Выбрать главу

E mentre lo faceva, qualcosa scricchiolò delicatamente.

Si tirò su a sedere e sollevò il cuscino. I frammenti delle biglie sembravano i resti dei gusci d’uovo che si trovano sotto gli alberi a primavera: come le uova vuote e rotte dei pettirossi, o persino più delicate. Come quelle degli scriccioli, forse.

Qualunque cosa ci fosse stata dentro quelle sfere di vetro, ora non c’era più. Coraline pensò ai tre bambini che le facevano ciao con la mano al chiaro di luna, salutandola prima di attraversare il ruscello argentato.

Facendo molta attenzione, raccolse i sottili frammenti e li ripose nella scatoletta azzurra del braccialetto che sua nonna le aveva regalato quando era piccola. Il braccialetto era andato perduto da chissà quanto tempo, ma la scatoletta era rimasta.

Miss Spink e Miss Forcible, che erano state a trovare la nipote di Miss Spink, erano tornate, così Coraline scese da loro per il tè. Era un lunedì. Mercoledì Coraline sarebbe tornata a scuola: cominciava un nuovo anno scolastico.

Miss Forcible insistette per leggerle le foglie di tè.

— Bene, sembrerebbe che quasi tutto sia in perfetto ordine e con ampie schiarite all’orizzonte, carina — disse Miss Forcible.

— Come, scusi? — disse Coraline.

— Tutto andrà nel migliore dei modi — disse Miss Forcible. — Be’, quasi tutto. Non sono sicura di cosa sia quello. - E indicò un mucchietto di foglie di tè appiccicato di lato alla tazza.

Miss Spink pronunciò un ohibò e prese in mano la tazza. — Seriamente, Miriam, dammi qua. Lasciami vedere… — Batté le palpebre dietro le spesse lenti degli occhiali. — Oddio. No, non ho proprio idea di cosa possa significare. Sembrerebbe quasi una mano.

Coraline guardò anche lei. Quell’ammasso di foglioline sembrava veramente una mano, tesa verso qualcosa.

Hamish, il terrier scozzese, si era nascosto sotto la sedia di Miss Forcible e non voleva venire fuori.

— Credo che sia rimasto coinvolto in una baruffa — disse Miss Spink. — Ha una ferita profonda sul fianco. Oggi pomeriggio lo portiamo dal veterinario. Vorrei tanto sapere cosa gliel’ha provocata.

Coraline capì che bisognava agire. In quell’ultima settimana di vacanza il tempo fu splendido, come se l’estate stesse cercando di rimediare al tempo orrendo che c’era stato fino ad allora, regalando delle magnifiche giornate di sole prima di concludersi.

Il vecchio pazzo dell’ultimo piano chiamò Coraline, quando la vide uscire dall’appartamento di Miss Spink e Miss Forcible.

— Ehi! Tu! Ciao! Caroline! — gridò dal parapetto.

— Mi chiamo Coraline — disse lei. — Come stanno i topi?

— Qualcosa li ha spaventati — rispose l’uomo grattandosi i baffi. — Credo che ci sia una donnola in casa. Gira qualcosa. L’ho sentito stanotte. Nel mio paese avremmo messo subito una tagliola con un po’ di carne o un hamburger, e quando la bestia si avvicina per banchettare, allora — bam! - presa e finita. I topi sono talmente spaventati che nemmeno prendono più in mano i loro piccoli strumenti musicali.

— Io non credo che voglia la carne — disse Coraline. Alzò una mano e toccò la chiave nera che portava al collo. Poi entrò in casa.

Si fece il bagno, senza mai togliersi la chiave di dosso. Non se la tolse più.

Dopo che si fu messa a letto sentì grattare sul vetro della finestra. Era quasi addormentata, ma scese e aprì le tende. Una mano bianca dalle unghie rosse saltò dal davanzale alla grondaia e scomparve immediatamente dalla vista. Dall’altra parte del vetro c’erano profonde scanalature.

Quella notte Coraline dormì sonni agitati, svegliandosi di continuo per tramare, programmare, ponderare, e ogni volta che si riaddormentava non era mai sicura di dove finisse il ponderare e iniziasse il sognare, con un orecchio sempre all’erta per sentire se qualcosa grattasse sul vetro della finestra.

Al mattino, Coraline disse a sua madre: — Oggi farò un picnic con le mie bambole. Posso prendere un lenzuolo — uno vecchio, uno che non ti serve più — da usare come tovaglia?

— Non credo di averne uno — disse sua madre. Aprì il cassetto della cucina dove teneva tovaglie e tovaglioli e si mise a frugare. — Aspetta. Questa ti può andar bene?

Si trattava di una tovaglia di carta usa e getta, con dei fiori rossi, rimasta dall’ultimo picnic che avevano fatto diversi anni prima.

— È perfetta — disse Coraline.

— Pensavo che avessi smesso di giocare con le bambole — disse la signora Jones.

— Invece no — ammise Coraline. — È che si mimetizzano.

— Be’, cerca di tornare per l’ora di pranzo — le disse sua madre. — E divertiti!

Coraline riempì una scatola di cartone con le sue bambole e diverse tazzine da tè di plastica. Riempì anche una caraffa d’acqua.

Quindi uscì. S’incamminò lungo la strada, come se stesse andando verso i negozi. Prima di raggiungere il supermercato, superò una staccionata e si ritrovò in un terreno abbandonato, percorse una vecchia strada carrozzabile e strisciò poi sotto una siepe. Dovette fare due viaggi sotto la siepe, per non rovesciare l’acqua nella caraffa.

Fu un viaggio lungo e tortuoso, ma alla fine fu felice che nessuno l’avesse seguita.

Sbucò dietro il malconcio campo da tennis. Lo attraversò e raggiunse il prato dove ondeggiava l’erba alta. Trovò le tavole ai margini del prato. Erano incredibilmente pesanti, quasi troppo pesanti perché una ragazzina, pur facendo ricorso a tutta la forza che aveva, ce la facesse a sollevarle. Ma Coraline ce la fece. Non aveva altra scelta. Tolse di mezzo le tavole, una alla volta, sbuffando e sudando per la fatica, e mise in luce un buco nel terreno, fondo e tondo, delimitato da un muricciolo di mattoni. Puzzava di umidità e di buio. I mattoni erano verdognoli e limacciosi.

Coraline distese la tovaglia e la sistemò con cura in cima al pozzo. Quindi dispose le leggere tazze da tè giocattolo a una ventina di centimetri di distanza l’una dall’altra, ai margini del pozzo, e appesantì ogni tazza riempiendola d’acqua.

Poi, sull’erba, vicino a ogni tazza, mise seduta una bambola. Quindi, tornò sui suoi passi: di nuovo sotto la siepe, lungo la polverosa strada gialla, dietro i negozi, dentro casa.

Si portò una mano al collo e staccò la chiave. La fece dondolare, come se fosse solo qualcosa con cui le piaceva giocherellare. Poi andò a bussare alla porta di Miss Spink e Miss Forcible.

Andò ad aprirle Miss Spink.

— Salve, tesoro — le disse.

— Non entro — disse Coralme. — Volevo solo sapere come sta Hamish.

Miss Spink sospirò. — Il veterinario dice che Hamish è un bravo soldatino — disse. — Per fortuna, pare che la ferita non abbia fatto infezione. Non riusciamo a capire cosa gli sia capitato. Secondo il veterinario è stato un animale, ma non ha idea di quale. Il signor Bobo dice che secondo lui, potrebbe essere stata una donnola.

— Il signor Bobo?

— L’uomo dell’ultimo piano. Il signor Bobo. Antica e rinomata famiglia circense, credo. Romena o slovena o lituana, uno di quei paesi lì. Benedetta me, non riesco più a ricordarmeli.

Coraline si rese conto che non le era mai venuto in mente che il vecchio pazzo del piano di sopra potesse avere un nome. Se avesse saputo che si chiamava signor Bobo, non avrebbe perso occasione per chiamarlo così. Quante volte ti può capitare di dire a voce alta un nome come "signor Bobo"?

— Oh — disse Coraline a Miss Spink. — Il signor Bobo. Giusto. Be’ — disse con voce leggermente più alta — adesso vado a giocare con le mie bambole, giù in fondo, vicino al campo da tennis.