Выбрать главу

Quasi istintivamente, per una lunga abitudine e per una serie di risentimenti non ancora cancellati, Ellie fu tentata di voltarsi e di entrare lo stesso. Era preparata, persino adesso, e sfidarlo per una questione di principio? Che cos’era il principio, esattamente? Dal suo volto disfatto non si poteva dubitare dell’autenticità del suo rimorso. Aveva amato sua madre. Forse, Ellie pensò, l’aveva amata più di lei e un senso straziante di colpa la sopraffece. Sua madre era stata in condizioni disperate così a lungo che Ellie aveva provato molte volte la scena di come avrebbe reagito quando fosse giunto il momento fatale. Ricordò com’era stata bella sua madre nella foto che Staughton le aveva mandato e all’improvviso, nonostante le sue prove di quel momento, fu travolta dai singhiozzi. Allarmato dalla sua pena, Staughton le si accostò per confortarla. Ma lei tese una mano, e con un visibile sforzo riacquistò il controllo di sé. Persino in quel momento, non riusciva a lasciarsi andare ad abbracciarlo. Erano estranei, legati tenuemente da un cadavere. Ma aveva avuto torto — lo sapeva nel profondo del suo essere — ad aver ritenuto Staughton in certo qual modo responsabile della morte di suo padre.

«Ho qualcosa per te,» disse lui mentre frugava nella borsa. Tra le cose rimescolate, Ellie riuscì a vedere un borsellino di finta pelle e un portadentiera di plastica. Fu costretta a distogliere lo sguardo. Finalmente lui si raddrizzò, stringendo una busta sgualcita. «Per Eleanor,» c’era scritto. Riconoscendo la scrittura di sua madre, Ellie si mosse per afferrarla. Staughton fece un passo indietro allarmato, sollevando la busta all’altezza del viso come se lei stesse per percuoterlo.

«Aspetta,» egli disse. «Aspetta. So che non siamo mai andati d’accordo. Ma fammi questo unico favore: non leggere la lettera fino a stanotte. D’accordo?»

Nel suo dolore, sembrava dieci anni più vecchio. «Perché?» lei chiese.

«La tua domanda preferita. Fammi solo quest’unica cortesia. E chiedere troppo?»

«Hai ragione,» lei disse. «Non è chiedere troppo. Mi dispiace.» Lui la fissò direttamente negli occhi.

«Qualunque cosa ti sia capitata in quella Macchina,» egli disse, «forse ti ha cambiato.»

«Spero di sì, John.»

Ellie telefonò a Joss e gli chiese se volesse celebrare il servizio funebre. «Non ho bisogno di dirle che non sono religiosa. Ma a volte mia madre lo era. Lei è l’unica persona cui possa pensare per un compito del genere e sono sicura che il mio patrigno approverà.» Sarebbe arrivato con il prossimo volo, l’assicurò Joss. Nella sua stanza d’albergo, dopo aver cenato presto, Ellie toccò la busta, accarezzando ogni piega. Era vecchia. Sua madre doveva averne scritto il contenuto anni prima, portandosela dietro in qualche scomparto della sua borsetta, incerta se consegnarla a Ellie. Non sembrava richiusa di recente, ed Ellie si chiese se Staughton l’avesse letta. Una parte di lei ardeva dalla voglia di aprirla, un’altra invece esitava per una sorta di presentimento. Sedette a lungo nella poltrona polverosa pensando, con le ginocchia avvicinate al mento. Suonò un campanello e il carrello non proprio silenzioso del suo telefax entrò in funzione. Era collegato al computer dell’Ar-gus. Benché le facesse venire in mente i vecchi giorni, non c’era nessuna vera urgenza. Qualsiasi cosa il computer avesse trovato sarebbe rimasta là; il pi greco non sarebbe tramontato mentre la Terra girava. Se c’era un messaggio celato all’interno del pi, l’avrebbe aspettata. Ellie esaminò di nuovo la busta, ma l’eco del campanello si intromise. Se c’era un contenuto all’interno di un numero trascendente, avrebbe potuto soltanto essere incorporato nella geometria dell’universo fin dall’inizio. Questo suo nuovo progetto rientrava nella teologia sperimentale. Ma è pur sempre scienza, pensò.

«RESTARE ALL’APPARECCHIO,» fece apparire il computer sullo schermo del suo telefax.

Pensò a suo padre… beh, al simulacro di suo padre… ai Guardiani con la loro rete di tunnel attraverso la Galassia. Avevano osservato e forse influenzato l’origine e lo sviluppo della vita su milioni di mondi. Stavano costruendo galassie, separando parti dell’universo. Potevano almeno controllare un tipo limitato di viaggio temporale. Erano dei al di là delle pie fantasie di quasi tutte le religioni: di tutte le religioni occidentali, a ogni modo. Ma anch’essi avevano le loro limitazioni. Non avevano costruito i tunnel e non erano in grado di farlo. Non avevano inserito il messaggio nei numeri trascendenti, e non potevano neppure leggerlo. I costruttori dei tunnel e gli inseritori del pi greco erano altri. Non vivevano più là. Erano partiti senza lasciare l’indirizzo. Quando i costruttori dei tunnel se ne erano andati, quelli che alla fine sarebbero stati i Guardiani, erano diventati bambini abbandonati. Come lei, come lei.

Pensò all’ipotesi di Eda che i tunnel fossero buchi di verme, distribuiti a convenienti intervalli attorno a innumerevoli stelle in questa e in altre galassie. Assomigliavano ai buchi neri, ma avevano diverse caratteristiche e diverse origini. Erano non proprio senza massa, perché lei li aveva visti lasciare scie gravitazionali nei detriti orbitanti del sistema di Vega. E, servendosi di essi, esseri e astronavi di molti tipi attraversavano la Galassia da un punto all’altro. Buchi di verme. Nel gergo rivelatore della fisica teorica, l’universo era la loro mela e qualcuno vi aveva scavato delle gallerie, perforando l’interno con cunicoli che passavano per il torsolo. Per un bacillo che vivesse sulla superficie era un miracolo. Ma un essere che si trovasse all’esterno della mela poteva essere meno impressionato. Da quel punto di vista, i costruttori dei tunnel erano soltanto una seccatura. Ma se i costruttori dei tunnel sono vermi, pensò Ellie, chi siamo noi?

Il computer dell’Argus aveva studiato a fondo il contenuto del pi greco, più a fondo di quanto lo avessero mai studiato sulla Terra creature umane o macchine, ma non così a fondo come avevano fatto i Guardiani. Secondo Ellie era troppo presto perché si potesse trattare del messaggio a lungo indecifrato di cui le aveva parlato Theodor Arroway sulla riva di quel mare che non compariva su nessuna carta geografica. Forse si trattava soltanto di uno stimolo ad accelerare, di un’anteprima di imminenti attrazioni, di un incoraggiamento a ulteriori esplorazioni, di un segno per impedire agli uomini di scoraggiarsi. Qualunque cosa fosse, non doveva assolutamente essere il messaggio con cui erano alle prese i Guardiani. Forse c’erano messaggi facili e messaggi difficili, racchiusi nei vari numeri trascendenti, e il computer dell’Argus aveva trovato il più facile. Con un certo aiuto. Alla Stazione Ellie aveva appreso una sorta di umiltà, aveva ricevuto un promemoria sul ben modesto grado di conoscenza degli abitanti della Terra. A parere di Ellie, ci potevano essere tante categorie di esseri più avanzati degli uomini quante ne esistono fra noi e le formiche, o forse addirittura tra noi e i bacilli. Ma la cosa non l’aveva depressa. Più che una disincantata rassegnazione, aveva fatto nascere in lei un crescente senso di meraviglia. Si poteva aspirare a cose ben più grandi, adesso.

Era come il passo dalla scuola superiore al college, da qualcosa di una certa facilità alla necessità di fare uno sforzo prolungato e disciplinato per capire. Alla scuola superiore Ellie aveva superato quasi tutti in velocità di comprensione. Al college aveva scoperto che molti erano più veloci di lei. C’era stato lo stesso senso di crescente difficoltà e di sfida quando entrò alla scuola di perfezionamento, e quando divenne un astronomo professionista. A ogni stadio Ellie aveva trovato scienziati più istruiti di lei, e ogni stadio era stato più eccitante del precedente. Lasciamo che le rivelazioni arrivino, pensò, guardando il telefax. Era pronta. «PROBLEMA DI TRASMISSIONE. S/N. PREGO RESTARE ALL’APPARECCHIO.»