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Era collegata al computer dell’Argus da un satellite per telecomunicazioni chiamato «Defcom Alpha». Forse c’era stato un problema di controllo di assetto, o un pasticcio di programmazione. Prima di poterci pensare ancora su, quasi senza accorger-sene aveva aperto la busta.

ARROWAY FERRAMENTA, diceva l’intestazione, e quasi certamente i caratteri tipografici erano quelli della carta da lettere «Old Royal» che suo padre teneva a casa per la corrispondenza commerciale e personale. «13 giugno 1964» era scritto a macchina nell’angolo superiore destro. Lei era una quindicenne, a quel tempo. Non poteva averla scritta suo padre, che era già morto da anni. Un’occhiata in fondo alla pagina confermò che si trattava di sua madre Mia cara Ellie, Ora che sono morta, spero che tu possa trovare nel tuo cuore la volontà di perdonarmi. So di aver commesso una grave colpa nei tuoi confronti, e non solo nei tuoi. Non potevo tollerare l’idea di quanto mi avresti odiata se avessi saputo la verità. Ecco perché non ho avuto il coraggio di rivelartela quand’ero in vita. So quanto hai amato Ted Arroway, e voglio che tu sappia che l’ho amato anch’io. E lo amo ancora. Ma non era il tuo vero padre. Il tuo vero padre è John Staughton. Ho fatto qualcosa di sbagliatissimo. Non avrei dovuto e sono stata debole, ma se non lo avessi fatto, tu non saresti al mondo, perciò ti prego di pensare a me con affetto. Ted lo sapeva e mi aveva concesso il suo perdono e decidemmo insieme che non te lo avremmo mai detto. Ma guardo fuori dalla finestra proprio in questo momento e ti vedo nel cortile dietro casa. Te ne stai seduta là pensando alle stelle e a cose che non potrei mai capire e sono così fiera di te. Tu dai così importanza alla verità che ho pensato fosse giusto che dovessi conoscere questa verità sul tuo conto. La tua origine, intendo dire.

Se John sarà ancora vivo, allora sarà lui che ti avrà consegnato questa lettera. So che lo farà. E’ un uomo migliore di quanto tu non creda, Ellie. Sono stata fortunata ad averlo ritrovato. Forse tu lo odi tanto perché nel tuo intimo presagivi la verità. Ma in realtà lo detesti perché non è Theodore Arroway. Lo so.

Sei ancora seduta là fuori. Non ti sei mossa da quando ho cominciato questa lettera. Sei assorta nei tuoi pensieri. Spero e prego che tu possa trovare quello che vai cercando. Perdonami. Sono stata solo un essere umano. Con amore, la tua mamma Ellie aveva assimilato la lettera d’un fiato e la rilesse immediatamente. Respirava con difficoltà. Aveva le mani fredde e sudaticce. L’impostore si era rivelato esattamente l’opposto. Per la maggior parte della sua vita, lei aveva respinto il proprio padre, senza la più vaga idea di ciò che stava facendo. Che forza di carattere aveva dimostrato John durante tutte quelle esplosioni adolescenziali, quando lei gli rinfacciava di non essere suo padre, di non avere nessun diritto di dirle quello che doveva fare. Il telefax squillò di nuovo, due volte. Stava ora invitandola a premere il tasto RITORNO. Ma non aveva voglia di farlo. Avrebbe dovuto attendere. Pensava a suo pa… a Theodore Arroway, a John Staughton e a sua madre. Avevano sacrificato molto per lei, e lei, nel suo chiuso egoismo, non se ne era nemmeno accorta. Avrebbe voluto che Palmer fosse lì con lei.

Il telefax squillò ancora una volta e il carrello tentò di muoversi, sperimentalmente. Ellie aveva programmato il computer a essere ostinato, persino un po’ innovativo, nell’attrarre la sua attenzione se pensava di aver trovato qualcosa nel pi greco. Ma era troppo occupata nello sviscerare e nel ricostruire la mitologia della sua vita. Sua madre era seduta alla scrivania della grande camera da letto in cima alle scale e guardava fuori dalla finestra mentre pensava a quello che doveva scrivere e il suo sguardo si era posato su Ellie quindicenne, sgradevole, piena di risentimento, ribelle. Sua madre le aveva fatto un altro regalo. Con quella lettera, Ellie era ritornata indietro e si era rivista com’era in quegli anni lontani. Aveva imparato tanto da allora. Ma c’era ancora tanto da imparare. Sul tavolo su cui si trovava il ronzante telefax c’era uno specchio. In esso vide una donna di mezza età, né giovane né vecchia, né madre né figlia. Avevano avuto ragione a tenerle celata la verità. Non era abbastanza avanzata per ricevere quel segnale, tanto meno per decifrarlo. Aveva dedicato la sua carriera al tentativo di mettersi in contatto con i più remoti e alieni degli stranieri, mentre nella sua vita privata era riuscita a malapena a mettersi in contatto con qualcuno. Era stata accanita nello smontare i miti della creazione degli altri, e inconsapevole della menzogna che si trovava alla base del suo. Aveva studiato l’universo per tutta la vita, ma aveva trascurato il messaggio più chiaro: per creature piccole come noi, l’immensità è sopportabile solamente con l’amore. Il computer dell’Argus era così ostinato e inventivo nei suoi tentativi di contattare Eleanor Arroway che quasi suggeriva un urgente bisogno personale di dividere con qualcuno la sua scoperta. L’anomalia si manifestava con maggiore evidenza nell’aritmetica a base 11, dove poteva essere trascritta interamente come zeri e unità. Confrontato con quello che era stato ricevuto da Vega, questo poteva essere al massimo un messaggio semplice, ma la sua rilevanza statistica era notevole. Il programma riuniva le cifre in un percorso di scansione quadrato, una quantità uguale da un capo all’altro e sotto. La prima riga era una fila ininterrotta di zeri, da sinistra a destra. La seconda riga mostrava un solo uno, esattamente al centro, con zeri ai lati, a sinistra e a destra. Dopo alcune altre righe, si era formato un inequivocabile arco, composto di unità. La semplice figura geometrica era stata costruita rapidamente, riga per riga, autoriflessiva, ricca di promesse. Emerse l’ultima riga della figura, tutti zeri tranne un solitario uno al centro. La linea susseguente era soltanto di zeri, parte della comice.

Celato negli schemi che si alternavano di cifre, profondamente all’interno del numero trascendente, c’era un cerchio perfetto, dalla forma tracciata da unità in un campo di zeri. L’universo era stato creato intenzionalmente, diceva il cerchio. In qualunque galassia ci si trovi, si prende la circonferenza di un cerchio, la si divide per il suo diametro, si fa un calcolo abbastanza accurato e si scopre un miracolo: un altro cerchio, disegnato chilometri più in giù della virgola decimale. Proseguendo, ci sarebbero stati messaggi più ricchi. Non importa l’aspetto che si ha, o di che cosa si è fatti o da dove si proviene. Finché si vive in questo universo, e si possiede un modesto talento per la matematica, prima o poi la si troverà. E già qui. E all’interno di tutto. Non si è obbligati a lasciare il proprio pianeta per trovarla. Nella struttura dello spazio e nella natura della materia, come in una grande opera d’arte, c’è, scrìtta in piccolo, la firma dell’artista. Sopravanzando gli uomini, gli dei e i demoni, includendo 1 Guardiani i Costruttori dei tunnel, c’è un’intelligenza che precede l’universo.

Il cerchio si era chiuso.

Ellie aveva trovato ciò che era andata cercando.

NOTA DELL’AUTORE

Benché sia stato naturalmente influenzato da quelli che conosco, nessuno dei personaggi del mio romanzo rappresenta un ritratto fedele di qualcuno realmente esistente. Tuttavia, il mio libro deve molto alla comunità mondiale SETI, un gruppetto di scienziati di ogni angolo del nostro piccolo pianeta che lavorano insieme, talvolta costretti a fronteggiare ostacoli scoraggianti, in attesa di sentire un segnale dai cicli. Vorrei rivolgere un ringraziamento speciale ai pionieri di SETI, Frank Drake, Philip Morrison e allo scomparso I.S. Shklovskii. La ricerca di intelligenze extraterrestri sta ora entrando in una nuova fase, con due programmi importanti in corso, l’esame META/Sentinel con otto milioni di canali all’Università di Harvard, sponsorizzato dalla Società Planetaria che ha sede a Pasadena, e un programma ancora più elaborato sotto gli auspici della NASA. La mia speranza più viva è che questo mio libro sia reso obsoleto dal ritmo della vera scoperta scientifica. Parecchi amici e colleghi sono stati tanto gentili da leggere la prima stesura e/o di formulare dettagliati commenti che hanno influenzato la presente forma del libro. Sono profondamente grato, tra gli altri, a Frank Drake, Pearl Druyan, Lester Grinspoon, Irving Gruber, Jon Lomberg, Philip Morrison, Nancy Palmer, Will Provine, Stuart Shapiro, Steven Soter e Kip Thorne. Il pro-fessor Thorne si è preso la briga di considerare il sistema di trasporto galattico descritto nella terza parte di Contati, tracciando cinquanta righe di equazioni nel campo della fisica gravitazionale. Ùtili consigli e suggerimenti circa il contenuto o lo stile mi sono venuti da Scott Meredith, Michael Korda, John Herman, Gregory Weber, Clifton Fadiman e dallo scomparso Theodore Sturgeon. Nei vari stadi della preparazione di questo libro, Shirley Arden ha lavorato a lungo e in maniera perfetta; sono molto riconoscente a lei e a Kel Arden. Ringrazio Joshua Lederberg per avermi suggerito per primo molti anni fa e forse per gioco che un’alta forma di intelligenza potrebbe vivere al centro della Galassia. L’idea ha degli antecedenti, come ne hanno tutte le idee, e qualcosa di simile sembra esser stato immaginato attorno al 1750 da Thomas Wright, il primo a dire esplicitamente che la Galassia potesse avere un centro.