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Contò le finestre (21).

Contò le porte (14).

Delle porte che aveva trovato, tredici si aprivano e si chiudevano normalmente. La quattordicesima, piuttosto grande e in legno marrone intagliato, nell’angolo più lontano del salotto, era chiusa a chiave.

— E da quella porta dove si va? — domandò a sua madre.

— Da nessuna parte, tesoro.

— Dovrà pur portare da qualche parte.

La madre scosse la testa. — Vieni a vedere — disse a Coraline.

Allungò la mano e prese un mazzo di chiavi da sopra la cornice della porta di cucina. Le esaminò e ne scelse una, la più vecchia, la più grossa, la più nera, la più arrugginita. Quindi andarono in salotto. La mamma infilò la chiave nella serratura e la girò.

La porta si spalancò.

Aveva ragione. Non portava da nessuna parte. Dava su un muro di mattoni.

— Quando questa casa non era ancora divisa — disse la madre di Coraline — questa porta conduceva da qualche parte. Quando poi hanno diviso l’edificio in appartamenti, hanno semplicemente deciso di murarla. Dall’altra parte c’è un appartamento libero, ancora in vendita.

Richiuse la porta e rimise il mazzo di chiavi sulla cornice della porta di cucina.

— Non hai dato i giri con la chiave — osservò Coraline.

Sua madre si strinse nelle spaile. — Perché dovrei? — domandò. — Tanto non porta da nessuna parte.

Coraline non disse nulla.

Ormai era quasi buio e la pioggia continuava a cadere, tamburellando sui vetri delle finestre e offuscando i fari delle macchine che passavano nella strada davanti a casa.

Il padre di Coraline smise di lavorare e preparò la cena.

Coraline era disgustata. — Papà — disse — un’altra delle tue ricette!

— Stufato di patate e porri, guarnito con dragoncello e gruviera fusa — ammise suo padre.

Coraline sospirò. Quindi andò al freezer e tirò fuori una pizzetta e patatine fritte da riscaldare al microonde.

— Lo sai che le ricette non mi piacciono — disse al padre, mentre la sua cena continuava a girare nel forno a microonde e i numeretti rossi sul display facevano il conto alla rovescia per tornare allo zero.

— Se lo assaggiassi, magari il mio stufato ti piacerebbe — disse il papà di Coraline. Ma lei fece segno di no con la testa.

Quella notte, Coraline giaceva sveglia nel suo letto. Aveva smesso di piovere e lei si era quasi addormentata, quando qualcosa cominciò a fare t-t-t-t-t-t-t. Si tirò su a sedere nel letto.

Qualcosa fece kriiiiiii…

…aaaak.

Coraline scese dal letto e guardò verso l’ingresso, ma non notò niente di strano.

Percorse tutto il corridoio. Dalla stanza dei genitori proveniva un sommesso russare — suo padre — e un saltuario mormorio nel sonno — sua madre.

Coraline si chiese se l’avesse sognato, quel rumore che aveva sentito.

Qualcosa si mosse.

Poco più che un’ombra, che filò rapidamente in fondo all’ingresso buio, come un piccolo frammento di notte.

Si augurò che non fosse un ragno. I ragni mettevano Coraline in uno stato di profonda agitazione.

La sagoma nera entrò in salotto e Coraline, con un po’ di nervosismo, le andò dietro.

La stanza era buia. L’unica luce veniva dall’ingresso e Coraline, che era ferma sulla soglia della stanza, gettava un’enorme ombra distorta sulla moquette del salotto: sembrava una gigantessa allampanata.

Si stava giusto chiedendo se fosse il caso di accendere la luce, quando vide la sagoma nera uscire lentamente da sotto il divano. Si fermò per un istante, poi sfrecciò in silenzio sulla moquette, in direzione dell’angolo più remoto, dove non c’erano mobili.

Coraline accese la luce.

In quell’angolo non c’era niente. Niente altro che una vecchia porta aperta su un muro di mattoni.

Era sicura che sua madre avesse richiuso la porta, che adesso, però, era leggermente aperta. Giusto di uno spiraglio. Coraline si avvicinò e guardò dentro. Non c’era niente, solo un muro di mattoni rossi.

Chiuse la vecchia porta di legno, spense la luce e tornò a letto.

Sognò sagome nere che strisciavano da una parte all’altra, schivando la luce, fino a concentrarsi tutte insieme sotto la luna. Piccole sagome nere con occhietti rossi e aguzzi denti gialli.

Che cominciarono a cantare:

Siamo piccine ma molte Siamo molte ma piccine Eravamo qui prima di voi Saremo qui anche poi.

Le loro voci erano un sussurro acuto e vagamente lamenroso. E a Coraline misero addosso una grande agitazione.

Poi sognò degli spot pubblicitari, e finalmente smise di sognare.

II

Il giorno dopo aveva smesso di piovere, ma la casa era avvolta da una fitta nebbia bianca.

— Esco a fare una passeggiata — disse Coraline.

— Non allontanarti — le raccomandò sua madre. — E copriti bene.

Coraline si mise il cappotto blu con il cappuccio, la sciarpa rossa e gli stivali gialli di gomma.

E uscì.

Miss Spink stava portando a spasso i cani. — Ciao, Caroline — le disse. — Che tempaccio.

— Eh già! — disse Coraline.

— Una volta ho interpretato il ruolo di Portia — disse Miss Spink. — Miss Forcible non fa che parlare della sua Ofelia, ma era la mia Portia che venivano a vedere. Quando calcavamo le scene.

Miss Spink era infagottata in strati e strati di maglioni e cardigan, il che la faceva sembrare più bassa e grassa che mai. Assomigliava a un grosso uovo lanoso. Portava occhiali con le lenti talmente spesse che i suoi occhi sembravano enormi.

— Mi mandavano sempre i fiori in camerino. Altroché - disse.

— Chi? — domandò Coraline.

Miss Spink lanciò una cauta occhiata circolare, guardandosi prima dietro una spalla e poi dietro l’altra, sbirciando attraverso la nebbia come se qualcuno potesse sentirla.

— Gli uomini - sussurrò. Quindi diede uno strattone ai guinzagli dei cani e riprese la strada di casa.

Coraline proseguì la sua passeggiata.

Aveva fatto tre quarti di giro intorno alla casa quando vide Miss Forcible, ferma davanti alla porta dell’appartamento in cui viveva con Miss Spink.

— Hai per caso visto Miss Spink, Caroline?

Coraline le rispose che sì, Miss Spink era fuori con i cani.

— Speriamo che non si perda; altrimenti le verrà il Fuoco di Sant’Antonio, vedrai — disse Miss Forcible. — Bisogna essere veri esploratori per trovare la strada con questa nebbia.

— Io sono un’esploratrice — disse Coraline.

— Ma certo, tesoruccio — disse Miss Forcible. — Cerca di non perderti.

Coraline continuò a passeggiare nel giardino ammantato di nebbia grigia. Stava attenta a non perdere mai di vista la casa.

Dopo circa dieci minuti di cammino, si ritrovò esattamente al punto di partenza.

I capelli le cadevano flosci e bagnati davanti agli occhi, e aveva il viso umido.

— Ohé! Caroline! — gridò il vecchio pazzo del piano di sopra.

— Oh, salve — rispose Coraline.

Con quella nebbia riusciva a scorgerlo appena.

L’uomo scese le scale esterne che portavano dall’appartamento di Coraline al suo. Le scese molto lentamente. Lei lo aspettò in fondo alle scale.

— Ai topi la nebbia non piace — le disse. — Gli fa afflosciare i baffi.

— Neanche a me piace molto — ammise Coraline.

Il vecchio si chinò su di lei, avvicinandosi tanto da farle il solletico all’orecchio con la punta dei baffi. — I topi ti mandano un messaggio — sussurrò.