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Dopo aver conseguito il suo dottorato, Ellie accettò un impiego come ricercatrice aggiunta all’osservatorio di Arecibo, una grande coppa dal diametro di 305 metri fissata al fondo di una dolina di tipo carsico tra le colline nord occidentali di Puerto Rico. Con il più grande radiotelescopio del pianeta, Ellie era impaziente di usare il suo maser per guardare in direzione dei più svariati oggetti astronomici possibili: pianeti e stelle vicini, il centro della Galassia, pulsar e quasar. Come membro a tempo pieno del personale dell’osservatorio, le sarebbe stata assegnata una notevole quantità di tempo per le osservazioni. L’accesso ai grandi radiotelescopi è ambito al massimo, perché gli importanti progetti di ricerca sono molto più numerosi di quelli che vi possono essere ospitati. Perciò, il tempo riservato al telescopio per il personale residente è una prerogativa senza prezzo. Per molti degli astronomi era la sola ragione che li trattenesse in località così sperdute. Lei sperava anche di esaminare alcune stelle vicine per scoprire possibili segnali di origine intelligente. Con il suo tipo di amplificatore si sarebbe potuto ascoltare la dispersione radio da un pianeta come la Terra anche se si fosse trovato ad alcuni anni luce di distanza. E una società avanzata, che avesse l’intenzione di comunicare con noi, sarebbe stata senza dubbio capace di inviare trasmissioni ben più potenti delle nostre. Se Arecibo, usato come un radar telescopio, era in grado di trasmettere un messaggio di un megawatt di potenza fino a un punto specifico nello spazio, allora una civiltà solo un po’ più avanzata della nostra poteva, a suo parere, essere in grado di trasmettere un segnale della potenza di cento megawatt o più. Se stavano trasmettendo alla Terra intenzionalmente con un telescopio della grandezza di quello di Arecibo ma con un trasmettitore da cento megawatt, Arecibo sarebbe stata nelle condizioni di individuarli virtualmente in qualsiasi punto della Via Lattea. Quando pensò attentamente a ciò, si stupì che nella ricerca di un’intelligenza extraterrestre quel che si sarebbe potuto fare era ben lontano da quello che si era fatto. I mezzi che erano stati dedicati a questo problema erano insignificanti, a suo avviso. Trovava delle difficoltà a scegliere un problema scientifico più importante. L’installazione di Arecibo era nota agli indigeni come «El Radar». La sua funzione era generalmente oscura, ma procurava più di cento posti di lavoro, di cui c’era un gran bisogno sull’isola. Le ragazze del posto venivano tenute ben lontane dagli astronomi, alcuni dei quali potevano esser visti quasi a ogni ora del giorno e della notte, pieni di nervosa energia, percorrere di corsa il sentiero che circondava il riflettore emisferico. Come risultato, le attenzioni rivolte a Ellie al suo arrivo, benché non del tutto sgradite, finirono presto per essere una distrazione dalla sua ricerca.

La bellezza fisica del luogo era notevole. Al crepuscolo, guardava fuori dalle finestre di servizio e vedeva nubi tempestose sorvolare l’altro bordo della valle, proprio al di là di uno dei tre immensi piloni cui erano appesi i cavi che sorreggevano i bracci dell’antenna e il suo maser montato di recente. In cima a ciascuno dei piloni, una luce rossa lampeggiava per invitare gli eventuali aeroplani che si fossero avventurati per errore su quel remoto panorama a starsene alla larga. Alle quattro del mattino, usciva per una boccata d’aria e cercava confusamente di interpretare un coro compatto di migliala di rane locali, chiamate onomatopeicamente «coquis». Alcuni astronomi vivevano nei pressi dell’osservatorio, ma l’isolamento, combinato all’ignoranza dello spagnolo e all’inesperienza di ogni altra cultura, tendeva a trascinare loro e le loro mogli alla solitudine e all’anonimia. Alcuni avevano deciso di vivere alla base aerea di Ramey, che vantava l’unica scuola di lingua inglese delle vicinanze. Ma i novanta minuti d’auto contribuivano ad accrescere ancora il loro senso di isolamento. Ripetute minacce da parte dei separatisti portoricani, convinti erroneamente che l’osservatorio svolgesse una funzione militare di una certa importanza, aumentarono il senso di isteria repressa, di circostanze difficilmente controllabili.

Molti mesi dopo, Valerian venne in visita. Ufficialmente si trovava lì per tenere una conferenza, ma lei sapeva che era motivato anche dal desiderio di controllare come se la stesse cavando e di darle una parvenza di sostegno psicologico. La sua ricerca era andata molto bene. Aveva scoperto quel che sembrava un nuovo complesso di nubi molecolari interstellari, e aveva ottenuto alcuni dati estremamente precisi nell’analisi del tempo di risposta di una pulsar che si trova al centro della Nebulosa del Granchio. Aveva persino portato a termine la più accurata ricerca mai compiuta su segnali emessi da alcune dozzine di stelle vicine, ma senza risultati positivi. C’erano state una o due ripetizioni sospette. Osservò di nuovo le stelle in questione e non potè riscontrare nulla fuori dall’ordinario. Si esamini un certo numero di stelle e presto o tardi le interferenze terrestri o la concatenazione di rumori casuali produrranno un segnale che per un momento farà battere il cuore. Riacquistata la padronanza di sé, lo si controlla e se non si ripete, lo si considera spurio. Questa disciplina era essenziale, se voleva conservare un certo equilibrio emotivo nei confronti di ciò che stava cercando. Ellie era decisa a essere più che mai inflessibile, senza comunque abbandonare quel senso di meraviglia che era il motore primo del suo agire.

Con le sue scarse provviste conservate nel frigorifero della co-munita, aveva preparato un modesto spuntino di mezzogiorno da consumare all’aperto, e Valerian sedeva con lei sull’orlo della dolina che ospitava il paraboloide. Si potevano vedere in lontananza gli operai che riparavano o sostituivano i pannelli, dotati di speciali racchette da neve per non lacerare i fogli di alluminio e non precipitare sul terreno sottostante. Valerian si rallegrava dei suoi progressi. Si scambiarono qualche pettegolezzo e le ultime novità scientifiche. La conversazione si indirizzò su SETI, come si cominciava a chiamare la ricerca di un’intelligenza extraterrestre. «Hai mai pensato di farlo a tempo pieno, Ellie?» le chiese. «Non ci ho pensato molto. Ma in realtà non è possibile, non è vero? Per quanto ne so, non c’è nessuna installazione importante, al mondo, dedita a SETI a tempo pieno.»

«No, ma ci può essere. Esiste una probabilità che dozzine di paraboloidi supplementari vengano aggiunti al Very Large Array e lo trasformino in un osservatorio riservato a SETI. Farebbero anche qualcosa del solito lavoro di radioastronomia, naturalmente. Sarebbe un superbo interferometro. Si tratta soltanto di una possibilità, è costosa, richiede una reale volontà politica, e nel migliore dei casi si realizzerà fra degli anni. Solo qualcosa da pensarci su.»

«Peter, ho appena esaminato una quarantina di stelle vicine, del tipo a spettro solare approssimativo. Ho guardato nella riga di ventun centimetri dell’idrogeno, che tutti dicono sia l’ovvia frequenza di segnale, perché l’idrogeno è l’elemento più abbondante dell’Universo, e così via. E ho operato con la più alta sensibilità mai sperimentata. Non c’è traccia di un segnale. Forse non c’è nessuno là fuori. Forse l’intera faccenda è una perdita di tempo.»

«Come la vita su Venere? Chiacchiere da quattro soldi. Venere è un mondo infernale; è solo un pianeta. Ma ci sono centinaia di miliardi di stelle nella Galassia. Ne hai guardate pochissime. Non diresti che sia un po’ prematuro rinunciare? Hai trattato una miliardesima parte del problema. Probabilmente ancora meno, se consideri altre frequenze.»

«Lo so, lo so. Ma non hai la sensazione che se sono da qualche parte, siano ovunque? Se esseri davvero avanzati vivono mille anni luce lontano da noi, non dovrebbero avere un avamposto nelle nostre vicinanze? Si potrebbe fare il SETI per sempre, sai, e non convincersi mai di aver completato la ricerca.»

«Oh, stai cominciando a parlare come Dave Drumlin. Se non possiamo trovarli durante la nostra vita, lui non è interessato. Siamo solo all’inizio del SETI. Tu sai quante possibilità ci sono. E’ il momento di lasciare aperta ogni opzione; è il momento di essere ottimisti. Se vivessimo in un qualsiasi periodo precedente alla storia umana, potremmo porci degli interrogativi a questo j proposito per tutta la nostra esistenza e non potremmo fare nulla per trovare una risposta. Ma questo momento è unico. E’ la prima volta che qualcuno è in grado di cercare un’intelligenza extraterrestre. Hai costruito il rivelatore per cercare civiltà sui pianeti di milioni di altre stelle. Nessuno ti sta garantendo il successo, ma puoi pensare a un problema più importante? Supponi che là fuori ci stiano inviando dei segnali e che nessuno sulla Terra stia ascoltando. Sarebbe una beffa, un’assurdità. Non ti vergogneresti della tua civiltà se fossimo in grado di ascoltare e non avessimo lo spirito d’iniziativa per farlo?»