venuti, poi si sedette in macchina e mise il broncio. Yvonne sembrava furiosa, ma si controllò e annunciò che andava alla baracca del Servizio di salvataggio a comprare qualche souvenir o qualcosa del genere.
«Quando non sai cosa fare, fai shopping», ci disse, sbattendo la portiera della macchina.
William rimase seduto al volante, con le labbra serrate, seguendo gli sviluppi della discussione nello specchietto retrovisore. «Bastardi», sibilò. «La gente come quella se ne frega di tutti.»
«Bisognerebbe spararle», confermai, pensando di scendere a fumarmi una sigaretta (era proibito fumare sulla Mercedes con gli interni in pelle color champagne).
«Già», fece William, stringendo il volante. «La gente sarebbe un po’ più educata se tutti andassero in giro con una pistola.»
Lo guardai.
Dopo un po’ di confusione e molti insulti la faccenda si concluse; i tizi con i giubbotti di pelle spostarono in avanti la barca in modo che le macchine e i carrelli avessero lo spazio sufficiente per uscire sulla strada. Facemmo salire Yvonne in cima alla rampa, vicino alla baracca del Servizio di salvataggio dove vendevano souvenir per finanziare il corpo.
Non sembrava avesse comprato molto. «Ecco», annunciò, salendo in macchina, e mi gettò una scatola di fiammiferi.
La fissai. «Uau, sei proprio sicura di volermela regalare?»
Mentre ci allontanavamo dalla rampa, immettendoci sulla strada per Edimburgo, mi voltai a guardare indietro. C’era di nuovo confusione: i tizi con i giubbotti neri stavano gesticolando, tutti esagitati, e indicavano i pneumatici di un lato del carrello su cui si trovava il grande motoscafo, che sembrava pendere leggermente da quella parte. Pareva proprio che la situazione si stesse facendo incandescente, ma poi entrammo nel bosco e non vedemmo più nulla. Tuttavia ero sicuro di aver visto volare qualche pugno.
Mi voltai e scorsi Yvonne che, ridendo, stava guardando nella stessa direzione. Improvvisamente assunse un’aria innocente e si mise a osservare la strada, canticchiando.
Mi venne in mente quella volta in cui Andy e io avevamo sgonfiato tutte e quattro le gomme della macchina di suo padre, infilando nelle valvole dei pneumatici alcuni fiammiferi piegati a metà. Aprii la scatola che Yvonne mi aveva dato, ma era difficile dire se ne mancassero un paio oppure no.
«Sembra che abbiano dei problemi con il carrello, laggiù», dissi.
«Bene», fece William.
«Probabilmente hanno forato», sospirò Yvonne. Poi lanciò un’occhiata a William. «Su questa macchina abbiamo valvole di sicurezza nei pneumatici, vero?»
William è in un bosco, nei dintorni di Edimburgo — da lì si vede quasi la nuova casa, sua e di Yvonne — e ha in mano una pistola che spara proiettili di vernice. È un’altra di quelle stupide battaglie (cui si partecipa a malincuore, ma che a volte riescono a essere divertenti, anche se in modo infantile): i ragazzi e le ragazze della sua azienda di computer contro le truppe speciali della redazione del Caledonian. La mia pistola s’inceppa, William mi riconosce e si lancia in avanti, ridendo come un matto e sparandomi a ripetizione mentre gesticolo e cerco di schivare i colpi. I proiettili di vernice gialla m’imbrattano la tuta mimetica presa a nolo e il visore dell’elmetto; continuo a fargli segno con le mani e cerco di far funzionare ’sta dannatissima pistola mentre lui viene avanti, lento e implacabile, e continua a spararmi. Quel bastardo ha una pistola sua e probabilmente l’ha fatta truccare: conoscendo William non ci sarebbe da meravigliarsi. Splat! Splat! Splat! Lui viene sempre più vicino e io penso: Cristo, che sappia di me e di Yvonne? Se l’è immaginato, qualcuno gliel’ha detto? È per questo che continua a spararmi?
Anche se il motivo fosse diverso, la situazione rimane comunque seccante; desidero con tutto me stesso colpire quel bastardo, perché, prima di cominciare, abbiamo avuto una stupida discussione sui lati positivi dell’avidità. A William non è piaciuto come l’argomento è stato affrontato da Michael Douglas/Gordon Gekko in Wall Street.
«Ma certo che l’avidità è positiva!» aveva esclamato William, brandendo la pistola. «È così che si misura il grado di capacità di sopravvivenza, oggigiorno.» Ci stavano mostrando il campo di battaglia, indicandoci le barricate di tronchi, i pennoni e altre cose del genere. «È naturale», aveva insistito. «È l’evoluzione. Quando vivevamo ancora nelle caverne, uscivamo a caccia e chi ritornava con un mammut mangiava la carne migliore e si scopava le donne, e tutto ciò era positivo per la razza umana. Ormai la questione è in termini un po’ più astratti — usiamo il denaro invece degli animali —, ma il principio è lo stesso.»
«Ma non erano gli individui che cacciavano gli animali, è esattamente questo il punto», avevo replicato. «Era tutto basato sulla cooperazione. La gente lavorava insieme, raggiungeva insieme il risultato e si divideva le prede.»