Un pensiero la proteggeva. Una consapevolezza inamovibilmente infissa nel centro del caos le consentiva di non sprofondare dall'ossessione nella follia.
Fa tutto parte di quei vent'anni, pensava Gaby. Tutto ciò io l'ho già vissuto.
Lungo la linea rossa, la velocità della luce era una sorta di ordinanza municipale, un curioso aspetto del costume locale che poteva anch'essere fastidioso — come un poliziotto nascosto dietro un cartellone stradale in una cittadina rurale della Georgia — ma che, con opportune "unzioni" o abbastanza cavalli sotto il cofano, non dava proprio la minima preoccupazione.
Vediamo una cosa alla volta. La "velocità" dipende dallo spazio e dal tempo. Nessuno di questi due concetti aveva grande importanza, lungo la Linea. La "luce" consisteva in complessi e superflui pacchetti d'ondeparticelle prive di massa, un sottoprodotto della vita sulla Linea, al pari del sudore e delle feci. "Velocità della luce" era una contraddizione in termini. Quanto pesava quel giorno che sulle montagne accendesti un fuoco da campo e vedesti una stella cadente? Qual è la massa di ieri? Quanto è veloce l'amore?
La Linea si propagava lungo tutto il bordo interno di Gea, che, considerato da un punto di vista einsteiniano, era una circonferenza. Ma la Linea non era circolare. Osservata sullo sfondo del bordo interno, la Linea era sottile. Ma la Linea non era sottile.
La Linea pareva esistere all'interno dell'Universo. Nessuna parte di essa si estendeva al di fuori dei confini fisici di Gea, e Gea era contenuta dall'Universo; ne conseguiva necessariamente che anche la Linea si collocava dentro l'Universo.
Ma la Linea era molto più grande dell'Universo.
Insomma, il termine "Universo" risultava assolutamente inadatto a concorrere ad una corretta definizione della Linea. Il concetto di unicità assoluta, ecco ciò che maggiormente si avvicinava alla vera natura della Linea… pur avendo, con essa, ben poco a che fare.
Lungo la Linea vivevano entità. Erano in gran parte folli, e intenzione di Gea era appunto che anche Gaby impazzisse. Ma Gaby non cessò d'aggrapparsi a un pensiero preciso: fa tutto parte di quei vent'anni. E anche: Cirocco avrà bisogno di me.
Lentamente, con infinita cautela, Gaby apprese la natura della realtà. Divenne pari a un Dio. La sua rimaneva una condizione miseramente inadeguata — possedeva un sacco di Risposte, adesso, e si rendeva conto che le Domande non erano mai state formulate nel modo giusto — ma era già qualcosa. Sarebbe stata molto più contenta se avesse potuto completare quella specie di rigido copione cui un tempo aveva pensato come alla Vita, ma ormai era troppo tardi. Avrebbe accettato quanto doveva.
Prudentemente, tenendosi alla larga da quella presenza soverchiante che sapeva essere Gea, Gaby incominciò a guardare fuori della Linea.
Vide Cirocco giungere nel mozzo, vide i proiettili infiggersi devastanti nella cosa che si faceva chiamare "Gea", avvertì la serie di mutamenti assai più interessanti che sopravvenivano nell'entità a lei nota come Gea, e si fece pensierosa. Aveva individuato una possibilità…
Vi dedicò un attimo di riflessione, al termine del quale cinque anni erano trascorsi.
Si rendeva conto di non poter più resistere a lungo, in quel luogo. La stessa Gea se n'era sottratta, quantunque una parte di lei continuasse a situarsi sulla Linea. Gaby avrebbe dovuto fare altrettanto, se voleva sopravvivere. Cautamente, cercando di non attrarre l'attenzione di Gea, si distaccò dunque dalla Linea, spostando il proprio centro di coscienza verso il bordo della grande ruota. Vide Cirocco numerose volte, senza mai palesare la propria presenza.
Incominciò a percorrere le vie della Magia.
VENTITRÉ
— Forse non verrà — disse Gea.
— Può darsi che tu abbia ragione — assentì Chris.
Immerse il bruschino nell'acqua saponata, poi lo ruotò energicamente in un rapido arco, portandolo di nuovo a sollevarsi contro l'imponente, rosea parete di carne.
Si trovavano nello stabilimento balneare, il quale era né più né meno che uno dei teatri di posa dello studio RKO, utilizzato per girare una parodia di Esther Williams e quindi lasciato libero onde servire agli scopi del Bagno di Gea. Luci basse e immense porte scorrevoli sprangate, nel vasto ambiente con muri e soffitto in legno. In qualche punto della piscina ricolma d'acqua calda erano state gettate pietre ancora più calde, col risultato che spesse nubi di vapore saturavano il locale. Chris grondava sudore, e Gea non era da meno.
Il bruschino consisteva semplicemente in un grosso scopettone fornito di sétole rigide. La pelle di Gea, benché soffice al tatto, pareva non subire alcun danno dall'andirivieni di quell'attrezzo, a prescindere da qualsivoglia accanita vigorìa Chris potesse profondere nel suo impegno. Un piccolo mistero fra tanti.
Passò da quelle parti un panaflex, esaminò attentamente la scena, girò un breve tratto di pellicola, e continuò per la sua strada.
— Lo dici ma non lo pensi — osservò Gea.
— Può darsi che tu abbia ragione — ripeté Chris.
D'un tratto lei prese a muoversi e Chris fece un balzo indietro, poiché qualunque spostamento della gran mole di Gea comportava rischi non indifferenti, per la gente normale cui avveniva di trovarsi nei paraggi.
Stava sdraiata a pancia in giù, il capo appoggiato sulle braccia conserte. Giaceva in poco più di mezzo metro d'acqua. Quando si fu risistemata comoda aveva la testa girata dall'altra parte, e con uno solo dei suoi occhioloni lo guardò trafficare. Lui era intento a strofinarle il fianco destro dalla vita alla spalla, avanzando lentamente verso la parte superiore del braccio. Un lavoretto non di cinque minuti.
— Certo che ne è passato di tempo — proseguì Gea. — Quant'è… otto mesi, ormai?
— Qualcosa del genere.
— Hai idea di quello che starà combinando?
— A te risulta ch'è venuta qui due volte. E stai tranquilla che se l'avessi riveduta, non te lo verrei a dire di sicuro.
— Sei un impertinente, ma ti voglio bene lo stesso. Ad ogni modo lo so benissimo che non è più tornata.
Assolutamente vero. Cirocco l'aveva avvertito che sarebbe andata a quel modo, ma era difficile lo stesso abituarsi all'idea. Chris avrebbe avuto un gran bisogno di appoggio morale.
Quel lavoro d'inserviente al bagno, d'altra parte, non era affatto brutto come aveva temuto. Perseguiva chiaramente lo scopo di demoralizzarlo, e Chris faceva del suo meglio per convincere Gea che il sistema funzionava, trascinandosi stancamente sia all'andata sia al ritorno tutte le volte che lei lo mandava a chiamare per la sbruschinata. Ma insomma, si trattava né più né meno che di un lavoro. Una volta fatta l'abitudine alla sua stranezza, non era poi molto diverso dal dipingere una casa.
Continuò a procedere lungo il fianco e sotto l'esterno dell'avambraccio, diede un'altra risciacquata allo spazzolone, quindi prese a strofinarle il gomito e la zona intermedia fra gomito e spalla.
— Quando verrà qui… — incominciò, ma poi s'interruppe.
— Si?
— Cosa le farai?
— L'ucciderò. Te l'ho già detto, no? O almeno ci proverò.
— Ma credi sul serio che abbia una possibilità?
— Molto scarsa, direi. C'è troppa sproporzione, non ti pare?
— Lo vedrebbe anche un cieco. Ma perché non… non vai semplicemente a darle la caccia? Non riuscirebbe a sfuggirti per molto, vero?
— Innanzitutto è molto furba, e poi non rientra più nella mia… visione. Lì devo dire che me l'ha combinata proprio bella.
Non era la prima volta che Gea formulava ambigue allusioni alla propria cecità. Chris non ne aveva la certezza, ma sospettava che ci fosse di mezzo Spione.
— Perché la odii così tanto?