«Capitano Nick Williams,» disse, con sua grande sorpresa, Julianne «tu e io non ci conosciamo, ma la tua fama di uomo valoroso e giusto non ha eguali nella Federazione. Io sono la principessa Heather di Othen. Andando al gran ballo inaugurale del viceré Toom, sono stata rapita da certi villeni e portata nella loro fortezza del pianeta Accutar. Costoro hanno fatto sapere a mio padre, re Merson, che verrò rilasciata solo se egli cederà loro tutti gli asteroidi ricchi di minerali della regione di Endelva.
«Questo, Nick, mio padre non deve assolutamente farlo,» continuò gravemente la principessa, mentre la telecamera zumava sul suo volto «perché priverebbe il nostro popolo della sua unica sorgente di hanna, che è la chiave della nostra immortalità. Le mie fonti mi dicono che mio padre va già consumandosi sotto il peso del tragico dilemma in cui si trova. Mia sorella Samantha è fuggita da Othen con una divisione-chiave dei nostri migliori soldati e un’enorme scorta di hanna, ma non è chiaro se intenda venire a liberare me o ribellarsi contro la signorìa di mio padre nel caso in cui decida di cedere gli asteroidi di Endelva in cambio della mia vita. Da sempre, infatti, Samantha è una creatura del tutto imprevedibile.
«Ieri, i villeni hanno inviato un ultimatum a mio padre: ha tempo un mese per decidere, dopodiché verrò decapitata. Capitano Williams, ti prego: aiutami. Non voglio morire. Se vieni a salvarmi, dividerò con te il trono di Othen e il segreto della nostra immortalità, e vivremo in eterno come re e regina.»
La trasmissione s’interruppe bruscamente e l’immagine svanì per lasciare di nuovo il posto all’interno della cabina spaziale. Nick resistette all’impulso di applaudire, rimanendo immobile a sedere. Troy era riuscito, chissà come, a fare di Julianne una principessa Heather assai credibile. Ma come avrà fatto a ficcarci il mio nome?, si domandò. Avrebbe voluto porre delle domande, ma lo schermo gigante lampeggiò un avvertimento; il tempo passava e il protagonista dell’avventura non agiva ancora. Nick trovò la X e l’orologio digitale sullo schermo si fermò. «E adesso, cosa faccio?» chiese a Troy.
Con l’aiuto occasionale di questo, si equipaggiò per un viaggio, trovò la strada del porto spaziale, e s’imbarcò su una piccola navetta. Troy lo avvertì che, se non dedicava un po’ di tempo a esaminare le altre attrezzature della stazione spaziale, avrebbe avuto scarse possibilità di sopravvivenza, nello “spazio aperto”; ma lui non se ne diede per inteso e partì in tromba. Il gioco era davvero appassionante. I comandi della tastiera regolavano velocità e direzione, e poiché l’immagine sullo schermo vi corrispondeva perfettamente, lui aveva l’impressione di stare veramente alla guida di un veicolo in volo nello spazio. Nel dirigere verso l’obiettivo, un pianeta di nome Gunna, vide sul monitor molti altri veicoli, nessuno dei quali, però, in avvicinamento al suo. Ma, appena al di qua della sfera d’influenza di Gunna, gli arrivò rapidamente incontro un velivolo dal muso aghiforme, che, senza preavviso, gli sparò addosso una raffica di missili, ai quali lui non poté sottrarsi. Lo schermo si riempì di fuoco: la navetta era esplosa. Il monitor s’annerì, e al suo centro rimase solo la scritta FINE PARTITA.
«Un’altra birra?» chiese Nick, sorpreso di scoprirsi dispiaciuto per la morte del proprio personaggio.
«E come no, capitano!» rispose Troy.
Passarono insieme in cucina. Troy aprì il frigorifero e ne tolse altre due birre, porgendone una a Nick, che continuava a pensare al gioco. «Se ricordo bene,» disse Nick ad alta voce «la pianta della stazione spaziale indicava quattro settori, e io ne ho visitati solamente due. Ti spiacerebbe dirmi cos’erano gli altri due?»
«Mensa e biblioteca» rispose Troy, felice di quel perdurare d’interesse. «La mensa non è troppo importante,» aggiunse ridendo «anche se, non t’ho mai visto andare da qualche parte senza prima aver mangiato… La biblioteca, invece…»
«Non dirmelo» lo interruppe Nick. «Voglio arrivarci da solo! In biblioteca avrei potuto documentarmi sui villeni e gli othenariani, o come accidenti si chiamano, che possono vivere in eterno, e apprendere cosa fosse, precisamente, un viceré di Toom.» Scuotendo la testa, continuò: «Ah… Troy, devo proprio confessare che sono sbalordito. E davvero non riesco a capire come tu abbia fatto a creare una cosa così — della quale, per giunta, immagino che avrò visto finora solo la superficie».
«Vuol dire che sei pronto a continuare, professore?» fece Troy, con un gran sorriso di soddisfazione per l’elogio avuto. «Permetti un consiglio, però. Quando sarai in biblioteca, da’ un’occhiata all’Enciclopedia dei veicoli spaziali, così da metterti in grado, perlomeno, di riconoscere le navi nemiche, quando ti capiteranno sullo schermo. Altrimenti, alle parti eccitanti del gioco non ci arrivi.»
Il pomeriggio passò in fretta. Nick trovò splendidamente distensiva l’evasione nel fantasioso mondo del gioco di Troy: proprio il tonico che gli ci voleva dopo i ricordi di Monique. Troy, rendendosi conto del suo divertimento, ringalluzzì tutto: provò un empito di fervore creativo, e sentì rinascere in sé la convinzione che Avventura aliena sarebbe stata il suo biglietto d’ingresso nel mondo del successo.
Nella sua vana ricerca della principessa Heather, Nick morì un altro paio di volte. La prima, quando atterrò su un pianeta, non segnato dalla carta, di nome Thenia. Qui, un nero dalla testa di lucertola venne a dirgli che se ne andasse, perché su quel pianeta c’erano solo guai. Ignorando il consiglio, lui si allontanò dalla navetta con un fuoristrada, ciò che lo portò a schivare di misura un’eruzione vulcanica, ma a finir intrappolato e inghiottito da un gigantesco budino melmoso trasudante dal terreno in prossimità del luogo d’atterraggio della navetta.
In un’altra reincarnazione, incontrò Samantha, la sorella della principessa Heather, interpretata in un paio di scene da Corinne, l’amica del cuore di Julianne. Troy aveva dato a Corinne l’aspetto di Susie Q, la famosa pornodiva dei primi anni Novanta, e gran parte delle inquadrature sullo schermo proveniva appunto da Piacere al limite del dolore, il suo classico dell’osceno. Un’abile interfacciatura di fotogrammi nuovi e fotogrammi del film dava l’illusione di esser dentro il film con Susie Q, e di riceverne prestazioni sessuali irrifiutabili.
Samantha, alias Susie Q, prima sedusse Nick, poi lo trafisse a morte con uno stiletto mentre giaceva nudo e in attesa sul letto. A questo punto, i due uomini stavano bevendo l’ultima confezione di sei birre, sicché la combinazione di scene pornografiche e alcol aveva fatto degenerare la conversazione nell’osceno. «Cazzo,» esclamò Nick, pregando Troy di ripassare la scena in cui una nuda Samantha/Susie Q veniva zumata in atto di prendergli in bocca il pene eretto «mai in vita mia, ma proprio mai, ho sentito di un videogioco nel quale quasi quasi ti fanno un pompino! Tu, caro mio, hai proprio un cervello bacato. Sei un genio, questo sì, però di un bacato al cento per cento. Ma come Cristo t’è saltato in testa di metterci dentro delle scene di sesso?»
«Oh bella,» rise Troy, mettendogli il braccio attorno alle spalle mentre tornavano barcollando in soggiorno «ma perché il gioco si chiama “Vendere”! E qui, su Programmi elettronici da gioco» e prese la relativa rivista dal tavolo «c’è scritto che il settantadue per cento — dico: il settantadue per cento, amico — della clientela dei videogiochi è costituito da maschi dai 16 ai 24 anni. E lo sai che cosa piace a questa clientela oltre ai videogiochi e alla fantascienza? Il sesso, caro mio. E non te lo vedi, forse, lo stupidotto adolescente che si ritira in camera a giocare una partita per farsi una sega? Iii-aah!» Troy si abbatté su una poltrona tambureggiandosi il petto.