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Intanto guardi fuori della finestra e vedi un paio di jet militari sfrecciare lontani, sopra il mare. A destra, oltre la ferrovia, osservi la spiaggia che piega verso il promontorio coperto di vegetazione e intravedi il faro, che spunta oltre gli alberi.

Poi scorgi la signora Jamieson che entra dal cancello e risale il sentiero del giardino. Ti abbassi di colpo e ti dirigi velocemente verso la porta e il pianerottolo. Senti la porta d’ingresso che si apre.

La signora Jamieson entra e va in cucina. Ti ricordi che la scala scricchiola. Hai un attimo di esitazione, poi ridiscendi tranquillo, a passi veloci e piuttosto pesanti, fischiettando.

«Murray?» chiama la signora Jamieson dalla cucina. «Murray, non ho visto la macchina…»

Arrivi in fondo alla scala. La testa bianca della signora Jamieson fa capolino da dietro la ringhiera alla tua destra, e si volta verso di te.

Ti giri di scatto, intuendo che lei, sorpresa, sta per reagire. Sai già cosa devi fare e come farlo. La stendi con un pugno. Crolla sul pavimento, con piccoli gemiti nervosi, che ricordano il cinguettio di un uccello. Speri di non averla colpita troppo forte. La trascini per la scala, tenendole una mano premuta contro la bocca.

La immobilizzi contro la base del divano e, usando il manico del coltello Stanley, le cacci in bocca un fazzoletto; poi le infili un paio di collant sopra la testa, glieli leghi intorno al collo e alla bocca e la spingi dentro il vecchio e massiccio armadio della camera da letto padronale, tirando fuori qualche vestito appeso e ammanettandola infine all’asta. La donna piange e si lamenta, ma il bavaglio soffoca ogni suono. Le tiri giù i collant che ha indosso e glieli leghi intorno alle caviglie, al di sopra delle comode scarpe sportive marroni, poi chiudi le ante dell’armadio.

Ti siedi sul divano e togli la maschera, sudato e ansimante. Quando ti sei calmato, rimetti la maschera e apri di nuovo l’anta. La signora Jamieson è in piedi, tremante, gli occhi spalancati e lucidi sotto il velo grigio scuro dei collant. Richiudi l’armadio, tiri le tende della finestra e poi vai a chiudere anche quelle della stanza in cui si trova il letto di ferro.

Suo marito arriva mezz’ora dopo e parcheggia la macchina nel vialetto. Entra dall’ingresso principale. Lo stai aspettando dietro la porta della cucina. Mentre ti passa davanti, tu fai un rumore, lui si volta e tu gli sferri un pugno, mandandolo a sbattere contro un armadietto e provocando così una valanga di piatti decorati con motivi cinesi. Cerca di rialzarsi, e tu lo colpisci di nuovo. Per quanto ti sembri ancora abbastanza in forma, è piuttosto anziano, e sei piuttosto sorpreso del fatto che siano necessari due pugni per stenderlo.

Gli infili in bocca un paio di mutandine di sua moglie e fai con lui lo stesso giochetto dei collant: prima sopra la testa e poi intorno al collo. Quindi lo trascini al piano superiore, nella seconda camera da letto. Dall’odore capisci che ha bevuto. Probabilmente un gin and tonic. Senti anche odore di fumo di sigaretta. Finalmente lo sbatti sul letto di ferro e ti ritrovi ancora tutto sudato.

Lo leghi al letto, a faccia in giù. Sta cominciando a tornare in sé. Una volta che è legato, tiri fuori il coltello Stanley. La giacca a vento leggera che lui aveva in mano è rimasta in cucina. Indossa un maglione blu della Pringle, con un golfista in knickerbocker sul davanti, una camicia a quadri di Mark’s Spencer e una canottiera fine. Gli tagli via i vestiti, e li getti in un angolo. Le calze sono rosso brillante, le mutande, aperte sul davanti, sono bianche. Le scarpe da golf sono bianche e marroni, con molti chiodi, linguette lavorate e stringhe con le nappine.

Ti togli lo zaino. Prendi i cuscini dall’altra stanza e, sollevandolo un poco dal letto, glieli infili sotto la pancia. Il vecchio comincia a mugolare, sputacchia, e cerca di muoversi. Usi un paio di coperte arrotolate per alzargli ancora di più il didietro, poi riprendi lo zaino e cominci a tirare fuori le cose che ti servono. Lui si divincola, come se stesse lottando con un avversario invisibile sotto di lui. Dai rumori che fa sembra sul punto di soffocare, ma non te ne curi. Sviti il tappo del tubetto di crema.

Si sente un rumore secco, simile a un latrato; deve essersi tolto il bavaglio, almeno in parte, perché ora lo senti biascicare: «La smetta! La smetta, le dico!» Non è la voce burbera — tipica dei ricchi che vivono nei dintorni di Londra — che ricordi di aver sentito in televisione; è piuttosto stridula e tesa, però non c’è da stupirsi, date le circostanze. Comunque sembra meno spaventato di quanto ti aspettassi.

«Senta», dice, in un tono più vicino al normale, profondo e deciso. «Non so cosa vuole, ma se lo prenda e se ne vada; non c’è bisogno che faccia questo, non ce n’è davvero bisogno.» Premi il tubetto e metti un po’ di crema sulla punta del vibratore.

«Credo che lei stia facendo un errore», riprende, cercando di voltare la testa per guardarti. «Davvero. Noi non viviamo qui, questa è la casa per le vacanze. L’abbiamo in affitto, non c’è niente di valore, qui.» Si dibatte ancora. T’inginocchi sul letto dietro di lui, dentro alla Y capovolta formata dalle sue gambe scheletriche, coperte di vene varicose. La schiena e le braccia sono percorse da capillari rotti. Le gambe sono grigie e avvizzite, le natiche pallide, quasi giallastre, e la pelle delle cosce, al di sotto del punto in cui gli arriverebbero le mutande, ha un aspetto granuloso e chiazzato. I testicoli penzolano come frutti avvizziti, circondati da peli ispidi e grigi.

Il suo pene sembra leggermente congestionato. Interessante.

Capisce che sei salito sul letto e urla: «Senta! Lei non sa quello che sta facendo. Questa è violazione di domicilio aggravata, giovanotto, lei… Ah!»

Gli hai messo la punta del vibratore unta di crema contro l’ano, rosa-grigiastro, increspato fra le natiche allargate. La crema deve essere fredda. «Cosa…?» urla, mezzo soffocato dal bavaglio. «Fermo! Che crede di fare?»

Cominci a infilargli il fallo di plastica, ruotandolo da una parte all’altra e vedi che la pelle intorno all’ano si tende e diventa bianca, mentre la plastica color avorio scivola dentro; si è formato un sottile orlo di crema.

«Ah! Ah! Fermo! Va bene! Lo so cosa sta facendo! Lo so di che cosa si tratta! E va bene! Quindi lei sa chi sono; ma non è questo il modo di… Ah! Ah! Basta! Va bene! Si è spiegato benissimo! Quelle donne… Senta, va bene, posso anche aver detto cose di cui mi sono pentito, ma lei non c’era! Lei non conosce tutti i fatti! Io, sì. Lei non ha ascoltato tutti gli uomini che erano accusati! Non può essersi formato un’opinione del loro carattere! E neanche delle donne! Ah! Ah! Fermo! La prego! Mi sta facendo male! Mi sta facendo male!»

Hai infilato il vibratore per un terzo, e non è ancora nel punto della massima circonferenza. Spingi più forte, compiaciuto della presa salda grazie ai guanti da chirurgo, e vorresti tanto poter dire qualcosa, ma sai che non puoi. Un vero peccato.

«Ah! Ah! Gesù, per amor del cielo, sta cercando di uccidermi? Senta, ho del denaro, posso… Ah! Maledetto bastardo…» Gli sfuggono un gemito e un peto al contempo. Sei costretto ad allontanare la testa per la puzza, tuttavia continui a spingere dentro il vibratore. Senti i gabbiani che urlano, fuori, oltre le tende tirate.

«Fermo! Basta!» urla. «Questa non è giustizia! Lei non sa nulla di quei casi! Alcune erano vestite come puttane, maledizione! Ci sarebbero state con chiunque, non erano altro che puttane! Ah! Maledetto! Maledetto schifoso bastardo! Maledetto porco bastardo frocio! Ah!»

Tira e sgroppa, scuotendo il letto, ma riesce soltanto a tendere ulteriormente i nodi dei legacci. «Bastardo!» farfuglia. «La pagherai! Non la passerai liscia! Ti prenderanno, vedrai, ti prenderanno, e farò in modo che in cella ti diano una lezione che non dimenticherai! Mi hai sentito? Eh?»