Tossisco di nuovo e guardo le piastrelle del pavimento.
«Questa potrebbe essere la tua ultima occasione, Cameron», mormora.
Faccio un respiro profondo.
«Se ti viene in mente qualcuno, Cameron, dimmi il nome», ribadisce McDunn. «Probabilmente sarà facile eliminarlo dall’inchiesta; non intendiamo incastrare nessuno, né metterlo in difficoltà o andarci giù duri.»
Lo fisso, non del tutto convinto. Stringo il volto tra le mani. Prendo un’altra boccata dalla sigaretta. Mi tremano di nuovo le dita. McDunn prosegue. «C’erano, e ci sono, persone che lavorano a questo caso; agenti bravi, entusiasti, motivati… Ora come ora, invece, l’unica cosa da cui sono motivati è farti accusare dei delitti e sbatterti in galera. Da parte mia, ho convinto quelli in alto che sono l’uomo migliore per lavorare a questo caso e per chiarire la faccenda, ma mi sento come l’allenatore di una squadra di calcio, Cameron: possono sostituirmi in qualsiasi momento e valgo esattamente quanto i risultati che riesco a ottenere. E siccome non sto ottenendo un bel niente, potrebbero rimuovermi anche subito. Credimi, Cameron, sono l’unico amico che hai, qui dentro.»
Scuoto la testa. Ho paura a parlare perché temo di scoppiare a piangere.
«Nomi. Un nome. Qualsiasi cosa che possa salvarti, Cameron», riprende McDunn, paziente. «C’è qualcuno che ti è venuto in mente?»
Mi sento come un operaio della Russia stalinista che denuncia i suoi compagni, però dico: «Be’, ho pensato a un paio di miei amici…» Guardo McDunn per capire come sto andando. Ha la fronte aggrottata, l’aria inquieta.
«Sì?»
«William Sorrell e… be’, sembra stupido, ma… sua moglie, hmm, Yvo…»
«Yvonne», conclude McDunn, annuendo lentamente e appoggiandosi allo schienale della sedia. Si accende una sigaretta. Ha l’aria triste. Fa ruotare il pacchetto di sigarette sul tavolo.
Non so cosa penso, né cosa provo. Anzi, sì, provo un forte senso di nausea.
«Hai una relazione con Yvonne Sorrell?» chiede McDunn.
Lo guardo. Non so davvero cosa rispondere.
Fa un gesto con una mano. «Be’, per ora non ha importanza. Tuttavia abbiamo già controllato i movimenti del signore e della signora Sorrell. Con discrezione, dopo che abbiamo saputo che erano tuoi amici.» Sorride. «Non si può scartare a priori la possibilità che si tratti di più di una persona, Cameron, specialmente quando i crimini sono così sparpagliati su un territorio talmente vasto, e sono complicati come questi.»
Annuisco. Hanno controllato. Hanno controllato i movimenti. Mi chiedo cosa intenda con «discrezione». Ho voglia di piangere perché penso che sto ammettendo con me stesso che, comunque vada a finire, la vita non sarà mai più la stessa.
«È venuto fuori», riprende McDunn, sempre giocherellando con il pacchetto di sigarette, «che, benché entrambi siano spesso lontani da casa, i loro movimenti sono molto ben documentati. Sappiamo che cosa stavano facendo quando hanno avuto luogo le aggressioni.»
Annuisco di nuovo, e mi sento come se mi avessero strappato le budella. Li ho denunciati, e senza uno scopo.
«Ho pensato ad Andy», dico, rivolto al pavimento, evitando d’incontrare gli occhi di McDunn. «Andy Gould», chiarisco, perché, a parte tutto, Andy e io siamo stati insieme durante l’estate, più o meno nel periodo in cui è sparito il biglietto con i miei appunti. «Ho pensato che potrebbe essere stato lui, ma è morto.»
«Il funerale è domani», m’informa McDunn, facendo cadere la cenere e osservando la punta incandescente della sigaretta. La gira sul bordo del leggero posacenere di metallo finché l’estremità della sigaretta non è un cono perfetto, poi prende una boccata. La mia cenere cade sul pavimento. La schiaccio con il piede e la riduco a nulla.
Dio mio, che voglia di un po’ di droga! Avrei bisogno di rilassarmi, di calmarmi. Sto quasi aspettando con ansia la prigione. C’è un sacco di droga, là dentro, sempre che mi sia concesso di mescolarmi con gli altri detenuti. E sta per succedere, Cristo. Lo sto già accettando, sto scendendo a patti con la cosa. Cristo!
«Domani?» ripeto, deglutendo. Sto cercando di non piangere e di non tossire, perché anche quello potrebbe farmi piangere.
«Sì», conferma McDunn, facendo cadere dell’altra cenere con cura. «Lo seppelliscono domani, nella tenuta di famiglia. Come hai detto che si chiama?»
«Strathspeld», dico. Lo fisso, ma non saprei dire se aveva veramente dimenticato il nome oppure no.
«Strathspeld», ripete, e annuisce. «Strathspeld.» Si rigira la parola in bocca come se stesse assaporando un buon whisky di malto. «Strathspeld, sul Carse of Speld.» Aspira aria attraverso i denti. Vorrei tanto che se li facesse vedere, quei denti. Ci saranno dentisti speciali per i poliziotti, oppure questi dovranno andare da quelli da cui vanno tutti, sperando che il dentista non nutra… non nutra rancore contro…?
Un momento.
Oh, cazzo! Aspetta un momento.
Lo so!
È come se mi fosse entrato nell’occhio un minuscolo granello di polvere e, alzando lo sguardo per vedere da dove proveniva, mi fosse crollata addosso una tonnellata di mattoni. Ecco, qualcosa di altrettanto devastante. Rimango in silenzio per un secondo, pensando: «No, non può essere…» Invece è proprio così. Non si scappa, e io lo so. Lo so.
Lo so, e mi sento male… Comunque è già un bene sentirsi così sicuri a proposito di qualcosa. Non posso provare niente e ancora non ho tutto chiaro, ma so, e so che devo andare là, devo andare a Strathspeld. Potrei semplicemente chiedere che ci andassero loro, che andassero a controllare, a vigilare, perché è destino che lui si trovi là, deve essere là, proprio là. Ma non posso permettere che succeda così e, che lo prendano o no (e dubito che ci riusciranno), devo esserci.
Mi schiarisco la gola, guardo McDunn negli occhi e gli dico: «Va bene. Altri due nomi». Faccio una pausa, deglutisco, è come se avessi qualcosa in gola. Cristo, devo proprio dirlo? Sì. «E c’è anche un’altra cosa.»
McDunn inclina la testa di lato e inarca le sopracciglia.
Faccio un respiro profondo. «Però voglio qualcosa da voi.»
McDunn aggrotta la fronte. «E che cosa sarebbe, Cameron?»
«Voglio andare là, domani, al funerale.»
Le rughe sulla fronte si fanno ancora più profonde. Abbassa lo sguardo sul pacchetto di sigarette e gli fa fare un altro paio di giri sul tavolo. Poi scuote la testa. «Sai che non posso farlo, Cameron.»
«Sì, che può», ribatto. «Lo farà, dopo quello che sto per dirle.» Faccio una pausa e un altro respiro, che però mi si blocca in gola. «Ci sarà anche lui.»
McDunn ha un’aria perplessa. «Chi sarebbe ‘lui’, Cameron?»
Il cuore ha preso a battermi all’impazzata, stringo forte i pugni. Deglutisco a fatica, ho la gola arida. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e finalmente riesco a tirare fuori le parole.
«Un cadavere.»
CARSE OF SPELD
Sto correndo giù per la collina, entro nella valletta illuminata dal sole e risalgo lungo l’altro versante con Andy che m’insegue, calpestando arbusti, cespugli d’erica e felci. Scuoto la mano per liberarla dal suo seme e, mentre corro, lascio che sfreghi contro le foglie e contro l’erba per pulirla del tutto. Sto ridendo. Ride pure Andy, ma mi sta anche gridando dietro insulti e minacce.
Corro su per la collina, intravedo qualcosa che si muove davanti a me e penso che sia un uccello, un coniglio o qualche altro animale, e quasi vado a sbattere contro un uomo.
Mi fermo di colpo. Sento Andy che sale dietro di me, gridando e travolgendo cespugli.
L’uomo indossa scarponi, calzoni di velluto a coste marroni, camicia, e giacca a vento verde. Sulle spalle porta uno zaino marrone. Ha i capelli rossi e sembra furioso.
«Cosa credevate di fare, ragazzi?»