Выбрать главу

Neil Gaiman

Coraline

L’ho iniziato per Holly

L’ho terminato per Maddy

Le fiabe dicono più che la verità. E non solo perché raccontano che i draghi esistono, ma perché affermano che si possono sconfiggere.

G. K. Chesterton

I

Coraline scoprì quella porta poco dopo aver traslocato con la famiglia.

La casa era molto vecchia, con una soffitta, una cantina e un giardino pieno di erbacce e di grossi e vecchi alberi.

Date le sue notevoli dimensioni, però, non era occupata esclusivamente dalla famiglia di Coraline. I suoi ne possedevano solo una parte.

Nel resto dell’edificio abitavano altre persone.

Nell’appartamento del pianterreno, sotto quello di Coraline, vivevano Miss Spink e Miss Forcible. Le due donne erano anziane e grassocce, e occupavano l’appartamento in compagnia di alcuni vecchi terrier scozzesi che portavano nomi come Hamish, Andrew e Jock. In passato Miss Spink e Miss Forcible erano state attrici, e Miss Spink in persona lo aveva rivelato a Coraline, non appena si erano conosciute.

— Vedi, Caroline — le aveva detto Miss Spink, sbagliando a pronunciare il nome — sia io che mia sorella Forcible eravamo attrici famose, ai nostri tempi. Calcavamo le scene, tesoruccio. Ehi, togli quella torta di frutta da sotto il muso di Hamish o avrà mal di pancia per tutta la notte.

— Mi chiamo Coraline. Non Caroline. Coraline — le aveva fatto notare la bambina.

Nell’appartamento sopra quello di Coraline, nel sottotetto, viveva un vecchio pazzo con un paio di baffoni enormi. Le aveva detto che stava ammaestrando un circo di topi, ma non permetteva a nessuno di vederlo.

— Un giorno, piccola Caroline, quando tutto sarà pronto, il mondo intero assisterà alle meraviglie del mio circo. Mi domanderai perché adesso non puoi vederlo. Me lo hai appena chiesto, vero?

— No — aveva risposto Coraline sottovoce. — Le ho chiesto di non chiamarmi Caroline. Il mio nome è Coraline.

— La ragione per cui adesso non puoi vedere il mio circo — aveva detto l’uomo del piano di sopra — è che i topi non sono ancora pronti e non hanno provato abbastanza. Inoltre si rifiutano di suonare le canzoni che ho scritto per loro. Tutte le canzoni che ho scritto per i topi fanno umpah umpah. Ma il topo bianco si ostina a suonare solamente tudle udle. Sto pensando di metterli alla prova con diversi tipi di formaggio.

Secondo Coraline, quel circo di topi non esisteva affatto. Anzi, era convinta che il vecchio si fosse inventato tutto.

Il giorno dopo il trasloco, Coraline andò in esplorazione.

Esplorò il giardino. Era davvero grande: in fondo, nel punto più lontano, c’era un vecchio campo da tennis, ma in casa nessuno giocava a tennis, così il campo era pieno di buche e la rete addirittura decrepita; c’era anche un roseto, pieno di arbusti striminziti e coperti di polvere; c’era un giardino giapponese tutto di rocce; c’era un cerchio delle fate, fatto di funghi velenosi marrone e umidicci, che puzzavano tremendamente se uno ci andava a finire sopra per sbaglio.

C’era anche un pozzo. Il giorno in cui la famiglia di Coraline si era trasferita lì, Miss Spink e Miss Forcible si erano subito premurate di spiegare alla bambina quanto fosse pericoloso quel pozzo, e l’avevano messa in guardia perché ne stesse alla larga. Perciò Coraline non aveva perso tempo e aveva subito cominciato a cercarlo, per sapere con precisione dove si trovasse e poterne stare effettivamente alla larga.

L’aveva trovato il terzo giorno, in un prato pieno di erbacce accanto al campo da tennis, dietro un boschetto: un muretto di mattoni basso e circolare, quasi nascosto dall’erba alta. Il pozzo era stato coperto con alcune tavole, per impedire che qualcuno ci cadesse dentro. In una delle assi c’era un piccolo buco, e Coraline aveva trascorso un pomeriggio intero a gettarci dentro ghiande e sassolini e ad aspettare, canticchiando, di sentire il plop che producevano toccando l’acqua.

Era anche andata in cerca di animali. Aveva trovato un porcospino, una pelle di serpente (ma non il serpente), una roccia che pareva proprio una rana, e poi un rospo che pareva proprio una roccia.

C’era anche un altezzoso gatto nero che si sedeva sui muretti e sulle ceppaie per osservarla, ma che sgattaiolava subito via se lei gli andava vicino e cercava di giocarci.

Aveva trascorso così le prime due settimane nella nuova casa: esplorando il giardino e i dintorni.

Sua madre la chiamava all’ora di pranzo e di cena, e Coraline doveva assicurarsi di uscire ben coperta, perché quell’anno l’estate era davvero freschetta. Tuttavia, ogni giorno uscì ed esplorò, finché cominciò a piovere e fu costretta a restare in casa.

— E adesso che faccio? — domandò.

— Leggi un libro — le rispose sua madre. — Guarda un video. Gioca con i tuoi giocattoli. Va’ a dare fastidio a Miss Spink o a Miss Forcible, o a quel vecchio pazzo che abita sopra di noi.

— No — disse Coraline. — Non mi va di fare queste cose. Voglio esplorare.

— A essere sincera non mi interessa quello che fai — disse sua madre — purché tu non metta in disordine.

Coraline andò alla finestra e guardò la pioggia che cadeva. Non era una pioggia del tipo che ti permette di uscire, ma dell’altro tipo, cioè quella che scroscia violentemente dal cielo e tocca terra schizzando dappertutto. Era il tipo di pioggia che fa sul serio, e ciò che stava facendo, in quel momento, era trasformare il giardino in una specie di zuppa umida e fangosa.

Coraline aveva guardato tutti i video. Si era stufata dei giocattoli e aveva letto tutti i libri che possedeva.

Accese la televisione. Passò da un canale all’altro, ma c’erano solo uomini in giacca e cravatta che parlavano del mercato azionario, e programmi sportivi. Alla fine trovò qualcosa da guardare: la seconda parte di un programma di storia naturale su una faccenda che si chiamava mimetismo. E vide animali, uccelli e insetti che si mimetizzavano tra le foglie e i ramoscelli o tra gli altri animali, per fuggire da cose o creature che avrebbero potuto far loro del male. Il programma le piaceva, ma finì troppo presto e venne seguito da un altro su una fabbrica di dolci.

Era arrivato il momento di parlare con suo padre.

Il papà di Coraline era in casa. Tutti e due i genitori lavoravano con il computer, perciò passavano molto tempo in casa. Ciascuno aveva il suo studio personale.

— Ciao, Coraline — le disse suo padre quando la vide entrare nello studio, ma non si voltò verso di lei.

— Uffa — disse Coraline. — Piove.

— Eh già — replicò suo padre. — A catinelle.

— No, è una semplice pioggia. Posso andare fuori?

— Tua madre che ne dice?

— Dice: «Con un tempo così non esci di sicuro, Coraline Jones.»

— Allora è no.

— Ma io voglio continuare la mia esplorazione.

— Bene, puoi esplorare l’appartamento — le suggerì suo padre. — Tieni! Eccoti un foglio e una penna. Conta tutte le porte e tutte le finestre. Fa’ un elenco di tutte le cose blu. Organizza una spedizione per trovare lo scaldabagno. E lasciami lavorare in santa pace.

— Posso andare in salotto? — Il salotto era la stanza in cui i Jones tenevano i mobili costosi (e scomodi) che la nonna di Coraline aveva lasciato alla sua morte. A Coraline non era permesso entrarci. Nessuno ci entrava. A fin di bene.

— Se non metterai in disordine. E se non toccherai niente.

Coraline ci pensò su, poi prese carta e penna e cominciò a esplorare l’appartamento.

Trovò lo scaldabagno (era in un armadio a muro della cucina).

Contò tutte le cose blu (153).