Cirocco lo fece, e perse quasi l'equilibrio. Fu sorretta dalla mano di Gaby, mentre i suoi piedi scendevano a poggiarsi sulla familiare sabbia nera. Trasse un respiro profondo, finalmente, un vero, appagante respiro che scese a carezzarle i polmoni.
— Non mi piace mica, sai, questo sistema… — si lamentò.
— D'accordo, ho capito. Comunque ho da mostrarti altre cose. Ti va ancora di venirmi dietro?
— Sì.
— Prendimi per mano allora, e non aver paura.
Cirocco la prese per mano, e insieme s'innalzarono nell'aria.
Già molte volte, in sogno, a Cirocco era capitato di volare. La cosa poteva svolgersi in due distinte maniere, forse in relazione ad una specie di bollettino meteorologico di natura psichica. Visibilità scarsa nel cervello, oppure cielo limpido nel midollo. Un modo consisteva nello star seduti e fluttuare, come a bordo di un magico tappeto persiano, spostandosi lentamente sopra il mondo. Nell'altro modo, invece, ci si poteva, più liberamente, slanciare in alto e scendere a capofitto, senza mai tuttavia disporre della piena manovrabilità di un aeroplano.
Stavolta si trattava di un volo del secondo tipo, controllabile però con notevole precisione. Cirocco volò a braccia spiegate — afferrandosi inizialmente alla mano di Gaby, ma poi lasciandola e dirigendosi da sé — piedi uniti, gambe distese.
Si sentì pervadere da un esaltante senso di vertigine. Era meraviglioso. Inclinando le braccia all'indietro poteva andare più veloce. I palmi delle mani fungevano da alettoni per inclinarsi e virare. Giostrando con i piedi riusciva ad ottenere cabrate e picchiate. Si divertì a sperimentare varie combinazioni, eseguendo repentini mutamenti di traiettoria e grandi evoluzioni circolari. Esisteva anche un'altra sostanziale differenza, rispetto al "normale" volonirico, e presto comprese che si trattava della completa percezione del movimento. Sebbene la sua vista rimanesse tuttora curiosamente annebbiata, e il suo cervello continuasse ad accusare un leggerissimo stato confusionale, avvertiva con tutti i suoi sensi la presenza dell'aria, la poteva toccare, annusare, assaggiare, ne godeva lungo il corpo la guizzante carezza, e, soprattutto, constatava di aver conservato massa ed inerzia. Nel culmine inferiore d'ogni giravolta doveva controbilanciare il moltiplicarsi dell'accelerazione di gravità, tener le braccia rigidamente protése in fuori le costava un notevole sforzo muscolare, e sentiva sulle gote, sulle cosce, sul petto, la propria carne protendersi verso il basso.
Diede una rapida occhiata a Gaby, che si librava non lontana in consimili acrobazie.
— Bellissimo! — le disse.
— Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto. Ma ci resta poco tempo. Séguimi.
Tramite un'improvvisa virata Gaby prese ad ascendere con piglio deciso, allontanandosi dall'oscuro territorio di Dione. Cirocco le tenne dietro allineandosi alla sua rotta, e si trovò immediatamente ad accelerare pur senza esplicito intervento della volontà. Strinse le braccia lungo i fianchi, e, come Gaby, sfrecciò verso l'alto a velocità vertiginosa. Stavolta nessuna analogia col pilotaggio di un aereo. Non più la tensione di vettori contrastanti, niente sensazione di motori sotto sforzo. Filavano verticalmente, in linea retta, come razzi. Ben presto varcarono l'imboccatura del Raggio di Dione. Cirocco non avvertiva più alcuna resistenza aerodinamica, sebbene la loro velocità oraria dovesse senza dubbio misurarsi in centinaia di miglia. Volle provare a distendere un braccio, ed ebbe conferma di una totale assenza di vento. La manovrabilità ottenuta in precedenza tramite i movimenti di mani e piedi era venuta completamente a cessare. Non poté far altro che seguire Gaby.
Il Raggio di Dione, così come d'altronde tutti e sei i raggi della grande ruota, presentava trasversalmente sezione ovale, con un asse maggiore di circa cento chilometri e un asse minore di circa cinquanta. Esso si congiungeva al bordo svasandosi in una grandiosa cappa campaniforme, che andava gradualmente a trasformarsi nell'arcuata volta della periferica struttura toroidale. Al culmine della campana esisteva una valvola a sfintere in grado di serrarsi a completa tenuta. All'opposta estremità del raggio, nei pressi del mozzo, era presente un altro sfintere. Aprendo o chiudendo tali valvole, e contraendo le pareti del raggio, estese per una lunghezza di trecento chilometri, Gea pompava aria da una regione all'altra, riscaldando o raffreddando a seconda delle necessità.
A parte il Raggio di Oceano, che risultava sterile e desolato, l'interno di queste immense torri cilindriche ospitava forme di vita in abbondanza. Alberi giganteschi crescevano orizzontalmente protendendosi dalle pareti verticali. Complessi ecosistemi prosperavano nell'intrico labirintico dei rami, nel cavo dei tronchi, e persino nella stessa struttura parietale.
Di specie angeliche ce n'erano a dozzine, su Gea, in gran parte troppo dissimili per incrociarsi. Il Raggio di Dione, in particolare, dava ricettacolo a tre specie, o Stormi, come esse si autodefinivano. Nella parte superiore, ove la gravità risultava pressoché inesistente, allignava l'esile popolo dell'Ariastormo: angeli nani con ali ed epidermide di aspetto translucido, creature dalle effimere esistenze, non troppo intelligenti, più simili a pipistrelli che ad uccelli. Atterravano di rado, e quasi esclusivamente per deporre le uova, che venivano poi abbandonate al loro destino. Si nutrivano di foglie.
La parte mediana del raggio apparteneva agli Aquila di Dione, imparentati con gli Aquilastormi di Rea, Febe e Crono. Gli Aquila non si riunivano in comunità. Anzi, quando a due di loro capitava d'incontrarsi, era probabile che finissero per ingaggiare una lotta all'ultimo sangue. I loro figli, che nascevano già completamente formati, venivano dati alla luce in pieno volo, e dovevano imparare ad usare le ali durante la lunga caduta verso il bordo. Molti, in effetti, ce la facevano.
Ma Aria ed Aquila appartenevano ad una minoranza. Gran parte degli angeli geani costruivano il nido e si prendevano cura della prole. Il che, comunque, avveniva in una grande varietà di forme. Una delle specie di Tea, ad esempio, aveva tre sessi: maschi, femmine e neutri. Le femmine, creature di notevoli dimensioni, erano incapaci di volare. I maschi, di corporatura minuta, erano selvatici ed aggressivi. I neutri, gli unici in possesso di capacità intellettive, si occupavano dei cuccioli, che nascevano anch'essi già formati.
Il Sovrastormo di Dione — denominazione quanto mai inadeguata, secondo Cirocco, visto che il loro territorio si estendeva nella parte inferiore del raggio — era composto da individui pacifici e dotati d'istinto sociale. Costruivano sugli alberi grandi nidi in foggia di alveare, utilizzando rami, fango, e le loro stesse feci essiccate, le quali contenevano una sostanza agglutinante. Un solo nido poteva giungere ad ospitare anche un migliaio di Sovra. Le femmine davano alla luce particolari organismi detti placentoidi, specie di uova contenenti un embrione, che andavano impiantati nel corpo vivente di Gea. In tal modo le femmine non raggiungevano mai uno stadio di gravidanza che impedisse loro il volo, e d'altra parte i neonati potevano raggiungere un livello di crescita notevole, prima di venire separati dal loro grembo extramaterno. Al pari degl'infanti umani, anche i piccoli Sovra rimanevano inermi per lungo tempo, ed imparavano a volare non prima dei sei o sette anni.
Fra tanti, Cirocco preferiva i Sovra. Erano più socievoli della maggior parte degli altri angeli, al punto che li si era persino visti venire a commerciare a Bellinzona, e a differenza di numerose altre specie facevano largo uso di utensili. Cirocco si rendeva ben conto che il suo era un atteggiamento preconcetto e irrazionale — agli Aquila non si poteva fare certo alcuna colpa per il fatto d'essere così spietati, trattandosi d'una loro intrinseca caratteristica genetica — ma non poteva farci nulla. Nel corso degli anni si era creata numerose amicizie, fra i Sovra.