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Una delle balene arrestò il suo moto circolare e si dispose come in osservazione dei due interlocutori. «Nel cervello delle balene c’è un’ampia fetta alla quale non siamo stati in grado di assegnare una funzione specifica. Anni fa, dopo aver ascoltato i versi delle balene in migrazione, uno scienziato geniale, correlandoli al resto del loro comportamento, ha postulato che quest’ampia e inspiegata fetta di cervello fosse una schiera multidimensionale di memoria. Secondo la sua ipotesi, insomma, le balene immagazzinerebbero in questa schiera interi episodi — includenti cose viste, suoni, e perfino sensazioni —, che poi rivivrebbero durante la migrazione così da alleviarne la noia. E i nostri esperimenti cominciano appunto a confermarlo.»

«Vuoi dire,» fece, incuriosita Carol «che potrebbero mettere in quella schiera la serie completa di impressioni sensorie generate da un evento importante — come il parto, per esempio, — e poi, in questo o quel momento particolarmente noioso della migrazione, tirarne fuori, in certo senso, una riproduzione completa e istantanea? Accidenti, ma è affascinante! Io ho una memoria che è una fonte d’irritazione perenne: sarebbe formidabile se potessi entrarci, di mia volontà, e tirarne fuori quello che voglio — sensazioni comprese!» Poi, ridendo: «D’estate, per esempio, a volte mi è successo di non riuscire a ricordare con precisione il grande piacere che si prova a sciare, e ho provato una sensazione quasi di panico al pensiero di non ritrovarlo magari più, l’inverno seguente».

Oscar fece dei cenni alla balena, che si allontanò. «Bada, però,» disse «già altri hanno pensato che sarebbe fantastico se le nostre memorie fossero complete come quelle di un elaboratore… Ora, supponiamo di avere una memoria completa, multidimensionale, come quella ipotizzata per la balena, e supponiamo pure di conservare la medesima mancanza di controllo d’immissione quale è caratteristica della memoria umana attuale — che, come sai, ci consente di comandare noi, il che cosa e il quando ricordare. Ebbene, in tal caso sorgerebbero dei problemi. Potremmo addirittura diventare non funzionali come specie. Una canzone, un quadro, un odore, il sapore di un dolce, magari, potrebbero costringerti, da un istante all’altro, a fronteggiare di nuovo l’intero arco di emozioni associate alla morte di una persona cara, a rivedere un litigio doloroso fra i nostri genitori, o addirittura a rivivere il trauma della nostra nascita.»

Dopo un momento di silenzio, Oscar proseguì: «No, l’evoluzione ci ha serviti bene. Non potendo sviluppare un meccanismo di controllo immissione per la nostra memoria, essa, per proteggerci, per impedirci di venir demoliti da errori o eventi passati, vi ha inserito un processo di dissolvimento naturale…».

«Carol Dawson, Carol Dawson,» echeggiò l’altoparlante, infrangendo la quiete dell’acquario dell’IOM «è pregata di presentarsi subito nella sala riunioni audiovisive accanto allo studio del direttore.»

Carol strinse Oscar in un abbraccio affettuoso. «È stato un gran piacere, Ozzie, come sempre,» disse, osservandone il sussulto all’impiego del vezzeggiativo «ma pare che abbiano terminato di sviluppare le foto. Tra parentesi, la storia della memoria delle balene mi pare proprio affascinante, perciò intendo tornare a farci sopra un servizio. Un giorno della prossima settimana, magari. Un abbraccio a tua figlia e a tuo nipote.»

La conversazione con Oscar l’aveva tanto appassionata, da farle dimenticare per un momento lo scopo del suo volo mattiniero a Miami. Ora, tornando in macchina dall’acquario all’edificio amministrativo principale dell’IOM, si sentì riprendere da un forte senso di eccitazione. A colazione, Dale si era detto fiducioso che l’elaborazione delle immagini infrarosse avrebbe rivelato qualcosa d’interessante. «Dopo tutto, l’allarme oggetto-estraneo è stato azionato ripetutamente e, dato che le immagini visive non hanno rivelato nulla, ne consegue che, o è stato azionato dalle osservazioni infrarosse, o c’è stato un cattivo funzionamento dell’algoritmo» aveva ragionato. «La seconda possibilità è però assai improbabile, perché il flusso-dati è stato disegnato da me personalmente e provato, dopo la codificazione, dai miei programmatori migliori.»

In sala riunioni, Carol trovò un Dale agitato in maniera piuttosto insolita. Quando fece per porgli una domanda, lui, dopo il sorriso di saluto, la zittì con un’energica scossa del capo, continuando a parlare con due tecnici addetti all’elaborazione delle immagini. «Siamo d’accordo, allora? Voi disponete le immagini in questa sequenza, e io le chiamerò singolarmente usando il telecomando.» I tecnici lasciarono la sala.

«Che colpo, cazzo, che colpo: da non crederci!» esclamò quindi Dale, venendole vicino e afferrandole le braccia. Poi, calmatosi un po’: «Ma andiamo per ordine. Mi sono promesso di non guastarti la festa». E, invitatala ad accomodarsi al grande tavolo davanti allo schermo gigante, lei si sedette accanto e pigiò il telecomando.

Sullo schermo apparve un’istantanea fissa delle tre balene nella zona della scogliera sottostante alla barca. Sulla destra e sotto di esse si distingueva chiaramente la fessura. Allo sguardo di Dale, Carol disse, alzando le spalle: «Va bene, e allora? Ho preso immagini altrettanto buone con la mia subacquea».

Dale tornò a guardare lo schermo e pigiò il telecomando a più riprese. Le scene successive furono zumate sul foro della barriera corallina: zumate sempre più ravvicinate, che finirono per incentrarsi sopra un puntino luminoso nell’angolo inferiore sinistro della fessura. Al nuovo sguardo di Dale, Carol rispose pensosa: «Un ingrandimento così, credo di avercelo anch’io. Però è impossibile dire se il puntolino rappresenti davvero qualcosa o se sia soltanto un sottoprodotto dello sviluppo». Poi, dopo una pausa: «A ben guardare, però, il fatto che la luce sia stata trovata praticamente nel medesimo punto da due tecniche diverse suggerisce che potrebbe anche non trattarsi di una distorsione causata dal processo di elaborazione. E adesso, cosa viene?» concluse, chinandosi in avanti con aria interessata.

Incapace di contenersi più a lungo, Dale saltò in piedi e cominciò ad andare avanti e indietro per la sala. «Adesso,» rispose «viene quello che potrebbe essere il tuo biglietto d’invito alla cena del Pulitzer a New York! Ora ti mostrerò la stessa, precisa sequenza delle immagini, salvo che si tratta di quelle infrarosse, scattate una frazione di secondo dopo. Osserva attentamente, e soprattutto il centro della fessura.»

La prima immagine infrarossa copriva la medesima area della prima immagine visiva, ossia quella sottostante alla barca, ma rappresentava le variazioni termiche. Nel processo di elaborazione, a ogni pixel (singolo elemento visivo dell’immagine) veniva attribuita una temperatura specifica basata sulla radiazione infrarossa osservata nel relativo settore d’inquadratura. Le temperature simili venivano quindi raggruppate insieme dall’elaboratore, che assegnava loro il medesimo colore. Il procedimento aveva così per risultato la creazione di regioni isotermiche (ossia di temperatura all’incirca uguale) collegate visivamente fra loro dal colore. Nella prima immagine infrarossa, dunque, le balene risaltavano in rosso, contro il blu della maggior parte delle piante della barriera corallina, sullo sfondo grigio-fosco della temperatura normalizzata dell’acqua. Carol ci mise un momento per adeguarsi alla nuova immagine (mentre Dale esibiva un sorriso di trionfo), e, prima che potesse focalizzare lo sguardo su due piccole regioni, una rossa e l’altra marrone, nel centro del foro della barriera, lo schermo si scoprì, in pochi secondi di zumate, di un’immagine infrarossa ravvicinata della fessura. Un’immagine che spiegava bene come mai Dale fosse tanto emozionato.

«Te lo dicevo che doveva esserci qualcosa sotto la barca» fece, andando allo schermo e puntando il dito su un oggetto oblungo di color marrone, cilindrico a un capo e affusolato all’altro. Ingrandita dallo zoom, la fessura riempiva quasi completamente lo schermo, né il processo d’ingrandimento aveva sciupato l’ottima qualità dell’immagine infrarossa. All’interno dell’apertura si vedevano tre o quattro colori diversi, ma solo due, il marrone e il rosso, apparivano costanti in una quantità significativa di pixel.