Di quando in quando, se ne uscì anche lui in qualche frase di francese, la magia dell’ambiente e il calore nascente del rapporto avevano spazzato via ogni suo normale scrupolo. E, quando faceva qualche errore, era una risata di gusto per entrambi. Lei lo correggeva con affascinante indulgenza, non scordando mai di aggiungere, sulle prime: «Mais vous parlez français très bien». Poi, quando la conversazione si fece più personale (Nick parlò dei problemi col padre; Monique si chiese a voce alta se c’era qualcosa che una madre potesse fare con una figlia adolescente oltre che sperare di averle impresso qualche valore primario), Monique passò dal “vous” al “tu”, accrescendo l’intimità che già si era creata fra loro che andò approfondendosi coll’avanzare della notte.
Monique parlò di Parigi, del fascino romantico delle strade, dei bistrot, dei musei, della storia, e Nick, visualizzando, si sentì trasportato con lei nella Ville lumière. Lei gli raccontò i suoi sogni di adolescente, quando, passeggiando per il XVI arrondissement fra i ricchi, si riprometteva che un giorno… Lui ascoltava intento, rapito, un sorriso quasi beato sul volto. Alla fine, lei fu costretta a dirgli che era ora di prender congedo, perché l’indomani sul presto la attendeva una lezione di tennis. Erano ormai le tre passate. Lui si scusò, e si avviarono insieme alla porta. Lei disse, ridendo, che era stato bello. Alla porta, si alzò sulla punta dei piedi a baciarlo sulla guancia. Al tocco di quelle labbra, lui si sentì volare il cuore fin chissà dove. «Telefonami, qualche volta» disse lei con un brioso sorriso nel chiudergli la porta alle spalle.
Per più di trenta ore, Nick non fece che pensare a lei, parlandole fra sé durante il giorno, e avendola per amante, in sogno, durante la notte. Le telefonò una, due, tre volte, trovando però sempre a rispondergli la segreteria telefonica. Alla terza, allora, lasciò il proprio numero e indirizzo, pregandola di chiamare lei quando avesse tempo.
Alle dodici del secondo giorno dopo la famosa serata, cominciò a calmarsi, a rendersi conto che quell’adorare l’immagine di una donna conosciuta una sola sera, e sposata a un altro, per giunta, era assurdo. Nel tardo pomeriggio andò alla spiaggia per giocare a pallavolo con altri studenti universitari conosciuti nei primi giorni di permanenza in Florida. Aveva appena battuto un servizio vincente, quando gli parve di sentir chiamare il suo nome da una voce rauca, accentata, inconfondibile.
Sul momento pensò di sognare: a meno di dieci metri, sulla sabbia, c’era Monique. Portava un vivace bikini a strisce bianche e rosse, e i lunghi capelli neri le arrivavano, sciolti, fino alla vita. La partita si fermò, tra i fischi degli amici. Nick le andò vicino, il cuore pulsante alle tempie e il petto così stretto da mozzare il respiro. Con un sorriso, Monique lo prese a braccetto e gli disse che, avendo portato Teresa a Lauderdale per una festicciola di liceo, e dato il caldo…
Passeggiarono lungo la spiaggia, conversando, mentre dietro i palazzi calava il sole. Incuranti dei giovani tutt’intorno, camminavano sulla battigia, i piedi lambiti dalla calda carezza dell’acqua. Monique insisté perché mangiassero nell’appartamento di Nick, e così si fermarono a comprare tonno, pomodori, cipolle e maionese da spalmare sui tramezzini. Birra fredda, patatine e tramezzini su un tavolo nudo di formica furono la cena; l’amore, il dessert. Nick ebbe quasi un orgasmo al primo bacio, e la passione lo rese goffo e comico nel suo armeggio per spogliare Monique del bikini. Monique lo fermò con un dolce sorriso, piegò ordinatamente bikini e calzoncini di lui (che, naturalmente, non stava più nella pelle), e venne quindi a raggiungerlo sul letto. Dopo due baci, Nick venne preso da un parossismo di desiderio e, rotolando bruscamente sopra Monique, cominciò a ruotare le anche. Lì per lì un po’ allarmata, Monique lo indusse a calmarsi un tantino e lo guidò piano a sé.
Il corpo di Monique era quasi perfetto. Bei seni pieni ed erti (rifatti, naturalmente, dopo l’allattamento di Teresa; ma che poteva importare a Nick, se anche l’avesse saputo?), vita stretta, sedere tondo, femminile (non uno di quei sederi mascolini tipici delle supermagre), gambe lisce e muscolose tenute in forma a forza di ginnastica. Ma ciò che mandava in estasi Nick era la sua pelle, quella magnifica pelle d’avorio, così morbida e liscia al tocco.
E la bocca di lei sembrava sposare perfettamente la sua. Nick era stato con due donne, in precedenza: una squillo d’alto bordo offertagli come dono natalizio dopo che la squadra di nuoto di Harvard aveva scoperto che lui era ancora vergine al termine del primo anno, e Jennifer Barnes di Radcliffe, la sua amica fissa per gran parte del second’anno. I denti di Jennifer sbattevano sempre contro i suoi, quando si baciavano, ma questa non era stata l’unica difficoltà del loro rapporto. Da fisica, lei aveva un approccio al sesso di tipo quasi clinico: misurava lunghezze, durate, frequenze e perfino volume dell’eiaculato! Così, dopo tre “esecuzioni controllate”, con lei, aveva deciso che non valeva la pena di continuare.
Nick scivolò in Monique con un gemito, ed entrambi seppero che sarebbe venuto in fretta. Dieci secondi dopo, infatti, raggiungeva l’orgasmo e faceva per ritirarsi. Monique, però, lo tenne in sé avvinghiandogli le natiche, e poi, con mossa abile (che lui non riuscì a capire come avvenisse), gli passò sopra. Nick si sentì fuori del proprio elemento. Nella sua limitata esperienza, all’orgasmo seguiva necessariamente il ritirarsi, sicché ora non capiva che cosa Monique intedesse fare. Piano, molto piano, gli occhi semichiusi e mormorando fra sé un pezzo di musica classica, lei prese a dondolarsi avanti e indietro sopra di lui, le pareti della vagina strette attorno al pene flaccido. Dopo un paio di minuti, passò a premere il pube in avanti, nel suo dondolìo, e, mentre il suo respiro si faceva più affannoso, lui si sentì con stupore nuovamente eccitato. Gli occhi di lei si chiusero quindi del tutto, il ritmo aumentò, e le spinte del suo movimento in avanti gli procurarono un leggero dolore. Ma il suo pene era ormai eretto, ed egli cominciò a rispondere al movimento, a ruotare agilmente il bacino con lei.
Monique si chinò in avanti, concentrata ma sorridente pur a occhi chiusi, preparandosi all’orgasmo. Felice di sentire in sé Nick di nuovo ritto, misurò il proprio venire in maniera perfetta, controllando la cadenze di entrambi, e si piegò a titillare, con sapiente dolcezza, i capezzoli di lui in sincronia con le proprie spinte in avanti. Nick, che non s’era mai visto carezzare i seni durante l’amore, rimase scioccato, ma anche sopraffatto dall’eccitazione pura scatenata da quella carezza. Lei, allora, insistette, arrivando a pizzicarlo quando ne vide (e sentì) la risposta. E mentre il corpo di lei sussultava sotto le ondate di un delizioso orgasmo, Nick emetteva un lungo gemito, venendo per la seconda volta in un quarto d’ora. L’orgasmo di Nick si concluse in un abbandono totale alla voluttà, e versi animaleschi accompagnarono i brividi involontari di soddisfatto godimento.
Il dopo amoroso di Monique, gioioso e tenero, convinse Nick, un po’ imbarazzato per la propria rumorosa e incontrollata risposta, che tutto era andato come doveva. Monique andò al guardaroba, prese una delle sue tre camicie da sera, e se la infilò. Le code le arrivavano quasi alle ginocchia (era alta infatti solo 1,65 contro il quasi 1,90 di lui), e, con quell’indumento maschile addosso e quei lunghi capelli incornicianti un sorriso da folletto, aveva un aspetto sbarazzino da monella. Quando Nick fece per dichiararle tutto il suo amore, lei gli venne vicino e gli mise un dito sulle labbra. Poi lo baciò appassionatamente, gli disse che doveva scappare a prendere Teresa, s’infilò di corsa sotto la doccia per non più di un minuto, si vestì, lo baciò di nuovo, e si avviò alla porta — senza che, in tutto questo tempo, luì avesse trovato la forza di muoversi. Quando fu uscita, Nick si abbandonò a un sonno soddisfatto. E senza sogni.