Il piccolo motoscafo gira intorno all’isola bassa, coperta da rocce scure e da rovi, con qualche albero qui e là, soprattutto frassini e betulle. Tra i cespugli e gli alberi s’intravedono muri grigio-neri, costruzioni diroccate senza tetto, monumenti funebri e pietre tombali inclinate, il tutto assediato da un mare di felci tendenti al fulvo e di erba ingiallita coperta dalle foglie marroni cadute dagli alberi. Un cielo grigio piombo incombe su di noi.
In questo punto — tra le colline basse e spoglie in prossimità del mare — il Loch Bruc si restringe fino a un centinaio di metri di larghezza e la piccola isola-cimitero occupa quasi per intero questo restringimento del lago.
William avvia il motore, e il motoscafo parte, impennandosi verso la piccola rampa che scende nell’acqua calma e scura. Le pietre della gettata sembrano molto vecchie. Sono di misura irregolare, quasi tutte molto grandi; alla superficie estremamente liscia e levigata sono attaccati anelli di ferro consumati dal tempo, sistemati in piccole cavità circolari. Sulla spiaggia alle nostre spalle c’è una rampa identica, proprio in fondo a un sentiero che passa tra gli alberi e i prati infestati da erbacce.
«Eilean Dubh, l’isola oscura», annuncia William, lasciando che la barca, trascinata dalla corrente, si avvicini alla rampa. «L’antico luogo di sepoltura della mia famiglia… da parte di madre.» Si volta verso le colline che digradano dolcemente verso il lago e le montagne, più alte e più ripide, a nord. «Questo posto apparteneva quasi interamente a loro.»
«Prima o dopo la cacciata dei contadini?» chiedo.
«Prima e dopo», risponde lui, ridendo.
Andy beve un sorso di whisky dalla fiaschetta. Me ne offre un po’; accetto. Andy fa schioccare le labbra e si guarda intorno, dà l’impressione che stia assaporando il silenzio. «Bel posto.»
«Per un cimitero», completa Yvonne. Ha l’aria corrucciata e infreddolita, sebbene abbia indosso il piumino e i guanti di Goretex.
«Ma sì», intervengo, imitando l’accento americano. «È piuttosto malinconico come cimitero, non ti pare, Bill, vecchio mio? Non potresti cercare di ravvivarlo un po’? Qualche bel neon sulle tombe, ologrammi parlanti dei defunti e, perché no?, una bella bancarella di fiori, con mazzi molto chic ma rigorosamente di plastica. Un ‘trenino degli spiriti’ per i più piccoli, ‘necroburger’ fatti con vera carne di morto e serviti in vassoietti di polistirolo a forma di bara, e poi giri dell’isola sulla zattera funebre usata in quel film A Venezia… un dicembre rosso shocking.»
«Che combinazione!» esclama William, gettando indietro i capelli biondi e sporgendosi per allontanare la barca dalle pareti di pietra del molo. «Quando ero giovane, organizzavo gite in barca dall’albergo a qui.» Getta un paio di parabordi di plastica oltre il parapetto per proteggere l’imbarcazione, poi sale sul molo, reggendo la cima da ormeggio.
«E i locali la prendevano bene?» chiede Andy, alzandosi per avvicinare la poppa del motoscafo all’attracco.
William si dà una grattatina in testa. «Veramente no.» Assicura la cima a uno degli anelli di ferro. «Un giorno è arrivato un funerale mentre noi stavamo facendo un barbecue. C’è stata un po’ di maretta.»
«Vuoi dire che questo posto è ancora in uso?» chiede Yvonne, accettando la mano che William le porge e facendosi issare sul molo. Poi scuote la testa con aria di disapprovazione e si guarda intorno.
«Be’, sì», ammette William, mentre Andy e io scendiamo dalla barca, un po’ malfermi sulle gambe. Già al nostro risveglio (avvenuto intorno a mezzogiorno, in casa dei genitori di William, che sorge a un’estremità del lago) non eravamo del tutto sobri; durante i venti chilometri sul lago, poi, non abbiamo fatto altro che bere whisky, prima dalla mia fiaschetta, poi dalla sua. «Voglio dire», prosegue, sbattendo le braccia come fossero ali, «ecco il motivo per cui volevo che voi vedeste questo posto. Desidero essere sepolto qui», conclude, rivolgendo un sorriso beato a sua moglie. «E anche tu, Occhioni Blu, se vuoi.»
Yvonne lo fissa a bocca aperta.
«Potremmo farci seppellire insieme», annuncia William, tutto allegro.
Yvonne aggrotta la fronte, assumendo un’espressione severa, e ci passa davanti, diretta verso l’isola. «Vorresti stare sopra tu, come al solito.»
William scoppia in una risata fragorosa, poi diventa serio di colpo; seguiamo Yvonne che si è diretta verso la cappella diroccata. «Volevo dire a fianco a fianco», spiega poi con voce lamentosa.
Andy, intento a riavvitare il tappo della fiaschetta, ridacchia. Ha un’aria patita e sembra ingobbito. Questa gita sulla costa occidentale è stata una mia idea. Mi sono autoinvitato, insieme ad Andy, per un weekend lungo con Yvonne e William nella casa dei genitori di quest’ultimo, e l’ho fatto non tanto per mio divertimento — divento geloso quando sto con Yvonne e William e loro non fanno altro che ridere e scherzare — quanto perché è stata la prima proposta che Andy non abbia immediatamente rifiutato. Clare è morta da sei mesi e, a parte il mese passato a Londra tra un nightclub e l’altro (mese che sembra averlo lasciato ancora più depresso e certamente in peggiori condizioni, sia di salute sia finanziarie), da allora non si è più allontanato da Strathspeld. Ho tentato almeno una dozzina di volte di portarlo via dalla tenuta dei suoi per qualche giorno, ma questa è l’unica gita che abbia suscitato in lui un minimo d’interesse.
Penso che ad Andy piaccia Yvonne e che sia morbosamente affascinato da William. Quest’ultimo ha passato buona parte del viaggio a descriverci la sua politica d’investimenti «non-etici», la quale consiste nell’investire deliberatamente nel commercio di armi, nelle manifatture di tabacco, nelle industrie minerarie e nelle ditte di legname che depredano le foreste tropicali. La sua teoria è semplice: se gli investimenti validi ma eticamente corretti si stanno estinguendo, allora bisogna impegnarsi in quegli investimenti validi ed eticamente rivoltanti che stanno prendendo il loro posto. Mi pareva scontato che William stesse scherzando; Yvonne, dal canto suo, faceva finta di non ascoltare; Andy invece sembrava prenderlo piuttosto sul serio, e, data la reazione compiaciuta di William, mi è venuto il dubbio che, forse, dopotutto, non stesse affatto scherzando.
Camminiamo tra le sepolture risalenti a epoche diverse; alcune hanno solo un paio d’anni, molte risalgono al secolo scorso, altre al XVI e al XVII secolo; altre ancora sono state completamente erose dagli agenti atmosferici, e il testo inciso non è che un’ombra sulla pietra. Certe lapidi sono soltanto lastre piatte, di forma irregolare; se i poveri (impossibilitati a pagare uno scalpellino) avessero saputo scrivere e avessero quindi inciso il nome dei loro cari e le date, allora lettere e numeri non sarebbero probabilmente stati che semplici graffi sulla pietra. Così almeno sembra.
Mi fermo a osservare alcune lastre tombali alte e piatte, piantate verticalmente nel terreno; su di esse sono state incise crude raffigurazioni di scheletri, ma si scorgono anche teschi, falci, clessidre e ossa incrociate. La maggior parte delle tombe è coperta da una triste proliferazione di licheni e di muschi grigi, neri e verdi.
Un paio di lotti familiari, che appartengono ovviamente ai benestanti, sono recintati con muretti bassi: qui ci sono le lapidi più imponenti, di marmo e di granito: se non sono state già ricoperte dai rovi, svettano con una certa fierezza. Posati a fianco delle tombe più recenti scorgo piccoli mazzi di fiori avvolti nel cellophane; di fronte a molte di esse ci sono anche piccoli vasi di granito, riparati da coperchi di metallo forato che li rendono simili a gigantesche saliere; in un paio di vasi s’intravedono alcuni fiori morti e scoloriti.
Le pareti diroccate della cappella arrivano a malapena all’altezza delle spalle. A un’estremità, sotto un muro sormontato da un timpano che ha in cima un’apertura simile a una finestrella (è probabile che un tempo ci fosse appesa una campana), c’è un altare, composto semplicemente da tre lastre di pietra. Posata sull’altare, c’è un’annerita campana di metallo, coperta in vari punti da macchie di ossido verdastro e assicurata con una catena alla parete. Assomiglia molto a un vecchio campanaccio da mucca svizzera.