Выбрать главу

Prendendo l’alzata di spalle di Nick per un sì, aprì la porta di quella che avrebbe dovuto essere la camera da letto padronale, e che invece si rivelò uno stanzone pieno zeppo di un quasi fantasmagorico complesso di apparecchiature elettroniche. Lì per lì, Nick ebbe un’impressione di caos totale. Poi, dopo aver scosso la testa e sbattuto le palpebre un paio di volte, distinse un certo ordine nelle congerie di microscopi, monitor, cavi, elaboratori e pezzi sparsi. In un punto dello stanzone, davanti a uno schermo gigante, c’era una sedia e, fra questa e quello, un tavolo basso con sopra una tastiera. Troy lo invitò a prendere posto.

«Il mio gioco si chiama Avventura aliena,» esordì tutto agitato «e comincerà non appena avrò inserito i dischetti e tu sarai pronto alla tastiera. Prima di cominciare, però, bisogna, che ti dica alcune cose.» Inginocchiatoglisi accanto, indicò la tastiera. «Mentre giochi, devi sempre tener a mente tre tasti chiave. Primo, la X, che ferma l’orologio. L’orologio continua ad andare dall’istante in cui cominci la partita, e, mentre va, tu consumi risorse vitali. Per fermarlo senza pagare penalità, in modo da aver il tempo di riflettere un po’, c’è un solo modo: quello, appunto, di pigiare la X.

«Più importante ancora della X è la S, che è quella che ti permette di bloccare, o, come diresti tu, di salvare la partita. Per adesso tu certo non puoi capire ciò che dico, perché non hai mai giocato a giochi elettronici complessi, ma credimi sulla parola quando dico che devi assolutamente imparare a bloccare regolarmente la partita. Quando batti la S, tutti i parametri della partita che stai giocando vengono scritti in una speciale bancadati che ha un identificatore unico. Questo identificatore tu puoi richiamarlo in qualunque momento, e la partita ricomincerà nel punto esatto in cui l’avevi bloccata. È una specie di salvavita, insomma. Se scegli una strada rischiosa e il tuo personaggio finisce per lasciarci la pelle, questo salvavita ti consente di non dover ricominciare tutto daccapo.»

Nick era sbalordito. Il Troy che aveva accanto era diverso da quello che conosceva. Certo, la sua capacità di aggiustare tutti o quasi gli apparecchi elettronici di bordo non aveva mancato di sorprenderlo e anche di impressionarlo non poco, ma mai avrebbe immaginato che, una volta a terra, si dedicasse ad aggeggiare con apparecchi simili in maniera assai più creativa. E ora quello stesso nero sorridente l’aveva fatto sedere davanti a uno schermo gigante e gli teneva pazientemente lezione come a un bambino, e lui smaniava di conoscere il seguito.

«Da ultimo,» disse Troy, chiedendogli con gli occhi se fin lì ci fosse «c’è la H, o tasto di soccorso. Quando hai esaurito la fantasia e non sai cosa fare, lo premi, e la partita ti fornirà gli spunti su come procedere. Attento, però: mentre ricevi soccorso, l’orologio continua a correre. E, in certi punti — come durante una battaglia, per esempio —, premerlo può essere disastroso, perché, nel tempo in cui la partita elabora la tua richiesta di aiuto, tu sarai praticamente indifeso. La H ha dunque il suo uso ottimale quando ti trovi in un momento favorevole e tenti di elaborare una strategia globale.»

Sempre accosciato accanto, Troy gli porse un taccuino a spirale e lo invitò ad aprirlo. La prima pagina diceva «Dizionario dei comandi». Le altre contenevano una voce ciascuna, scritta a mano in maniera leggibile, che spiegava il tipo di comando relativo alla lettera-tasto cui era intitolata la pagina. «Qui c’è il resto dei comandi, che sono cinquanta in tutto» disse Troy. «Inutile che li impari a memoria, perché ci sarò io ad aiutarti. Ma vedrai che, a mano a mano che giochi, ne imparerai lo stesso alcuni. La maggioranza di quelli importanti viene attivata da una battuta singola sulla tastiera; per alcuni, invece, ce ne vogliono due diverse.»

Nick sfogliò il taccuino. Notò così che la L corrispondeva al comando “Look”, ma che occorreva un numero per avere lo strumento del guardare. L seguita da 1, per esempio, significava “guardare coi propri occhi”; L8, “guardare con uno spettrometro ultravioletto” (che accidenti era, poi…). Confuso e conquistato, rivolse lo sguardo a Troy, che si affaccendava nella regolazione finale di certi apparecchi.

Troy tornò accanto alla sedia e, guardandolo, disse: «Penso che tu sia pronto, domande?».

«Una soltanto, mio sire e duca» rispose Nick con burlesca umiltà: «Lice ch’io abbia, di grazia, un’altra birra, avanti ch’io rischi la mia virilità in qualche bizzarro mondo di vostra creazione?».

A dire il vero, Nick non era ancora pronto per il gioco. Anche dopo che Troy ebbe inserito tre CD, ci furono altri preliminari prima che il gioco potesse cominciare. In risposta a domande che apparvero sullo schermo gigante, Nick dovette battere nome, razza, età e sesso ciò che lo indusse a guardare l’amico con aria interrogativa. «Niente domande a questo punto» fece Troy. «Ti sarà tutto chiaro fra poco.»

Lo schermo si riempì di un bel pianeta ad anelli, che sembrava l’immagine di un Saturno visto da un artista con predilezione per il color porpora. La prospettiva era vista dal polo del pianeta, per cui gli anelli risultavano disposti come i cerchi concentrici di un bersaglio da freccette. Gli anelli emettevano a intermittenza dei piccoli lampeggi, simboleggianti la prossimità del sole, di una stella o di una qualche sorgente luminosa, all’osservatore. L’immagine era davvero bella. Per tre o quattro secondi, mentre nella stanza si diffondeva un dolce sottofondo di musica classica, al pianeta ad anelli si sovrappose il titolo del gioco, in lettere maiuscole: Avventura aliena, di Troy Jefferson. Nick trattenne l’impulso di ridere, quando uno degli altoparlanti diffuse la voce di Troy, chiaramente seria e compresa di sé.

La voce registrata di Troy spiegò le regole iniziali del gioco. Il protagonista dell’avventura si trovava in una stazione spaziale in orbita polare attorno a Gunna, sommo pianeta di un altro sistema solare il cui corpo centrale era la stella di tipo-G da noi chiamata Tau Ceti, distante solo una decina di anni luce dalla Terra. «Tau Ceti ha otto corpi primari nel proprio sistema:» disse la voce di Troy «sei pianeti e due lune.

«Il commissariato della stazione può fornire carte del sistema,» continuò la voce di Troy «ma per alcune zone esistono solo carte approssimative. La tua avventura comincia con te addormentato nella tua cabina a bordo della stazione, sul tuo ricevitore personale suona un allarme…»

La voce svanì per lasciar posto allo squillo d’allarme. L’inquadratura dello schermo gigante rappresentava l’interno di una cabina spaziale, quasi certamente preso da uno dei tanti film fantascientifici di successo. Nell’angolo superiore destro dello schermo, un orologio digitale scattava di una unità ogni quattro secondi circa. Nick rivolse a Troy lo sguardo di chi non sa che fare, e Troy gli suggerì di battere la L. Nel giro di secondi, Nick apprese così di poter usare i tasti direzionali per guardare questo o quell’oggetto della cabina. A ogni battuta di tasto direzionale, l’immagine sullo schermo cambiava in modo da corrispondere al punto d’osservazione. Nick notò un’immagine confusa sul piccolo televisore della cabina, e Troy gli suggerì di stare ad osservarla finché non fosse divenuta netta.

Quando l’immagine del televisore fu finalmente a fuoco, Nick poté vedere una giovane donna vestita di una lunghissima veste rosso-vivo che arrivava fin quasi al pavimento. La donna stava, un po’ incongruamente, in una stanzetta disadorna munita di letto singolo, tavolino e sedia. Da una finestra solitaria, vicina al soffitto e dietro il tavolino, filtrava un po’ di luce. Nel vetro della finestra erano infisse grosse sbarre verticali.

La telecamera zumò sul suo viso. Nick si sporse in avanti sulla sedia. «Ma… ma è Julianne!» fece sbalordito, nell’istante in cui la donna cominciava a parlare.