Sul bancone ci sono alcuni pezzi di carne, non di pesce. Riconosco un fegato — color cioccolato e dall’apparenza setosa — reni che sembrano funghi scuri e grotteschi, probabilmente un cuore e vari altri tagli di carne, bistecche, cubi e fette. Al centro del bancone c’è un grosso cervello, di un colore grigio-crema.
«Buon Dio!» esclama McDunn con un sussurro. È strano, però sono queste parole a farmi venire i brividi, e non quello che vedo adesso, dopo la prima fugace immagine alla luce dei fari del taxi.
Torno a posare gli occhi sull’esposizione ordinata e pulita, quasi senza sangue. Immagino che persino un lettore del Sun capirebbe che non si tratta affatto di pesce; sono quasi certo che siano resti umani, ma, come se fossero stati messi lì per fugare ogni dubbio, nella parte centrale del bancone, verso il basso, scorgo i genitali di un uomo: un pene non circonciso, piccolo, avvizzito e di un colore grigiastro tendente al giallo; lo scroto raggrinzito e marrone rosato, con i due testicoli tirati fuori, uno per parte, due cosette grigie a forma di uova, simili a due lisci cervelli in miniatura, collegati al sacco scrotale da minuscoli tubicini perlacei tutti ritorti, cosicché l’effetto finale ricorda piuttosto due ovaie unite a un ventre.
«Chi sarà, Halziel o Lingary?» dice McDunn, con voce roca.
Alzo gli occhi verso l’insegna. PESCE.
Sospiro. «È il medico», mormoro. «Il dottor Halziel.» Comincio di nuovo a tossire.
Le luci dietro di noi lampeggiano, proprio mentre sto per chiedergli un’altra sigaretta. La macchina attraversa veloce la strada e si ferma vicino a noi, con il muso rivolto verso la West Port. Il finestrino del passeggero si apre nuovamente.
«Ne abbiamo trovato uno, signore», dice Flavell. «Al North Bridge.»
«Oh, Dio mio», geme McDunn, portandosi la mano libera alla nuca. Accenna con la testa all’altra macchina, ferma più in giù lungo la strada. «Fate venire qui quei ragazzi. L’altro è qui dentro, nella pescheria, fatto a pezzi.» Si volta verso di me. «Andiamo», dice, del tutto inutilmente, visto che siamo ammanettati insieme.
In macchina, mi toglie le manette e se le infila in tasca senza fare commenti.
E così andiamo al North Bridge. Inclinato sopra i marciapiedi e i tetti di vetro della Waverley Station, pitturato di fresco, illuminato a giorno, legame tra la città vecchia e quella nuova, a un tiro dalla sede del Caley.
Quando arriviamo, ci sono già due macchine della polizia. Sono ferme vicino alla parte più alta del ponte, sul lato occidentale, da dove si gode una bella vista della stazione, dei Princes Street Gardens e del castello.
Qui il parapetto decorato del ponte regge un paio di grossi plinti, uno per lato. Quello verso est, da dove si vedono i Salisbury Crags e la campagna del Lothian fino all’imbuto del Firth of Forth a Musselburgh, sostiene un monumento ai King’s Own Scottish Borderers, un gruppo in pietra che raffigura quattro giganteschi soldati. Un plinto praticamente uguale si trova sul lato opposto, dove ora sono ferme le macchine della polizia, con le luci lampeggianti blu che illuminano a intermittenza i pannelli verniciati di fresco del parapetto e la pietra chiara e sporca del plinto. Fino a ora, la sommità di questo plinto è stata inutilizzata, se non per ospitare un cono stradale che qualche spiritoso aveva tolto dalla carreggiata o per fungere da piattaforma a qualche impavido tifoso di rugby deciso a dare una dimostrazione pratica di pisciata dall’alto.
Questa notte, però, ricopre un altro ruolo: è il palcoscenico per la scenografia creata da Andy per il maggiore Lingary, vestito in alta uniforme, ma con le mostrine strappate e la spada spezzata e posta di fianco a lui.
È stato ucciso con due colpi di arma da fuoco alla nuca.
McDunn e io rimaniamo a fissarlo per un po’.
La mattina, a Chambers Street, mi danno una colazione abbastanza decente e mi restituiscono i vestiti. Ho passato il resto della notte nella stessa cella, ma questa volta la porta non era chiusa a chiave. Renderò alcune deposizioni e poi mi lasceranno andare.
La stanza degli interrogatori, qui a Chambers Street, è più piccola e più vecchia di quella di Paddington Green: pareti dipinte di verde, pavimento di linoleum. Sto diventando un esperto di stanze per gli interrogatori, e questa decisamente non merita neppure una misera stella.
Prima arriva un ispettore del Tayside: vuole che gli racconti tutta la storia dell’uomo del bosco che poi è diventato l’uomo del tunnel. Si chiamava Gerald Rudd; era sulla lista delle persone scomparse da vent’anni, si pensava che fosse scomparso durante un’escursione sulle Grampian Mountains e (ironia della sorte) era davvero un poliziotto, anche se solo part-time, una specie di agente volontario. Rivestiva anche la carica di capo scout di Glasgow, ed era già stato indagato per aver molestato un boy scout.
Alle undici ci beviamo un caffè — mandano persino qualcuno a prendermi un pacchetto di sigarette — poi un’altra deposizione, punteggiata dai miei colpi di tosse, a un paio d’ispettori della polizia del Lothian: tutto quello che so a proposito di Halziel e di Lingary.
La notte scorsa non hanno trovato granché. La messa in scena nella pescheria si era rivelata ancora più bizzarra — Andy aveva usato le dita del dottore per formare la scritta BALLA sul banco (la B gli aveva creato qualche problema) — e qualcuno aveva visto una Escort bianca allontanarsi dal plinto sul North Bridge poco prima che il corpo di Lingary venisse scoperto. Più tardi, la macchina era stata trovata abbandonata sul Leith Walk. Stanno prendendo le impronte nella pescheria e sulla macchina, ma credo che non troveranno nulla.
Verso le dodici e mezzo arriva McDunn in compagnia di un altro poliziotto in borghese. Me lo presenta. È l’ispettore Burall, della polizia del Lothian. Tratterranno il mio passaporto e comunque desiderano che li informi dei miei spostamenti, in caso che il pubblico ministero decida di procedere a qualche incriminazione per il caso Rudd. Devo firmare per il passaporto. Sto tossendo come un matto.
«Andrei a farmi vedere da un dottore per quella tosse», dice McDunn, preoccupato. Annuisco, con gli occhi pieni di lacrime per il gran tossire.
«Sì», rispondo con un sibilo, «è una buona idea.» Magari dopo una bella passeggiata e qualche birra, penso.
«Signor Colley», interviene il poliziotto del Lothian. È un tizio dall’espressione seria, un po’ più vecchio di me, molto pallido e con una calvizie incipiente. «Sono certo che lei comprenderà che siamo preoccupati del fatto che Andrew Gould si trovi ancora in città, specialmente ora che sta per cominciare l’Eurosummit. L’ispettore McDunn è convinto che Andrew Gould potrebbe cercare di mettersi in contatto con lei, e persino tentare di aggredirla o di rapirla.»
Guardo McDunn che sta annuendo, con la bocca serrata. Devo ammettere che l’idea che Andy potesse venire a farmi una visitina era passata per la testa anche a me, dopo quel BALLA. Burall prosegue: «Vorremmo chiederle il permesso di mettere un paio di agenti nel suo appartamento per un po’, signor Colley. La sistemeremmo in un albergo, se per lei va bene».
McDunn aspira aria tra i denti; adesso, a sentire quel rumore, mi viene quasi da ridere. Invece, attacco a tossire.
«Ti consiglierei di dire di sì, Cameron», fa McDunn, fissandomi con aria molto seria. «Certo, prima vorrai passare a prendere le tue cose, ma…»
Si spalanca la porta, un agente in uniforme si precipita dentro, mi lancia un’occhiata e sussurra qualcosa all’orecchio di McDunn. McDunn mi fissa.
«Che tipo di regalo potrebbe lasciare per te a Torphin Dale?»