Выбрать главу

Arrivò in teatro che la maggior parte degli altri attori era già in costume di scena. Sulla porta trovò Melvin ad accoglierlo: «Presto, comandante, non abbiamo tempo da perdere. Il trucco dev’essere come si deve, la prima volta». Consultò nervosamente l’orologio. «Lei è sul pulpito fra quarantadue minuti esatti.» Winters entrò nel camerino maschile, si tolse la divisa e indossò i severi paramenti neri e bianchi di pastore episcopale. Fuori nel corridoio, Melvin faceva a memoria un suo controllo finale andando avanti e indietro.

Al levar del sipario, il capitano Winters era sul pulpito — con la forte tremarella tipica delle prime. Guardò oltre le tre file di fedeli in scena, verso il pubblico che riempiva la sala, e vide la moglie Betty e il figlio Hap in seconda fila. Fece loro un rapido sorriso, mentre si spegneva l’applauso. Poi, il nervosismo ormai svanito, si lanciò nel sermone di Shannon.

Il breve prologo filò via in fretta. Poi le luci si attenuarono nuovamente per quindici secondi, ci fu il cambio automatico della scena, e Shannon/Winters entrò nella stanza d’albergo in Messico mormorando tra sé frasi della sua lettera. Sedette sul letto, poi, udendo un rumore nell’angolo, alzò gli occhi. Era Charlotte/Tiffani: la splendida chioma biondo-ramata sciolta sulle spalle, camicia da notte leggera di seta azzurra, scollatura a V sino alla vita ben riempita da seni grandi e fermi. «Larry, oh Larry, siamo soli, finalmente!» la sentì dire, mentre veniva a sederglisi accanto sul letto. Il profumo di lei gli riempì le narici. La mano di lei gli si posò sulla nuca, le labbra di lei premettero contro le sue, insistenti, dure, esploratrici. Lui si ritrasse: le labbra, poi il corpo di lei lo seguirono. Lui cadde all’indietro sul letto. Lei gli strisciò sopra, continuando a baciarlo, i seni premuti contro il suo petto palpitante. Lui la circondò con le braccia, stringendola dapprima piano, poi sempre più forte.

Per diversi secondi, fu un accendersi e spegnersi delle luci. Charlotte/Tiffani si sciolse da Winters per stenderglisi accanto sul letto. Lui ne udì il respiro affannato. «Charlotte» risuonò una voce. Un bussare imperioso alla porta, poi di nuovo: «Charlotte: lo so che sei lì». La porta si spalancò. I due amanti si tirarono su a sedere. Le luci si spensero e calò il sipario. Gli applausi echeggiarono forti e sostenuti.

Il capitanto Vernon Winters spinse la porta e uscì barcollando sul vicolo dell’ingresso-artisti. La porta, sovrastata da una singola lampadina avvolta in un nugolo d’insetti, dava su un piccolo pianerottolo di legno staccato di tre scalini dall’asfalto. Winters li discese e si fermò accanto al muro di mattoni rossi del teatro. Estrasse una sigaretta e l’accese.

Il fumo salì in volute su per il muro. Un bagliore di lampi lontani, un silenzio, poi il brontolìo del tuono. Aspirò a fondo una seconda volta, sforzandosi intanto di capire che cosa avesse provato in quei cinque o dieci secondi con Tiffani. Mi domando se se ne siano accorti, pensava. Sarà stato lampante per tutti? Nel cambiarsi per il primo atto vero e proprio, aveva notato i chiari segni sui boxer. Esalò altro fumo, e sussultò. E quella ragazzina! Dio mio, lei lo sa di sicuro: lo deve aver sentito, quando mi stava sopra.

Suo malgrado, ricatturò per un istante l’eccitazione provata quando Tiffani gli si era premuta addosso. Gli si mozzò il respiro, e cominciò ad avvertire i primi segni del senso di colpa. Oh Signore, ma cosa sono? Un vecchio sporcaccione, ecco cosa! Chissà perché, gli tornò in mente Joanna Carr, una certa sera di quasi venticinque anni prima. E ricordò il momento in cui l’aveva presa…

«Comandante» disse una voce. Si girò. Sul pianerottolo c’era Tiffani, in magliettina e jeans, i lunghi capelli sciolti. «Comandante,» ripeté con un misterioso sorriso, scendendo i gradini verso di lui «mi darebbe una sigaretta?»

Confuso, stupefatto, senza parole, lui infilò automaticamente la mano in tasca e tirò fuori il pacchetto di Pall Mall. La ragazza prese una sigaretta, ne batté la punta contro l’unghia e se la infilò in bocca. Destandosi finalmente, lui tirò fuori il suo accendino da quattro soldi. Lei mise le mani a coppa sopra le sue, tremanti, e aspirò con vigore.

Winters la osservò affascinato aspirare il fumo nei polmoni. Ne studiò la bocca, il biancore del collo, il torace sollevato in quel suo accarezzare il fumo, e, con la medesima rapita attenzione, il riabbassarsi del diaframma e il fuoriuscire del fumo dalle labbra a boccuccia.

Rimasero là a fumare in silenzio. Sull’oceano balenò un’altra vampata di lampi, seguita da un altro brontolìo di tuono. Ogni volta che Tiffani portava la sigaretta alle labbra, Winters ne seguiva, ipnotizzato, ogni movimento. Lei inalava a fondo, con decisione, aspirando forte dalla sigaretta per dare al proprio corpo la tanto desiderata nicotina, e lui avvertiva vagamente dentro di sé un caos di pensieri.

È bella: tanto, tanto bella. Giovane e fresca e piena di vita. E quei capelli: oh, potermene avvolgere il collo… Ma non è una bambina: è una giovane donna. Dunque, deve sentire quello che provo, il fascino che esercita su di me… Fuma come me, con concentrazione totale. Accarezzando…

«Amo le notti di temporale» disse Tiffani rompendo il silenzio, mentre un nuovo lampo illuminava, in lontananza, il cielo. Gli venne più vicina, poi inclinò la testa per osservare, oltre un gruppo d’alberi che le ostruiva la vista, la formazione nuvolosa entro la quale saettavano i lampi. Lo sfiorò appena, ma questo bastò a elettrizzarlo.

Si sentì la bocca secca, il corpo soffuso di desiderio — di un desiderio che stentava a riconoscere e che gli impediva di rispondere al suo commento. Rimase così a fissare l’addensarsi del temporale, e tirò l’ultima boccata di sigaretta.

La tirò anche lei dalla sua, che gettò a terra. Poi si volse a guardarlo, e i loro occhi s’incontrarono, mentre dalle labbra di lei uscivano le ultime bave di fumo. Lei gli lanciò un breve, seducente soffio con la bocca, che gli scatenò una vampa di desiderio. Lui si dominò, comunque, e rientrò con lei, senza parlare, in teatro.

L’applauso continuava. Il capitano Winters guidò all’inchino finale le interpreti di Maxine e Hannah, una a ciascun fianco, secondo quanto era stato deciso prima dell’inizio dello spettacolo. L’applauso crebbe d’intensità. Winters fissò di nuovo i posti vuoti, dove avevano seduto, prima dell’intervallo, Betty e Hap. «Charlotte Goodall!» gridò una voce in sala, e lui improvvisò. Ricondotte le due interpreti alla fila schierata degli attori, la risalì fino a Tiffani. Lì per lì, lei non comprese; poi, il viso aperto in un raggiante sorriso, gli diede la mano.

Le mani avvinte, lui la ricondusse al proscenio per quello che doveva essere il suo momento. All’udir montare di nuovo l’applauso, Tiffani si sentì salire le lacrime agli occhi; e, mentre lui si faceva da parte, lei s’inchinò graziosamente al pubblico. Al termine dell’inchino, gli riprese la mano in una stretta deliziosa, e indietreggiò fino a reinserirsi nella fila dei compagni.

Melvin, Marc e Amanda vennero tutti dietro le quinte mentre gli attori si cambiavano e furono complimenti entusiastici per tutti. Melvin sembrava addirittura in estasi: durante le prove aveva nutrito dei dubbi — confessò —, ma ora… ora tutti erano stati bravissimi, e, riguardo alla scena in camera da letto con Tiffani — confidò a Winters, uscendo letteralmente a passo di danza dal camerino —, essa era stata «superba — come meglio non si sarebbe potuto.»

Winters si sentiva sopraffatto da una miriade di emozioni. Da un lato, era contento della sua prova e dell’accoglienza del pubblico, dall’altro oppresso da sentimenti più personali. Cos’era accaduto a Betty e Hap, perché se ne andassero nell’intervallo? Dentro di sé immaginò Betty che assisteva alla sua scena d’amore con Tiffani, e, per un istante, si convinse, con spavento, che lei si fosse accorta, dalla platea, che lui non stava affatto recitando, bensì vivendo nel proprio corpo l’eccitazione sessuale del personaggio.