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— Tu che suggerisci?

— Di ridurre il livello dell'obbligo scolastico. Quando arrivano a saper leggere un manifesto elettorale, basta lezioni, e chi se ne frega se non sanno fare il piucchepperfetto. Mi rendo conto che una proposta del genere, venendo da un tizio ch'era mezzo analfabeta quand'è arrivato qui, e nemmeno ora non è che sia un granché come lettore, magari potrebbe…

— Falla finita, Conal. — Cirocco ci pensò su, mordicchiandosi una nocca. — Hai ragione. Agli adulti non di lingua inglese possiamo benissimo lasciargli il loro gergo misto, tanto si arrangiano lo stesso. Faranno meglio i loro figli. Non avrei dovuto insistere tanto.

— Nessuno è perfetto.

— Questo lo so già da me. Che altro hai scoperto?

— Molta gente preferisce il baratto. Direi che un sessanta per cento del commercio che si volge in città è sotto forma di baratto. Ora però c'è un'altra valuta che vien su alla svelta, ed è l'alcol. Per un bel pezzo c'è stata in giro quasi solo birra. Adesso veramente anche il vino si sta avviando a diventare sopportabile, ma il più delle volte non saprei dire da che diavolo l'abbiano spremuto… e preferisco non saperlo. Ma il fatto è che s'incomincia anche a vedere sempre più roba forte…

— Superalcolici distillati, eh? La cosa mi spaventa.

— Anche a me. Circola persino un po' di metanolo. Qualcuno già c'è diventato cieco.

Cirocco sospirò.

— Bisognerà tirar fuori un'altra legge?

— Proibire la distillazione casalinga? — Conal si accigliò, e scosse la testa. — Qui secondo me vale la tua regola aurea. Cercare di risolvere il problema col minimo di leggi. Invece di proibire il liquore buono… che, credi a me, qui a Bellinzona è una contraddizione in termini… limitiamoci a bandire i veleni.

— Non funzionerebbe. Non se l'alcol viene usato come moneta. Dato che passa avanti e indietro per tante mani, come diavolo facciamo a sapere da dove è venuto fuori?

— Questo è il problema — ammise Conal. — E poi c'è il fatto che le buone distillerie usano etichette facili da falsificare… e bisogna tener conto che ci sono quelli che lo annacquano…

— Direi proprio che come valuta non è un granché — commentò Cirocco. — Credo che la cosa migliore sarebbe promuovere una campagna di educazione pubblica. Non è che ne sappia molto, sul metanolo. Non è abbastanza facile da scoprire? Tu non sei capace di riconoscerlo all'odore?

— Non con assoluta sicurezza. Prima di tutto bisogna abituarsi al puzzo del liquore…

Tacquero, rimanendo per qualche tempo immersi nei loro pensieri. Conal sarebbe stato propenso a lasciar perdere. Era convinto che non servisse a nulla cercar di proteggere la gente da se stessa. La sua personale soluzione consisteva nel bere solo da bottiglie sigillate, e ricevute direttamente dalle mani di un distillatore di fiducia. Ecco, in fin dei conti sarebbe bastato che anche tutti gli altri si regolassero a quel modo, no? Però, tutto sommato, poteva anche darsi che una legge ci volesse davvero.

Era una situazione alla quale Conal reagiva in modo ambivalente. In passato non l'aveva mai amata, quella città, e doveva riconoscere che negli ultimi tempi le cose erano andate notevolmente migliorando. Ormai si poteva camminare per strada disarmati senza correre troppi rischi.

Adesso, però, ad ogni angolo si andava a battere il naso contro qualche obbligo o qualche divieto. Dopo sette anni vissuti lungi da qualunque ombra di legalità, non era per niente facile cambiare marcia all'improvviso e rimettersi mentalmente e praticamente al passo con la forma e la sostanza della legge.

Il che lo portava indirettamente a quella che era certo sarebbe stata la successiva domanda di Cirocco. Lei non lo deluse.

— E di me che si dice? Com'è il mio indice di gradimento secondo la scala Conal?

Lui allungò una mano e la fece oscillare di qua e di là.

— Non c'è malaccio. A un dieci o quindici per cento gli vai abbastanza a genio. Diciamo poi che sul trenta per cento ti sopportano, e con qualche birra in corpo sarebbero pure disposti ad ammettere che da quando sei arrivata tu le cose filano meglio. Tutti gli altri, però, non ti possono proprio vedere. O perché gli hai rotto le uova nel paniere, o perché pensano che non stai facendo abbastanza. C'è un mucchio di gente, là fuori, che si sentirebbe molto più tranquilla se qualcuno gli dicesse esattamente quel che deve fare dal momento che si sveglia fino all'ora che mammina li rimette a letto.

— Può anche darsi che si trovi il modo d'accontentarli… — mormorò Cirocco.

Conal aspettò che andasse avanti, ma Cirocco si limitò a quell'accenno. Allora lui diede una bella tirata al sigaro, e cercò di scegliere le parole con cura. — E poi, un'altra cosa. È una questione di… immagine, credo. Tu, per loro, sei solo una faccia sul fianco di un aerostato. Non dai l'idea d'essere vera per davvero.

— Sì, lo so, i miei cosiddetti esperti di pubbliche relazioni me l'han fatto capire in tutte le salse — sbottò lei con irritazione. — In televisione faccio semplicemente la figura d'una vecchia cagna arrogante.

— Non lo so s'una TV normale — precisò Conal. — Ma così come appari su quei grossi schermi addosso a Finefischio, alla gente non è che gli piaci molto, sai com'è. Ti vedono lassù in alto, sopra le loro teste. Non appartieni al popolo… e d'altra parte non sembri nemmeno abbastanza forte, se così si può dire, da ispirare quel genere di soggezione… o, non so, forse bisognerebbe chiamarlo rispetto… — S'interruppe, non riuscendo a dar voce precisa a quanto provava.

— Anche qui non fai altro che confermare le mie analisi. Da un lato appaio maestosa, imperturbabile, draconiana, e mi faccio odiare, mentre dall'altro risulto insufficiente come figura autoritaria.

— La gente non crede in te — disse Conal. — Piuttosto crede in Gea.

— E dire che Gea non l'hanno neanche mai vista.

— S'è per questo, la maggior parte non ha mai visto nemmeno te.

Cirocco si reimmerse nelle sue riflessioni. Conal era certo che lei stesse per giungere a una decisione che trovava antipatica, ma inevitabile. Attese, paziente, già sapendo che qualunque cosa Cirocco avesse stabilito, lui si sarebbe impegnato al massimo per far la propria parte come si deve.

— Molto bene — riprese infine lei, riappoggiando i piedi sul tavolo. — Ecco qua quel che faremo.

Conal ascoltò in silenzio. Di lì a poco, ghignava di gusto.

DICIANNOVE

Terminato l'incontro, Conal uscì nell'immutabile luce di Dione e svoltò a sinistra sul grande Viale Oppenheimer.

Bellinzona era una città che non dormiva mai. Ogni "giorno" ricorrevano tre ore di punta, che Finefischio annunciava di volta in volta emettendo un sonoro strombettìo. A quel segnale la gente si metteva in cammino per recarsi dal luogo di lavoro a casa, o viceversa. C'era chi aveva il compito di programmare razionalmente tutte le fasi dell'avvicendamento, cosicché un terzo circa della città se ne stava sempre relativamente tranquillo, essendo composto di gente addormentata; un altro terzo ronzava come un alveare operoso, tutto dedito alle intraprese commerciali; e un'ultima fetta vociava immersa nei modesti divertimenti offerti da Bellinzona. Molti lavoratori, per sbarcare il lunario, facevano un turno e mezzo o addirittura due.

Comunque, per non togliere slancio alla vita sociale, non mancavano osterie, né case da gioco, né bordelli, né sale di riunione. Soltanto lavoro e niente distrazioni sarebbe stata una maniera davvero deprimente di mandare avanti una città, pensava Conal.

I moli e le banchine fluviali ove attraccava la flotta peschereccia fervevano d'ininterrotta attività, e anche i cantieri navali non interrompevano mai il lavoro. C'erano poi altri poli strategici, nel neonato sistema industriale di Bellinzona, che non chiudevano mai i battenti, coprendo l'intero arco dei tre turni. Il motivo principale per scaglionare le ore di lavoro, comunque, consisteva nel far sì che la città non sembrasse troppo congestionata. La semplice verità era che gli alloggi non sarebbero bastati, se tutti gli abitanti avessero cercato di andarsene a dormire alla stessa ora. La vita in comunità stava diventando la norma.