Sola sul palcoscenico, in camicetta a maniche corte e jeans, i capelli raccolti a coda di cavallo come piacevano a suo padre, Tiffani attese che i due uomini si avvicinassero. Era molto nervosa, perché era preoccupata per ciò che il signor Burton stava per dirle. La direttrice dell’ufficio acquisti che faceva parte di Hannah Jelkes, aveva detto, e lei l’aveva sentita, che Melvin avrebbe forse eliminato la parte di Charlotte se «la ragazza nuova non ce la faceva»… Ho tanto sgobbato per questa parte, pensava Tiffani, che… oh, mio Dio, fa’ che non sia una cattiva notizia!
Quando Melvin Burton e il capitano Winters le furono accanto, Tiffani rimase con gli occhi bassi. «Be’, vengo subito al sodo» cominciò Melvin. «La prima scena con voi due nella camera d’albergo non sta in piedi, anzi è proprio un disastro. Bisogna dunque fare dei cambiamenti.»
Accortosi che Tiffani non lo guardava, le mise dolcemente una mano sotto il mento e le sollevò il viso fino ad averlo di fronte. «Devi guardare me, bambina, perché sto cercando di dirti delle cose molto importanti.» Alla vista di quegli occhi umidi e lì lì per piangere, l’esperienza di anni gli disse subito che cos’era che non andava. Si chinò, allora, e le sussurrò all’orecchio, per lei sola: «Ho parlato di fare dei cambiamenti, non di eliminare la scena. Quindi, datti una controllata e ascolta».
Poi, riassunto il tono da regista, si rivolse a Winters: «In questa scena, comandante, il suo personaggio Shannon e la giovane signorina Goodall avviano dei preliminari amorosi che porteranno, nella notte stessa, a un rapporto sessuale completo. Nella scena seguente, verranno scoperti in flagrante delicto da una confusa signorina Fellowes, e ciò provoca la situazione senza uscita per la quale Shannon è costretto a fuggire da Maxine e Fred al Costa Verde.
«Ora, la nostra scena non funziona per una ragione: che, vista dalla sala, non dà a nessuno l’impressione che si tratti di preliminari amorosi. A questo punto, per conferire maggior scioltezza, posso cambiarne lo svolgimento — per esempio, col far scoprire Charlotte dietro la porta da uno Shannon già a letto, e col vestire Charlotte in modo che sembri meno bambina —, ma c’è una cosa che non posso fare…» e qui si fermò, guardando dall’uno all’altra e notando che né l’uno né l’altra capivano dove volesse andare a parare.
«Su, venite qua, tutt’e due» fece, con un cenno impaziente della destra. Poi, presa per mano Tiffani con la sinistra e il capitano Winters con la destra, continuò, abbassando il tono: «Voi, in questa commedia, siete amanti di una notte. È quindi fondamentale che il pubblico afferri la situazione, altrimenti non capirà mai bene perché Shannon sia, come l’iguana, allo stremo. Shannon è disperato perché, a suo tempo, è stato estromesso dalla sua chiesa per aver ceduto alla stessa voglia…».
Malgrado lo ascoltassero entrambi, Melvin fiutò, con il suo intuito di regista, che le sue parole non avevano ancora centrato il bersaglio. Gli venne allora un’altra idea: prese la mano di Tiffani e la ficcò in quella del capitano, chiudendovi sopra la propria perché fosse più chiaro. «Guardatevi l’un l’altra per un momento. Così, bene.» Poi, rivolto a Winters: «Lei è giovane e bella, sì o no, comandante?» disse, guardando i due che si fissavano.
«E lui è un bell’uomo, sì o no, Tiffani? Bene: allora voglio che immagini di provare un irrefrenabile desiderio di toccarlo, di baciarlo, di essere nuda con lui.» Tiffani arrossì. Winters si agitò a disagio. Melvin ebbe l’impressione di cogliere una scintilla, anche se fuggevole…
«Domani sera, dunque,» proseguì, guardando Tiffani e staccando la mano dalle due unite «voglio vederti provare questo stesso desiderio quando sarai nascosta nella sua stanza. Voglio che ti esploda quando lui ti scoprirà lì. E lei, comandante,» disse, spostando lo sguardo sull’attore di mezz’età «sarà uno Shannon combattuto fra il desiderio travolgente di possedere questa giovinetta e la quasi certezza che ciò significherebbe per lui la rovina definitiva dell’esistenza fisica e spirituale. Lei si troverà insomma in una trappola senza uscita: teme di esser già stato abbandonato da Dio per via dei peccati da lei commessi in passato, ma, nonostante il suo timore, finirà per abbandonarsi al richiamo della carne e per commettere un altro peccato imperdonabile.»
Tiffani e il capitano Winters si resero conto quasi contemporaneamente di essere ancora là con le mani allacciate. Si guardarono un istante e, imbarazzati, si sciolsero con un certo disagio. Melvin s’infilò tra loro e pose loro le braccia sulle spalle. «Adesso andate a casa e rifletteteci su. E domani sera tornate a fare il vostro figurone.»
Vernon Winters infilò la Pontiac nel vialetto di casa, alla periferia di Key West, poco prima delle undici. La casa era là, tranquilla e silenziosa, le luci spente tranne che in garage e in cucina. Tutto è regolare, come le stelle, pensò. Hap a letto alle dieci, Betty alle dieci e mezza. Dentro di sé vide la moglie entrare nella camera del figlio, come ogni sera, e cincischiare un po’ con lenzuola e copriletto. «Hai detto le preghiere?»
«Sì, signora» rispondeva come sempre Hap.
Poi lei gli dava il bacio della buonanotte in fronte, spegneva la luce uscendo, e andava in camera sua. Dieci minuti per mettersi il pigiama e lavarsi denti e viso, poi in ginocchio accanto al letto, gomiti sulla coperta e viso tra le mani. «Signore caro» avrebbe cominciato a voce alta; poi, a occhi chiusi e muovendo le labbra in silenzio, avrebbe pregato fino alle dieci e mezzo precise. Cinque minuti più tardi, il sonno.
Nell’attraversare il soggiorno per avviarsi alle tre camere da letto, che stavano al lato opposto del garage, avvertì in sé una vaga inquietudine. Lo rodeva qualcosa: qualcosa che non sapeva bene che fosse, ma che doveva essere in relazione col nervosismo della prima imminente o con l’improvvisa ricomparsa di Randy Hilliard nella sua vita. Desiderava parlare con qualcuno.
La prima fermata fu la camera di Hap. Entrò piano al buio e sedette accanto al letto del figlio. Hap dormiva come un ghiro, girato sul fianco, il profilo illuminato da una lucina da notte. Come somigli a tua madre!, pensò. Anche nel modo di fare. Siete tanto vicini, voi due, da farmi quasi sentire un estraneo in casa mia. Posò piano la mano sulla guancia di Hap. Il ragazzo non si mosse. Come rimediare a tutto il tempo che sono stato via?
Lo scosse dolcemente per svegliarlo. «Hap,» disse piano «sono papà.» Henry Allen Pendleton Winters si stropicciò gli occhi, poi si tirò di scatto a sedere. «Sì, signore. È successo qualcosa? Sta forse male mammina?»
«Ma no» rise il capitano. «Mammina sta bene e non è successo niente. Avevo solo voglia di fare quattro chiacchiere.»
Hap diede un’occhiata all’orologio accanto al letto. «Mmm… be’… va bene, papà. E di che cosa voleva parlare?»
Dopo un attimo di silenzio, Winters disse: «Senti, Hap, hai poi letto il copione che vi ho portato, a te e a mamma, quello della mia commedia?».
«No, signore. Ossia, solo un po’,» rispose Hap «perché, ecco, non riuscivo a seguire. Mi spiace, ma credo proprio di non essere all’altezza.» Poi, illuminandosi: «Però non vedo l’ora di vederla recitare, domani sera». Una lunga pausa. Poi: «Ma, in sostanza, di che si tratta?».