«Torphin Dale?» ripeto. Mi torna la nausea. Oh, Cristo, Cristo, Cristo! È come se mi avessero mollato un calcio nelle palle. Devo farmi forza per costringere la bocca a funzionare. «È dove vivono William e Yvonne. I Sorrell.»
Per un attimo, McDunn rimane in silenzio. «L’indirizzo?» chiede poi.
«Baberton Drive, al numero quattro», rispondo.
Guarda il poliziotto in uniforme. «Hai capito?»
«Sissignore.»
«Manda subito qualche macchina sul posto, e fanne preparare una per noi.» Si alza e fa un cenno con la testa a Burall e a me. «Andiamo.»
Mi alzo anch’io, ma le gambe non mi obbediscono docilmente. Usciamo in fretta dalla stazione di polizia, in un pomeriggio freddo e splendente. Un autista in uniforme ci precede, infilandosi la giacca e aprendo con il telecomando le porte di un’auto civetta, una Cavalier.
Un regalo per me, a Torphin Dale. Oh, buon Dio, no!
«E dai! Togliti di mezzo!»
«Su, Cameron», dice McDunn.
Burall riattacca il microtelefono della radio. McDunn mi ha chiesto il numero di telefono di William e Yvonne. Lo stanno chiamando da Chambers Street; se trovano qualcuno, ci avvertiranno.
«Su!» esclamo tra i denti, desiderando che la strada si svuoti davanti a noi.
L’autista sta facendo del suo meglio: ha inserito la sirena e il lampeggiatore, stiamo zigzagando nel traffico e anche correndo qualche rischio, ma ci sono davvero troppe auto. Cosa ci fa tutta questa gente per la strada? Perché non è al lavoro, o a casa, perché non usa i trasporti pubblici? Ma non sono capaci di camminare, ’sti bastardi?
Alla barriera passiamo con il rosso pieno e la sirena che urla, bloccando il traffico in tutte le direzioni; imbocchiamo la corsia che svolta a destra e sale per Home Street, evitiamo per un pelo un’anziana signora sulle strisce pedonali all’incrocio con la Bruntsfield e ci gettiamo lungo Colinton Road, dove il traffico sembra meno intenso. La radio borbotta qualcosa; mi chino in avanti cercando di capire. Un’autopattuglia è arrivata alla casa, ma pare non ci sia nessuno. Mi fanno male le mani. Guardo in basso e vedo che sono strette a pugno, con i tendini dei polsi visibili per lo sforzo. Mi appoggio allo schienale e vengo sbattuto di lato quando l’autista sterza di colpo per evitare una macchina che sbuca all’improvviso da una traversa. La radio ci annuncia che le porte del garage della casa sono aperte. Ma alla porta non risponde nessuno.
Sfrecciamo attraverso la tangenziale. Me ne sto appoggiato allo schienale, fissando il contorno del tetto della macchina, tossendo con gli occhi pieni di lacrime. Oh, Cristo, Andy, ti prego, no.
Entriamo nel complesso residenziale di Torphin Dale passando tra gli alti pilastri di arenaria del cancello della vecchia tenuta; su Baberton Drive tutto è esattamente come me lo ricordavo, a parte le macchine della polizia ferme sul vialetto che sale dal cul-de-sac fino alla casa. Le tre porte basculanti del garage sono alzate. Non so perché, ma questo particolare mi fa venire un brutto presentimento.
La Mercedes di William c’è; la BMW 325 di Yvonne, no.
Ci fermiamo sul vialetto. Ci metto un secondo per ricordarmi che non sono più ammanettato a nessuno. L’autista rimane a bordo della Cavalier, e continua a parlare alla radio.
Un agente in uniforme è fermo davanti al portone. Quando c’individua, ci viene incontro.
«Non risponde nessuno, signore. Non abbiamo ancora guardato all’interno. Il mio compagno sta facendo il giro della casa, per controllare il giardino.»
«C’è una porta che collega il garage con il resto della casa?» chiede McDunn.
«Pare di sì, signore.»
McDunn si gira verso di me. «Tu conosci questa gente, Cameron. Hanno l’abitudine di lasciare la casa incustodita?»
Scuoto la testa. «No, sono piuttosto attenti alla sicurezza.»
McDunn aspira aria tra i denti.
Entriamo, passando sotto il portellone sollevato. Dentro c’è la roba che ci si aspetta di trovare nel garage di uno sporco arricchito: scatole da imballaggio, attrezzatura per il golf, la moto d’acqua sul suo carrello, un banco da lavoro, una griglia con appesi in ordine perfetto attrezzi per l’auto e per il giardinaggio (per la maggior parte mai usati e lucidissimi), un paio di borse per scarponi da sci e custodie per sci appoggiate al muro, un elettrodomestico per la pulizia a vapore, una piccola falciatrice che sembra un trattore in miniatura, un grosso bidone nero con le ruote e due mountain bike. Il garage a tre posti è enorme, ma risulta comunque stipato. Se ci fosse anche la macchina di Yvonne, starebbe proprio a tappo.
McDunn bussa alla porta di comunicazione tra il garage e il resto della casa. Aggrotta la fronte, poi si gira verso Burall. «Abbiamo guanti usa e getta?»
«In macchina», risponde Burall e torna veloce verso la Cavalier.
«Tu sei già stato qui, non è vero, Cameron?» chiede McDunn.
«Sì», rispondo, tossendo.
«Bene. Allora ci farai da guida, d’accordo?»
Annuisco. Burall torna con una manciata di guanti di plastica, tipo quelli che si comprano alle stazioni di servizio per trafficare intorno al motore. Li indossiamo tutti, me compreso. McDunn apre la porta ed entriamo nel ripostiglio. Non c’è niente; idem in cucina.
Ci sparpagliamo per la casa. Rimango con McDunn. Attraversiamo il salone, guardando dietro le tende e i divani, sotto i tavoli, persino sotto la cappa del caminetto posto al centro del salone. Poi andiamo di sopra. Controlliamo una delle camere da letto sul retro. L’agente che ha fatto il giro del giardino sul retro, e che ora sta tornando verso la casa, ci vede e allarga le mani, come a dire che non ha trovato niente.
McDunn ispeziona i cassetti alloggiati nella base del divano letto. Guardo dentro l’armadio a muro, facendo scivolare di lato la mia immagine riflessa nello specchio, con il cuore in gola.
Vestiti. Soltanto vestiti, cappelli e qualche scatola.
Passiamo nella camera da letto padronale. Cerco di non pensare a quello che Yvonne e io abbiamo fatto l’ultima volta che sono stato qui. Avverto di nuovo quel rombo nelle orecchie, ho i sudori freddi e mi sembra di essere sul punto di crollare a terra. Provo una sensazione strana; mi sembra di profanare un luogo sacro mentre, insieme con l’ispettore, frugo nell’opulenta e lussuosa privacy domestica della casa di William e Yvonne, in loro assenza.
Esamino lo spogliatoio; McDunn controlla sotto il letto, e poi fuori, sul balcone. Apro gli armadi dello spogliatoio. Un sacco di vestiti. Li scosto con mani tremanti.
Niente. Richiudo le ante a specchio. Vado verso il bagno. Poso una mano sulla maniglia: mentre apro la porta, dal locale esce una luce pallida, color pastello.
«Cameron?» chiama McDunn dalla camera da letto. Vado verso di lui, senza far rumore, lasciando la porta semiaperta. Sta guardando fuori della finestra, poi si gira verso di me e fa un cenno con la testa. «Sta arrivando una macchina.»
Vado alla finestra. È una BMW 325 rossa. La macchina di Yvonne.
È come se la macchina, una volta giunta davanti al vialetto, esitasse nel vedere l’autopattuglia e la Cavalier parcheggiate davanti al garage.
Poi si ferma all’imboccatura del vialetto, sull’altro lato della strada, bloccando la nostra auto, ma lasciandosi la possibilità di ripartire velocemente. McDunn osserva la scena insospettito; io, però, mi sento sollevato. Se Andy era qui, ormai se n’è andato da tempo. Questa è una mossa da Yvonne.
E infatti è lei. Buon Dio, è lei, è lei, è lei! Scende dalla macchina con in mano una grossa torcia nera, lunga mezzo metro, e un’espressione corrucciata sul volto. Indossa un paio di jeans e una giacca di pelle sopra una felpa. Si è di nuovo tagliata i capelli. Il volto dai lineamenti fini e aguzzi è perfettamente truccato e ha un’espressione aggressiva e sospettosa. È bellissima.