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«Come ti ho detto in macchina,» replicò brusca Carol «hai diritto a pensarla come ti pare. La Marina potrebbe sostenere che le mie foto sono truccate, mentre con un missile fisicamente presente e chiaramente visibile al pubblico televisivo di una nazione intera, non potrà dire neanche tanto così. Insomma, voglio il massimo impatto per questa storia.»

Spuntata un’altra voce dall’elenco, continuò: «Ah, sì… Stamane ho dimenticato di dirti che ho conosciuto un altro padrone di barca, quaggiù: un tipo un po’ da brividi, a dire la verità, più vecchio dell’altro e grasso, di nome Homer, che è sembrato riconoscermi all’istante. Uno ricco, yacht di qui a là, e tutte quelle cose lì. Strano equipaggio, anche».

«Non si chiama mica Ashford, di cognome, per caso? Homer Ashford?» la interruppe Dale.

Carol annuì. «Perché lo conosci?» chiese.

«Ma sicuro» rispose Dale. «Era il capo della spedizione che ha trovato il tesoro della Santa Rosa, nel 1986. E lo conosci pure tu, anche se chiaramente non te ne ricordi. Lui e la moglie sono stati invitati al banchetto di premiazione dell’IOM ai primi del ’93.» Dopo un istante di riflessione, continuò: «Sì, ora ricordo: è stato quando sei arrivata tardissimo per via della minaccia che avevi ricevuto da Juan Salvador. Mi stupisce, però, che tu abbia dimenticato quei due. La moglie, specialmente: quella grassona che credeva tu fossi il pigiama del gatto!».

Pian piano, nella mente di Carol si riaccese, sempre più netto, il ricordo di una bizzarra serata risalente a poco dopo l’inizio della sua relazione con Dale. In un servizio sul traffico di cocaina pubblicato sull’Herald, aveva sostenuto che le indagini della polizia venivano ostacolate di proposito dall’assessore cubano Juan Salvador. Il mezzogiorno seguente, una fonte solitamente affidabile aveva telefonato al direttore del giornale per dirgli che il senor Salvador aveva appena «stipulato un contratto» per la vita di Carol. L’Herald le aveva perciò assegnato una guardia del corpo, raccomandandole di cambiare la routine quotidiana in modo da rendersi difficilmente localizzabile.

La sera del banchetto dell’IOM, lei era stordita. Dopo sole tre ore di presenza della guardia del corpo al suo fianco, si sentiva già confinata e limitata nei movimenti. La minaccia, però, l’aveva spaventata sul serio, sicché, nel corso del banchetto, aveva scrutato ogni faccia alla ricerca di quella del possibile assassino, aspettandosi da un momento all’altro che qualcuno facesse una mossa. Quattordici mesi dopo, seduta nella sala comunicazioni, ricordò vagamente di aver riconosciuto Homer (vestito in smoking) e una grassona allegra che l’aveva seguita per una ventina di minuti. Di nuovo ’sta memoria, maledizione, pensò. Avrei dovuto riconoscerlo subito. Che scema!

«Sì, ora ricordo» disse a Dale. «Ma come mai erano al banchetto di premiazione dell’IOM?»

«Perché la serata era in onore dei nostri principali benefattori,» rispose Dale «e Homer ed Ellen sono stati dei grossi finanziatori del nostro progetto di sorveglianza sottomarina». Dirò di più: lui ha sperimentato molti nostri progetti nella sua installazione di Key West, fornendoci dati di prim’ordine: la miglior compilazione di risposte sentinella/intruso mai effettuata! Pensa che è stato lui a mostrarci come si poteva ingannare l’MQ-6 e…»

«Va bene, va bene,» interruppe Carol, consapevole di avere una soglia di tolleranza ancora estremamente bassa «grazie delle informazioni. Adesso, visto che sono le quattro meno un quarto, vado al porto a incontrare Nick Williams e a mettermi d’accordo per domani. In caso di novità, ti chiamerò stasera a casa.»

«Ciao,» disse Dale Michaels, in un vano tentativo di apparire sofisticato «e sta’ attenta, ti prego.»

Carol riattaccò con un sospiro. Era il caso di dedicare un paio di minuti a riflettere sulle prospettive della storia fra Dale e lei? O sulla loro mancanza, magari — a seconda… Pensando a tutte le cose che doveva fare, chiuse il taccuino e si alzò. No, non è il momento. Adesso non ho tempo di pensare a Dale. Appena questa mia vita da matta mi darà una pausa di respiro…

Al suo rientro nella capitaneria, Carol fremeva decisamente di collera. Avvicinatasi al banco informazioni col fuoco negli occhi, aggredì Julianne senza tanti complimenti: «Signorina: un quarto d’ora fa le ho detto che avevo un appuntamento qui, per le quattro, con Nick Williams e Troy Jefferson. Come può constatare, sono le quattro e mezzo passate».

E puntò il dito verso l’orologio digitale, tendendo il braccio con tale imperiosa energia, da obbligare Julianne alla verifica. «E ora che abbiamo stabilito, ciascuna per proprio conto, che il signor Williams non è a casa,» continuò «vuol darmi il numero di telefono del signor Jefferson, o devo fare una scenata?»

Julianne, alla quale Carol era già antipatica di per sé, dinnanzi a questo atteggiamento di superiorità non cedette di un palmo. «Come le ho già detto, signorina Dawson.» rispose in tono cortese, ma con una punta di sarcasmo «il regolamento ci vieta di dare il numero di telefono dei proprietari indipendenti di barche o dei loro equipaggi. È una questione di riservatezza. Ora, se lei avesse preso un nolo attraverso la capitaneria, sarebbe certo nostro compito venirle in aiuto» continuò, assaporando il suo momento di gloria. «Ma siccome, come ho detto prima, a noi non risulta che…»

«Maledizione, questo lo so!» replicò furente Carol, sbattendole davanti sul bancone la busta di fotografie che aveva con sé. «Non sono mica scema! Gliel’ho detto una volta e glielo ripeto: dovevo incontrarli qui alle quattro. Ora, se lei non mi vuole aiutare, esigo di parlare col suo superiore, il vicedirettore o chi per esso.»

«Benissimo» disse Julianne, scoccandole un’occhiata sprezzante. «Se vuole accomodarsi laggiù, vedrò se riesco a rintracciare…»

«Io non voglio accomodarmi in nessun posto, ma vedere il suo superiore e subito!» urlò esasperata Carol. «Adesso prenda quel telefono e…»

«Qualcosa non va? Posso essere d’aiuto?» Carol si girò di scatto, e si vide alle spalle Homer Ashford. Sulla destra, verso la porta che dava sui moli, Greta e un donnone intente a parlare a bassa voce. (È Ellen: ora ricordo, pensò Carol.) Ellen le sorrise: Greta la passò da parte a parte con lo sguardo.

«Oh, salve, capitano Homer» disse Julianne tutta zuccherosa. «Gentile da parte sua, ma penso che non serva. La signorina Dawson, qui, ha affermato di non accettare la mia spiegazione circa il regolamento del porto, e così aspetterà che…»

«Può servire sì, invece» interruppe Carol in tono di sfida. «Avevo un appuntamento qui, per le quattro, con Nick Williams e Troy Jefferson. Non si sono visti. Non è che lei conosca il numero di telefono di Troy, per caso?»

Il capitano Homer la guardò con aria diffidente e, dopo un’occhiata a Ellen e Greta, rispose: «Be’, rivederla qui è davvero una sorpresa, signorina Dawson. Parlavamo di lei proprio stamane, sa?, e ci auguravamo che il suo giorno di vacanza a Key West fosse stato piacevole». Poi, dopo una pausa effetto: «Ma il rivederla qui il giorno appresso mi induce a chiedermene il perché. Se ho sentito bene, ha bisogno di vedere Williams e Jefferson per una questione di estrema urgenza. Non è che c’entri qualcosa tutto quell’equipaggiamento da lei portato qui ieri? O magari quella borsa grigia che Williams costudisce da ieri sera?»