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Ah, hah, pensò Carol, vedendosi venire ai lati Greta ed Ellen. Eccomi circondata. Il capitano Homer fece per prendere la busta sigillata sul bancone di Julianne, ma lei lo fermò.

«Se non le spiace, capitano Ashford,» disse decisa, togliendogli la mano dalla busta delle foto e infilandosela sotto il braccio «gradirei parlarle in privato.» Concluse, abbassando la voce. Poi, dopo un cenno del capo alle due donne: «Possiamo andare nel parcheggio e scambiare quattro chiacchiere?».

Homer la fissò un istante coi suoi occhietti bramosi, poi, aprendosi nel medesimo ghigno ripugnante e lascivo che lei gli aveva visto sull’Ambrosia, rispose: «Ma certo, mia cara».

E, avvicinandosi con lei alla porta, gridò a Greta e ad Ellen: «Aspettate qui. Questione di un minuto».

Salirono i gradini verso il parcheggio. Giunti in cima, Carol gli si rivolse con aria cospiratoria: «Ho capito che lei ha intuito perché sono qui. Avrei preferito di no, perché pensavo che il servizio sarebbe venuto meglio se tutti fossero rimasti all’oscuro; chiaramente, lei è più furbo di me». Homer sogghignò fatuamente. «Vorrei però chiederle di tenersi la cosa il più possibile per sé. Ne parli pure a sua moglie e a Greta, ma, per favore, a nessun altro. L’Herald vuole che sia una sorpresa.»

Homer parve sconcertato. Carol si chinò a sussurrargli nell’orecchio: «L’intero, dico: l’intero inserto domenicale della quarta settimana di aprile; non è incredibile? Titolo provvisorio “Sogni di ricchezza”. Storie di persone come lei, come Mel Fisher, come i quattro floridani che hanno vinto oltre un milione di dollari ciascuno alla lotteria. Dei cambiamenti subiti dalla vita all’arrivo inaspettato e improvviso della ricchezza. Io faccio tutta la serie, cominciando dal ritrovamento di tesori perché è quello di maggior interesse generale».

Il capitano Homer vacillava dall’emozione, e Carol capì che aveva abbassato la guardia. «Ieri ho voluto semplicemente dare una prima occhiata alla sua barca, per vedere come viveva, quali angolature dare alle foto. M’è venuta un po’ di tremarella, a vedermi riconoscere così presto; ma, nella mia lista, al primo posto per l’uscita in barca c’era già Williams.» Poi, ridendo: «La mia attrezzatura cercatesori, che è dell’IOM, l’ha fregato in pieno, e adesso è convinto che io sia una vera cercatrice di tesori. Così, ieri, gli ho fatto l’intervista — tutta, praticamente, salvo che per un paio di cose che intendevo finire, appunto, oggi».

A quel “fregato in pieno”, riferito a Nick Williams, Homer Ashford si sentì squillare dentro un campanello d’allarme. Quella giornalista la raccontava un po’ troppo bene… Certo, la storia era plausibile, ma restava da chiarire un punto, un grosso punto… «E cos’è che Williams si porta dietro in quella sacca?» chiese.

«Oh, ma niente!» rise lei con leggerezza, avvertendo la sua diffidenza. «O quasi, almeno. Ieri pomeriggio abbiamo tirato su un vecchio coso senza valore tanto perché potessi fotografare il recupero per il servizio, e io gli ho detto di andare a farselo stimare. Lui pensa che io sia un tipo stravagante, e si tiene il coso nella borsa perché lo imbarazzerebbe di farsi vedere mentre lo porta in giro» concluse, con una leggera gomitata d’intesa alle costole del capitano.

Questi scosse la testa. Una parte di lui si rendeva conto che quella era una bugia raccontata. Ma reggeva, però, né si capiva dove potesse stare l’inganno… «Così, immagino che, quando avrà finito con gli altri due, vorrà parlare con noi…» disse quindi, aggrottando le sopracciglia.

Nello stesso momento, all’insaputa di Carol, Nick e Troy entravano nel parcheggio, sempre brilli e un po’ storditi. «Ossignore, ossignore» esclamò Troy avvistando Carol e Homer in conversazione. «La vista mi fa brutti scherzi: mi trasmette al cervello un’immagine della Bella e la Bestia! La signorina Carol Dawson in compagnia del nostro amato Capitan Ciccione… Di che staranno parlando, secondo te?»

«Non lo so,» rispose Nick, adombrandosi di colpo «ma accidenti a me se non me lo faccio dire subito! Se ci sta pigliando per i fondelli facendo il doppiogioco…» Fermò di scatto e fece per saltar fuori, ma Troy allungò un braccio a trattenerlo.

«Senti, perché non lasci fare a me, per stavolta?» disse. «Buttarla sul ridere può essere il sistema migliore.»

Nick rifletté un momento. «Forse hai ragione» disse. «Va’ prima tu.»

Troy si fece vedere proprio nel momento in cui la conversazione fra Carol e il capitano Homer volgeva al termine. «Uhéee, salve, angelo!» gridò da quaranta metri di distanza. «Che succede?»

Carol levò la mano in segno di saluto, ma non si girò. «Allora, 2748 Columbia, appena dopo il Pelican Resort, domani sera alle otto e mezzo?»

«Sì» rispose Homer Ashford, che, dopo un cenno del capo all’indirizzo di Troy, si avviò. «La aspetteremo pronti. Si porti parecchio nastro, perché è una storia lunga.» Poi, con un chiocciolio tutto suo: «E preveda di restare per una festicciola, dopo».

Troy arrivò accanto a Carol quando lui era già a metà dei gradini.

«Salve, capitano Homer. Arrivederci, capitano Homer» disse sommessamente, continuando a recitare la parte del comico. Poi si chinò a baciare Carol sulla guancia. «E ciao a te, angelo…»

«Acc…» fece Carol, ritraendo la guancia «puzzi come una birreria! Per forza che vi ho cercato invano in tutta la città!» Vedendo Nick in arrivo, con la sacca sportiva in mano, continuò, alzando la voce: «Ma che piacevole sorpresa, signor Williams! Davvero gentili, lei e il suo compare, qui, a lasciare gli sgabelli del bar il tempo necessario a venire all’appuntamento».

Un’occhiata all’orologio, e, in tono traboccante di sarcasmo: «E come siamo bravi a osservare il codice mondano del giungere in ritardo, accipicchia! Mi dica, mi dica: se si deve aspettare un quarto d’ora per un professore vero, quanto si aspetta per uno fasullo?»

«Basta con le stronzate, Miss Arroganza» sbottò iroso Nick alla punzecchiatura. Poi, giunto all’altezza di Troy e di Carol, continuò, dopo un sospirone: «Qualche cosina da dirle, l’abbiamo pure noi. Si può sapere che ci faceva a parlare con quel cazzone di Ashford?».

A quel tono carico di minaccia, Carol indietreggiò. «Ma sentitelo, il tipico macho!» disse. «Quello che scarica sempre la colpa sulla donna. “Ehi, tu, puttana” — dice — “scorda che in ritardo sono io, scorda che sono un bastardo arrogante, è stata colpa tua…”»

«Ehi, ehi… hei!» intercedette Troy, Carol e Nick si fissavano furenti, e già stavano per parlare entrambi, quando lui pensò bene di tornare a interrompere. «Bambini, bambini, su, per favore! Ho qualcosa di importante da dire.» Al loro sguardo, alzò le braccia a chiedere silenzio. Quindi, irrigidendosi in posa, finse di sermoneggiare: «Ottantasette anni orsono, i padri nostri generarono su codesto continente una nazione nuova…».

La prima a esplodere fu Carol. «Troy,» rise a dispetto della collera «tu sei proprio un’altra cosa. E sei anche ridicolo.»

Un Troy sogghignante disse a Nick, dandogli una pacca sulla spalla: «Come sono andato, professore? Sarei un Lincoln credibile? Potrebbe, un bravo ragazzo negro come me, recitare Lincoln per i bianchi?».

Nick sorrise suo malgrado, e lasciò correre lo sguardo lungo l’asfalto mentre Troy continuava a cianciare. Alla fine delle ciance: «Mi spiace del ritardo,» disse Nick in tono conciliante e misurato «non ci siamo resi conto del tempo. Ecco il tridente».

Consapevole dello sforzo che doveva essergli costato lo scusarsi, Carol rispose garbatamente con un breve sorriso e un gesto delle mani. «Lo tenga lei ancora un po’» disse, dopo un istante di silenzio. «Adesso abbiamo un sacco di altre cose di cui parlare.» Si guardò in giro. «Ma, forse, questi non sono né il luogo né il momento adatti.»