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Robin sentì il sangue salire impetuoso ad avvamparle il volto, tuttavia continuò, senza alcuna esitazione, a percorrere di buon passo l'interminabile scalinata. Tutto sommato, era bene portare l'argomento fino in fondo.

— Quindi pensi che debba avere un uomo.

— Non è così semplice. Ad ogni modo mi pare chiaro che c'è qualcosa, nella tua personalità, che si armonizza con qualche altra cosa che è presente nella personalità di Conal. Se lui fosse una donna, ora come ora tu saresti la persona più felice di tutta Gea. Ma siccome è un uomo, sei invece una delle più disgraziate. E questo perché sostanzialmente hai accettato la grande menzogna della Congrega, anche se pensi di essere troppo matura per cascarci. Sulla Terra, milioni di uomini e donne hanno creduto ai mostruosi inganni delle varie culture terrestri, e quando sono morti erano infelici proprio come sei tu adesso. E io invece ti sto suggerendo che è da stupidi lasciarsi condizionare.

— Già, però… accidenti, Cirocco, ma credi che non ci abbia mai pensato? Me n'ero accorta sì di questa trappola!

— Tuttavia non l'hai rifiutata con abbastanza decisione.

— Ma come devo fare con Nova?

— Lasciala cuocere nel suo brodo. Se non è capace di accettarti per come sei, allora vuol dire che non è la persona che tu speravi che potesse essere.

Robin ci rifletté per molte centinaia di scalini.

— È grande, ormai — continuò Cirocco. — E sarà bene che incominci ad assumersi la responsabilità delle proprie decisioni.

— Sì, lo so, comunque…

— Lei rappresenta l'implacabile peso della moralità della Congrega.

— Ma… non potrei in qualche modo farle superare l'ostacolo?

— No. Secondo me non sei tu che puoi aiutarla. Vedi… forse non dovrei dirlo, ma ho l'impressione che sarà il tempo a risolvere il tuo problema… Il tempo, e un titanide.

Robin le chiese spiegazioni, ma Cirocco non volle dir altro.

— Quindi ritieni… che dovrei far tornare Conal?

— Gli vuoi bene?

— A volte mi sembra di sì.

— Non sono molte le cose che so per certo, ma di una sono abbastanza sicura, ed è che l'amore è l'unica cosa che valga davvero la pena.

— Conal mi rende felice — ammise Robin.

— Tanto meglio.

— Stiamo parecchio bene, insieme… a letto.

— E allora sei proprio matta a rinunciarci. Pensa a com'era normale per la tua bis-bis-bisnonna. Tu discendi da una lunga serie di lesbiche, ma nel tuo sangue rimane pur sempre una goccia di perversione.

Passarono altri cento scalini, e poi ancora cento.

— D'accordo, ci penserò — disse Robin. — M'hai spiegato che cos'è il peccato. E il male, cos'è?

— Robin… lo riconosco quando lo vedo.

E non rimase tempo per dire altro, poiché, con sua sorpresa, Robin scoprì d'essere arrivata in fondo alla scala di Dione.

Nulla a che vedere con gli altri cervelli regionali. Robin ne aveva conosciuti tre: Crio, ancora fedele a Gea; Teti, suo nemico; e Tea, uno dei più tenaci alleati di Gea. I dodici cervelli regionali avevano preso partito molto tempo prima, durante la Ribellione di Oceano, quando la Terra stessa aveva tradito Gea.

Dione, per sua sfortuna, si collocava fra Meti e Giapeto, due dei più forti e determinati sostenitori di Oceano. Allo scoppio della guerra, stretto così fra l'incudine e il martello, era stato ferito a morte. La sua agonia si era protratta molto a lungo, ma ormai era estinto da almeno cinquecento anni.

C'era buio alla base della scalinata. I loro passi riecheggiavano nel silenzio. Cinta da un fossato completamente asciutto, si ergeva la gigantesca struttura conica che aveva un tempo ospitato Dione. Mentre Teti aveva avvampato dall'interno d'un vivo bagliore rossastro, ed era parso consapevole e vigile pur nella sua assoluta immobilità, Dione era evidentemente un cadavere. La torre aveva ceduto in vari punti, rovinando al suolo. Robin poté intravvedere, attraverso le ampie fratture, qualche squarcio dell'intima struttura reticolare. Che, colpita dal fascio di luce della torcia elettrica di Cirocco, reagì proiettando all'esterno una miriade di riflessi sfaccettati.

Poi il raggio della torcia si spostò di lato perdendosi lontano, e di riflessi, laggiù in fondo, ne baluginarono soltanto due. Due luccichìi gemelli separati da un paio di metri, acquattati oltre l'arco d'ingresso di una grande galleria. Sembrava quasi che laggiù dentro ci fosse un treno in attesa.

— Vieni fuori, Nasu — bisbigliò Cirocco.

Il cuore di Robin si mise a battere forte. E d'un balzo lei tornò con la memoria indietro negli anni, venti e anche più… al giorno in cui, ancora bambina, aveva ricevuto in dono il minuscolo serpente, un anaconda sudamericana, Eunectes Murinus, e deciso di farne il suo dèmone personale. Niente gatti o corvi, per Robin; per lei ci voleva un serpente. Dopo averla vista divorare in un pasto solo ben sei terrorizzati topolini la chiamò Nasu, che, come le aveva spiegato qualcuno, voleva dire "porcellino" in una delle tante lingue della Terra.

…al suo arrivo su Gea, con Nasu dentro la borsa, spaventata e stordita dalle procedure d'immigrazione e dalla bassa gravità. Nasu l'aveva morsicata tre volte, quel giorno.

…a quando aveva perduto il suo serpente nelle viscere di Gea, in qualche punto fra Teti e Tea. Con l'aiuto di Chris l'aveva cercata a lungo, avevano piazzato in giro dei bocconcini per attirarla, l'avevano chiamata per ore ed ore, inutilmente. Chris aveva cercato di convincerla che a Nasu non sarebbero certo mancate le prede, nelle tenebre di quel mondo sotterraneo pullulante di vita, e che avrebbe potuto cavarsela benissimo. Robin s'era sforzata di crederci, ma con scarsi risultati.

Aveva avuto intenzione di non separarsi mai, dal suo serpente. Aveva immaginato che sarebbero invecchiate insieme. A quanto ne sapeva, quel genere di rettili poteva raggiungere i dieci metri di lunghezza e arrivare tranquillamente a pesare il doppio di un normale pitone. Davvero un serpente notevole, l'anaconda…

Nasu emise un suono sibilante che fece rizzare i capelli sulla nuca a Robin. Dovevano esser riecheggiati suoni come quelli, sebbene non altrettanto forti e profondi, nelle paludi del Cretaceo. Serpenti notevoli, d'accordo, ma non diventavano mica così grandi…

— Ci-ci-ci… Cirocco… fo-forse… m-meglio…

Nasu si mosse. Sicuramente, fin dall'alba dei tempi, non s'era mai visto né udito un serpeggiare come quello. Un immane frussscìo ssspiraliforme capace di spedir di corsa un tirannosauro a rifugiarsi pigolando nella boscaglia, di far venire la cacarella ad una tigre dai denti a sciabola, di gelare il sangue nelle vene a un elephas primigenius.

E di paralizzare il cuore a Robin.

La testa dell'anaconda eruppe dalla galleria, poi s'immobilizzò. La lingua, due volte la circonferenza di un anaconda di grosso calibro, guizzava tra le fauci saettando ognidove. La testa, completamente bianca, aveva all'incirca le dimensioni della locomotiva che Robin s'era immaginata dapprincipio nelle tenebre. Occhi color dell'oro, tagliati da strette fenditure nere.

— Dille qualcosa, Robin — sussurrò Cirocco.

— Cirocco!- replicò Robin in tono d'urgenza. — Ma non ti rendi conto? Un anaconda non è mica un gattino o un cagnolino!

— Lo so.

— E no che non lo sai! Puoi prendertene cura, ma non arrivi mai a possederli. E loro ti sopportano solo perché sei troppo grossa da mangiare. Se Nasu ha fame…

— Non ce l'ha. Làsciati servire da chi ne sa più di te, mia cara. Gira un sacco di selvaggina robusta, da queste parti. Non crederai mica che quella là sia diventata così grossa mangiando polli e conigli, vero?