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La signora Silver tese la mano. Nick si sentì un po’ goffo nel prenderla, perché non sapeva come stringere la mano a una donna. «A quanto pare, le sono debitrice, giovanotto» disse con garbo la signora Silver. «Brenda mi ha detto che lei ha salvato Teresa da una quantità di orrori.» La luce dei lampioni giocava sui tratti scultorei del viso di lei, e la sua mano era morbida, sensuale. Nick colse una punta di profumo, un che di esotico. Gli occhi di lei erano fissi nei suoi, fermi, penetranti.

«Be’, sì, signora» rispose goffamente Nick. «Cioè… insomma… lei aveva bevuto un po’ troppo e a me è sembrato che il gruppo di ragazzi con cui stava avesse perduto un po’ il controllo.» Qui si fermò, mentre lei continuava a osservarlo, a soppesarlo, provocandogli un’agitazione che lui non sapeva spiegarsi. «Bisognava che qualcuno la aiutasse, e dato che io per caso ero lì…» Non seppe continuare.

La signora Silver lo ringraziò di nuovo, poi si rivolse a Brenda. «Tua madre ti aspetta, cara. Noi resteremo qui finché non sarai rincasata. Segnalaci con la luce quando ci sarai.» Brenda, manifestamente lieta di essersela cavata a buon mercato, si avviò di corsa nella notte verso la sua casa, a un centinaio di metri di distanza.

Seguì una pausa mentre i due osservavano la sedicenne sparire nella notte. Nick si sorprese a spiare il profilo della signora Silver. Una incipiente consapevolezza di ciò che stava provando lo faceva sentire sempre più nervoso. Dio, se è bella! E giovane, anche. Come fa a essere la madre della ragazza? Mentre si dibatteva in un groviglio di pensieri, avvistò in lontananza un lampeggiare di luci.

«Bene, è a casa» disse la signora Silver, voltandosi verso di lui con un sorriso. «Ora possiamo preoccuparci di Teresa.» Tacque un momento, poi, con una risata: «Ah, quasi dimenticavo che non ci siamo presentati. Sono la madre di Teresa, Monica Silver».

«Nick Williams» fece lui in risposta. Gli occhi scuri di lei erano tornati a fissarlo, e la luce riflessa sembrava variarne l’espressione, dandole l’aria ora di folletto, ora di seduttrice, ora di signora della buona società di Palm Beach. O era lui a immaginarselo? Di certo, non reggeva più quello sguardo; e, sentendosi avvampare le guance, stornò gli occhi.

«Ho dovuto portarla dalla spiaggia al parcheggio» disse bruscamente, andando ad aprire la portiera posteriore. La ragazza, che vi era finita appoggiata contro, quasi cadde fuori, ma senza dar segno di vita. Lui la sollevò e se la caricò in ispalla. «Non sarà dunque un problema portargliela in casa. Ormai, ci sono abituato.»

Discesero in silenzio il vialetto, Monica Silver precedeva di qualche passo. Nick ne osservava l’andatura: si muoveva senza sforzo, da ballerina, con portamento quasi perfetto, i capelli scuri raccolti a crocchia dietro la nuca. Devono essere lunghissimi, pensò lui con gioia, immaginandoli sciolti lungo la bella schiena.

Era una notte calda e umida, proprio da Palm Beach, e Nick arrivò all’ingresso tutto in sudore. «Potrebbe farmi un altro favore, Nick?» chiese la signora Silver. «Le spiacerebbe portarla in camera sua? Mio marito non c’è, la servitù è tutta a letto, e dubito seriamente che Teresa possa riprendersi abbastanza da salire le scale, anche col mio aiuto, in un futuro prossimo…»

Guidato dalla signora Silver, Nick, con la ragazza in ispalla, attraversò l’atrio e il soggiorno, salì i gradini dello scalone fino alla piattaforma, infilò la scala di sinistra che conduceva al piano superiore, e arrivò alla camera da letto. Una camera gigantesca: letto matrimoniale con baldacchino, televisore gigante, una vetrina intera di film per il videoregistratore, un impianto stereo da far onore a un complesso rock, e manifesti e foto di Bruce Springsteen dappertutto. Depose Teresa con delicatezza sul letto. Un «Grazie» da lei mormorato rivelò che ora, almeno, era semicosciente. La madre si chinò a darle un bacio.

Nick lasciò sole le due donne e ridiscese le scale per tornare in soggiorno. Non riusciva a credere che qualcuno potesse abitare davvero in una casa del genere. Diamine: il soggiorno, da solo, era più grande della casa di Falls Church in cui lui era cresciuto. Alle pareti erano appesi quadri veri, dal soffitto pendevano lampadari di cristallo, e sui vari tavoli e nei vari angolini e nicchie era una profusione di oggetti d’arte e ninnoli. Dio, che casa! Troppo, troppo…

Sentì una mano sulla spalla e si ritrasse d’istinto. «Santo cielo, non si spaventi: sono solo io!» disse con garbata ironia Monica Silver. Lui si girò a guardarla. Era una sua impressione, o aveva trovato modo di pettinarsi e di truccarsi di fresco nei pochi secondi in cui era rimasta sola? Per la prima volta, la vide in piena luce. Era la donna più bella che avesse mai vista. Gli si mozzò il respiro e provò un senso di vertigine. Fuori, non aveva potuto vedere chiaramente la sua pelle. Ora si sorprese a fissarle le braccia nude, a seguire gli eleganti contorni del collo. Quella pelle aveva la levigatezza dell’avorio, e chiedeva di venir toccata. Controllati, Williams, udì dentro di se una voce, o rischi di commettere uno sproposito.

Si sforzò di calmarsi, ma invano. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Lei stava dicendo qualcosa, gli aveva fatto una domanda. Lui non l’aveva nemmeno sentita, tanto era sbigottito da quanto stava accadendo, dal luogo in cui si trovava. Lei lo stava guidando per la casa. Lui non riusciva più a controllare la fantasia. Entrarono in una piccola stanza dove c’era un tavolo, e lei lo invitò ad accomodarsi.

«È il meno che possa fare,» diceva intanto «per ripagarla di ciò che ha fatto per Teresa. So che deve aver fame, e sono avanzate delle cosine eccellenti dal ricevimento di stasera.»

Nick si trovava in un angolo-prima colazione a lato della cucina. Alla sua sinistra, una porta che dava sul patio e sul retro. Le luci attorno alla enorme piscina erano ancora accese, sicché ebbe una visione di aiuole curate con rose in fiore, sedie e sdraio, ombrelloni colorati, tavolini bianchi di ferro con gambe attorte a merletto… Non riusciva a credere che fosse vero: si sentiva trasportato in un altro mondo, un mondo che esisteva solo nei libri e al cinema.

Monica Silver imbandì la tavola: salmone affumicato, cipolle, capperi, formaggio morbido, due tipi di pane e un piatto di pesce a lui sconosciuto. «Aringa marinata» spiegò lei con un sorriso, vedendo la sua espressione interrogativa. Poi gli porse un bicchiere da vino. Lui lo prese e, senza rendersene conto, la fissò dritto negli occhi. Ne rimase come trafitto. Si sentì debole e impotente, come attratto dai maliosi occhi marrone-scuro di lei nel mondo di ricchezza, lusso e bellezza che doveva essere il suo. E si sentì vacillare le ginocchia, tumultuare il cuore, pizzicare le dita…

Lei versò un po’ di vino bianco prima nel bicchiere di lui, poi nel proprio. «È un ottimo borgogna, Clos des Mouches» disse, toccandogli il bicchiere col proprio in un lieve tintinnìo. «Brindiamo, dunque.»

Lei era radiosa, lui ammaliato. «Alla felicità» disse lei.

Parlarono per più di tre ore. Lei raccontò di essere cresciuta in Francia, figlia di un piccolo commerciante parigino di pellicce con scarsi mezzi, e di aver conosciuto il marito, Aaron (il primo dei grandi mercanti di pellicce di Montreal), mentre aiutava il padre in negozio. Aveva diciassette anni, all’epoca, e il corteggiamento era stato fulmineo: il signor Silver le aveva fatto la dichiarazione a una sola settimana dall’incontro, e lei aveva accettato subito benché l’aspirante marito avesse vent’anni più di lei. Trasferitasi a Montreal, l’aveva sposato prima di compiere diciott’anni. Nove mesi dopo era nata Teresa.

Nick disse di essere al terz’anno di Harvard, dove intendeva specializzarsi in inglese e francese per ottenere una buona formazione umanistica e iscriversi quindi a legge o seguire una specializzazione postuniversitaria. All’udire che era al terz’anno di francese, lei passò dall’inglese alla lingua natia, e il suo nome diventò Monique. Lui perse qualche singola parola, ma non il succo del discorso. E la voce sensazionale di lei, unita al suono della lingua straniera, non fece che accrescere la forza del sortilegio generato dal vino e dalla sua bellezza.