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Cominciarono ad arrivare gli altri invitati. Jane e Clayton («come in Clayton Poindexter III di Newport e Palm Beach» disse questi; che, richiesto da Nick circa la sua professione, rispose: «SMAS» e spiegò ridendo, vista la sua aria sconcertata: «Senza Mezzi Apparenti di Sostentamento: espressione applicata ai barboni in genere»), che sembravano fungere da padroni di casa in assenza di Monique, presentarono Nick a tutti. Così, nella prima ora di permanenza in casa Silver, lui si trovò a bere tre o quattro martini e a raccontare la storia di Teresa almeno sette volte.

I martini cominciarono a fare effetto. Canticchiando fra sé, ne prese un altro dal vassoio offerto da un domestico. L’alcol gli aveva infuso coraggio, procurandogli una certa qual affabilità e disinvoltura. Mentre conversava sul patio con la “compagna di equitazione” di Monique, un’affascinante venticinquenne di nome Anne, udì uno scroscio di applausi nel salone. «È Monica» disse Anne. «Andiamo a vedere.»

Lo scalone di casa Silver saliva a una piattaforma elevata di un paio di metri rispetto al piano della sala e di qui si biforcava in due rampe diverse che portavano al piano superiore. Monique era sulla piattaforma, in atto di accettare graziosamente l’applauso, vestita di un abito semplice di maglia blu mare, che sembrava tagliato sulla linea del corpo perfetto. Dietro, l’abito aveva uno spacco che le arrivava quasi fin dove arrivavano i suoi lunghi e spettacolari capelli (lo mostrò, girandosi per compiacere la quarantina d’invitati); davanti, due sottili strisce di tessuto scendevano dalle spalle alla vita, coprendo ciascun seno adeguatamente, ma esibendo all’ammirazione una scollatura vertiginosa. Stregato dalla visione della sua regina, Nick le lanciò un appassionato, ma un po’ troppo sonoro «Brava! Brava!». Lei sembrò non udirlo. S’era voltata, ormai, e guardava su per le scale.

Nick impiegò probabilmente un minuto intero per rendersi conto di ciò che stava vedendo. Dalla scala scese un uomo d’aspetto distinto, sui cinquant’anni, in smoking marrone chiaro e con uno spettacoloso anello di zaffiri al mignolo, e quest’uomo abbracciò Monique prendendola per la vita. Monique si sollevò sulla punta dei piedi per baciarlo. Lui sorrise e, ringraziando a gesti gli invitati che applaudivano garbatamente, si diresse con lei nel salone.

E quello chi è?, si domandò Nick, mentre la risposta gli arrivava lampante a dispetto del gin, del vermouth e del senso d’incredulità. Ma è il marito, Aaron. E che ci fa, qui? Perché lei non me l’ha detto? E, subito dopo: Come ha potuto farmi una cosa del genere? Io l’amo e lei mi ama. No, qui c’è qualcosa che non quadra; non è possibile, non è possibile…

Tentò di respirare, e gli parve di sentirsi il petto schiacciato come da una ruspa. D’istinto, si voltò per sottrarsi alla vista della coppia che scendeva a bracceto lo scalone e, nel farlo, versò un po’ di martini sulla spalla di Anne. Si scusò nel più goffo dei modi, poi, scombussolato ormai del tutto, si avviò alla meglio al bar. No, no, pensava intanto, sforzandosi disperatamente di respirare e di calmare il tumulto del cuore. Lei non può farmi questo. Dev’essere un errore. Il suo cervello rifiutava di leggere il messaggio trasmessogli dagli occhi. Ingollò un altro martini, a stento consapevole ormai e di dove fosse e del caos di sensazioni che gli torturavano l’anima.

«Ah, eccolo qui!» disse una voce alle sue spalle: la voce che era venuta a significare per lui la cosa più preziosa e importante della vita, la voce dell’amore: la voce che ora lo atterriva. Si girò, e si vide davanti Monique e Aaron.

«Finalmente, dunque, posso conoscere il giovanotto di cui ho sentito tanto parlare» disse Aaron — affabile, gentile, in tono di pura gratitudine — porgendogli la mano, mentre Monique sorrideva. Dio, com’è bella! Anche adesso che dovrei odiarla… Strinse meccanicamente la mano, accettando in silenzio i ringraziamenti di Aaron per «aver aiutato Teresa in un momento difficile». Poi, senza aprir bocca, spostò lo sguardo su Monique. Lei si rizzò sulla punta dei piedi e lo baciò sulla guancia. Ah, quelle labbra, quelle labbra che continuo a desiderare tanto! Ma perché? Perché? Che cosa ci sta succedendo?

A un tratto si rese conto di avere le lacrime agli occhi. O mio dio, sto per piangere… Imbarazzato oltre misura, si scusò bruscamente e uscì nel patio, le guance ormai rigate di lacrime. Se non mi controllo, qui finisce che mi siedo sull’erba a frignare come un bambino… Confuso, sconcertato, si mise a passeggiare a testa bassa per il giardino, tentando, invano, di ritrovare la respirazione normale.

Sentì una mano toccargli il gomito. Era Jane, l’ultima persona al mondo che in quel momento desiderasse vedere. «Fra qualche minuto verrà da te, ma, prima, lei e Aaron devono completare il giro dei saluti — sai com’è, quando si è padrone di casa a un ricevimento…» Jane accese una sigaretta. Nick sentì che stava per vomitare, si voltò di scatto per chiederle di spegnerla, e perse l’equilibrio.

Fosse l’alcol, fosse l’adrenalina, fosse che non ne poteva proprio più, il fatto è che si sentì girare vertiginosamente la testa. Così, senza volerlo, si appoggiò a Jane per sostenersi. Lei, fraintendendo, gli prese la testa contro la spalla. «Su, su,» disse «non prendertela tanto. Tu e Monique avrete ancora un po’ di tempo da stare insieme. Aaron si fermerà solo un paio di giorni e poi tornerà a Montreal per il suo lavoro. E poi,» aggiunse con brio «se sei bravo anche solo un filo rispetto a quello che dice Monica, sarò ben lieta di prendermi io cura di te mentre lei sta con Aaron.»

Nick la respinse di scatto, vacillando all’indietro come se avesse ricevuto una mazzata in faccia. Il significato di quelle parole gli apparve a poco a poco nella sua pienezza, suscitandogli un misto incontrollabile di rabbia e dolore. Cosa?! Cosa?! Ma allora sa: questa vomitevole puttana sa! E forse lo sanno tutti. Ah sì? Vaffanculo tutto, allora, vaffanculo! Poi, quasi immediatamente, mentre il cervello cominciava a rendersi conto degli eventi della serata: Come si esce di qui? Dov’è l’uscita? Mentre girava intorno alla casa (perché, dentro, non tornava di sicuro), dal profondo di sé udì montare un suono, un suono che saliva incontenibile alla superficie: il gemito del dolore, il grido nudo e ineluttabile dell’animale giunto alla disperazione totale. Millenni di acculturazione hanno fatto sì che accada di rado di udire gridi del genere in bocca a esseri umani. Ma il grido, acuto e inconsueto, che salì nella notte di Palm Beach come la sirena di un’auto della polizia, fu per Nick la prima consolazione. E, mentre gli invitati andavano chiedendosi che cosa fosse mai ciò che avevano sentito, lui montò sulla Pontiac 1977 e si avviò.

Diresse a sud per Fort Lauderdale, il cuore che seguitava a battere all’impazzata, il corpo tremante d’adrenalina, la mente un susseguirsi caotico di immagini sconnese. Fuoco di ciascuna era Monique: Monique in pelliccia di foca d’Alasca, Monique in costume da bagno bianco e rosso, Monique in abito da sera — di quella sera (un sussulto, quando sul margine sinistro dello schermo mentale apparve Aaron che scendeva le scale…). Tutto senza senso, dunque? Un gioco e basta? Nick era troppo giovane per conoscere i lati grigi della vita: era ancora nell’età del tutto bianco o tutto nero, quando ogni cosa è o favolosa o una merda. Monique, dunque, o lo amava appassionatamente e quindi doveva voler abbandonare la sua lussuosa vita per sposarlo, o lo aveva fin qui usato per soddisfare i propri bisogni sessuali e il proprio capriccio. Insomma, concluse, arrivando all’appartamento dello zio a Fort Lauderdale, sono stato uno dei suoi tanti giocattoli. Come le pellicce e i cavalli e gli yacht e i vestiti. Ho contribuito al suo piacere.