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Troy lo raggiunse e programmò il lettore per il pezzo 8. «Credevo non me l’avresti chiesto mai» sogghignò espansivamente. «Ma la risposta migliore te la darà probabilmente la canzone.» Nick sedette su una delle inconsuete poltrone e ascoltò una dolce ballata, dal ritmo facile e piacevole, intitolata Let Me Take Care of You, Baby. Raccontava la storia di un amante di talento che sapeva far ridere la cantante a casa o a letto. I due erano compatibili, amici, ma lui non poteva impegnarsi perché non era ancora arrivato. Così, nell’ultima strofa della canzone, la donna lo invitava a inghiottire il suo orgoglio e a lasciar fare a lei.

Nick guardò Troy strabuzzando gli occhi e scuotendo la testa. «Jefferson, sei troppo forte» disse. «Non so mai quando dici la verità e quando spandi stronzate a piene mani!»

Troy si alzò ridendo dal divano. «Ma, professore, è proprio questo il lato interessante!» Poi, prendendogli la lattina vuota, continuò con un sorriso, fissandolo negli occhi: «Per te è difficile credere che il tuo buffo primo ufficiale nero abbia magari qualche dimensione nascosta, eh?».

Giratosi, andò in cucina, e Nick lo udì aprire altre lattine e versare patatine in una ciotola. «Be’, sto sempre aspettando» gli diede la voce. «Me la dài o no questa notizia da prima pagina?»

«Angie e io ci conosciamo da cinque anni» rispose Troy dalla cucina. «Abbiamo cominciato a uscire insieme che lei aveva solo diciannove anni, e non sapeva niente della vita. Una sera che siamo stati qui, poco dopo che ci sono venuto ad abitare, ci siamo messi ad ascoltare un album di Whitney Houston, e Angie ha cominciato a cantare.»

Tornò in soggiorno e posò la ciotola di patatine assortite sul tavolinetto da caffè in legno, sedendosi quindi nella poltrona accanto alla sua. «Il resto, come dicono a Hollywood, è storia.» Agitando le braccia, continuò: «L’ho presentata al proprietario di un locale notturno di qui. Nel giro di un anno, lei aveva un contratto, io un problema. Era la mia donna, ma non potevo tollerare di esserle inferiore finanziariamente». Cosa per lui inconsueta, rimase quindi calmo e silenzioso per qualche secondo. «È proprio una merda quando ai sentimenti per l’unica donna che si sia veramente amata viene a frapporsi l’orgoglio.»

Sorpreso a scoprirsi commosso da questa confessione intima, Nick si sporse dalla poltrona e gli posò leggermente la mano sulla spalla, in segno di comprensione. Troy cambiò subito argomento. «E che mi dici di te, professore? Quanti cuori infranti tieni appesi nell’armadio? Ho visto, sai, il modo con cui ti guardano Julianne e Corinne e anche Greta. Com’è che non ti sei mai sposato?»

Nick rise e tracannò la sua birra. «Cristo, questo dev’essere proprio il mio giorno fortunato. Ma lo sai che sei la seconda persona, oggi, che mi chiede della mia vita amorosa? E la prima è stata una settantenne.»

Un’altra sorsata, e continuò: «A proposito di Greta, mi sono imbattuto in lei proprio stamattina — e non per caso: lei era là ad aspettarmi mentre ero da Amanda. Sapeva che ieri abbiamo trovato qualcosa e voleva parlare di un patto di collaborazione. Tu, ne sai niente?».

«Eccome se lo so» rispose Troy con naturalezza.

«Dev’essere stata incaricata da Homer di spiarci, perché ieri sera, quando ho finito con la barca, lei si è presentata sul molo per farmi cantare. Ti ha visto andartene con la sacca sportiva e deve aver immaginato, o saputo, che avevamo trovato qualcosa. Io, però, non le ho detto nulla, ma neanche ho negato, perché, come ricorderai, Carol e io eravamo stati visti alla capitaneria, con tutto quel fiorfiore di attrezzature, da Ellen.»

«Già, lo so,» disse Nick «né, del resto, mi aspettavo io stesso di poter tenere la faccenda nascosta in eterno. Soltanto, vorrei che potessimo trovare qualche altro pezzo di tesoro, se ne esiste uno, prima che quei ficcanaso comincino a tallonarci…»

Per un po’, continuarono a bere in silenzio. Poi Troy disse, con un sorriso malizioso: «Tu, però, hai schivato la domanda sulle donne. Com’è che uno come te, bello, istruito, apparentemente non omosessuale, non ha una donna fissa?».

Nick rifletté un momento, studiando la faccia amichevole, schietta, di Troy, poi decise di lanciarsi. «Con precisione, non saprei nemmeno io, Troy,» rispose serio «ma penso sia perché forse sono io stesso a respingerle tutte quante. Trovo sempre qualcosa di storto in modo da avere una scusa…» Qui, gli balenò un’idea. «Forse è un modo di mettermi in pari. Tu parlavi di cuori infranti nel mio armadio: ebbene, il più infranto di tutti è il mio. Me l’ha mandato in mille pezzi, quand’ero ragazzo, una donna che, probabilmente, di me non sì ricorda nemmeno più.»

Troy si alzò dalla poltrona per andare al lettore CD e cambiar musica. «Eccoci dunque entrambi a lottare con l’infinita complessità della specie femminile» disse in tono frivolo. «Rimanga pure matta e misteriosa e meravigliosa! Fra parentesi, professore, l’argomento l’ho tirato in ballo per metterti in guardia» continuò, col suo ghigno caratteristico. «Perché, mi sbaglierò, ma quella giornalista ti ha nel mirino. È una che ama le sfide, quella, e tu, finora, hai mandato solo segnali negativi — a dire poco.»

Nick balzò dalla poltrona come una molla. «Mi vado a prendere un’altra birra, brav’uomo. Fino a questo momento pensavo di star parlando a una persona dotata di intuito e intelletto, ma ora scopro di parlare invece a uno stupido nero che pensa che “testa di cazzo” sia un vezzeggiativo…» Nell’avviarsi alla cucina, si fermò un istante per prendere qualche patatina. «Fra parentesi,» gridò a Troy fra una masticata e l’altra «al telefono mi avevi detto che intendevi mostrarmi una cosa. Alludevi all’album di Angie Leatherwood o a che altro?»

Troy gli andò incontro nel corridoio mentre lui tornava con la birra. «A un’altra cosa» rispose serio. «Ma prima ho voluto parlarti un po’ perché… be’, non so bene. Forse, per farmi coraggio, per convincermi che non mi avresti preso in giro.»

«Ma di che stai parlando?» fece Nick, un po’ confuso.

«Sta qua dentro» disse Troy, picchiando con le nocche su una porta chiusa in fondo al corridoio, in direzione opposta al soggiorno. «È la mia creatura. Ci lavoro ormai da due anni, la maggior parte del tempo da solo (anche se ho avuto un certo aiuto da Lanny, il fratellino artista di Angie), e ora vorrei che la provassi tu.» Poi, con un sorriso: «Sarai il mio primo sperimentatore-alfa».

«Ma che cavolo… lo non ci capisco un tubo. Che razza di cosa sarebbe uno sperimentatore-alfa?» esclamò Nick, corrugando la fronte nel tentativo di comprendere. Le due birre a stomaco vuoto gli avevano già messo addosso un vago, inaspettato ronzìo.

«Ho inventato un gioco elettronico» scandì Troy, perché capisse bene. «Un gioco a cui lavoro da quasi due anni e tu sarai il primo estraneo a giocarci.»

Nick fece una smorfia come se avesse appena mangiato dell’uva asperrima. «Moi?» esclamò. «Tu vuoi che io giochi a un gioco elettronico? Che io, che ho una coordinazione mano-occhio quasi nulla già da sobrio, mi segga a sparare ad alieni, o a sganciar bombe, o a tirar palline a velocità frenetica, come solo un adolescente potrebbe divertirsi a fare? Ma ti ha dato di volta il cervello, per caso? Jefferson, io sono Nick Williams, quello che tu chiami Professore: l’uomo che, quando si vuole divertire, si siede a leggere un libro

«Bene, bravo!» fece Troy, ridendo di cuore alla sparata. «Come sperimentatore-alfa, sei perfetto. Il mio gioco non è di quelli da sala-giochi che servono a provare i riflessi — anche se, in qualche punto, richiede anche lui una certa prontezza —, ma un gioco d’avventura. È un po’ come un romanzo, salvo che è il giocatore a decidere il finale. E siccome miro a un pubblico ampio, ci ho ficcato un sacco di trucchi tecnologici inediti. E mi piacerebbe tanto vedere la tua reazione.»