Continuando a scervellarsi nel tentativo di cavarne un senso, ebbe un'intuizione, e le parve di aver forse colto nel segno.
— Ciò che dici ha qualcosa a che fare con mia madre?
Virginale sorrise, lieta che l'altra avesse finalmente compreso.
— Sì. Naturalmente. Quello è il seme del tuo male.
Nova sentì la collera rifermentarle dentro, e si domandò se ce l'avrebbe fatta, stavolta, a raffrenarla.
— Ascoltami bene, maledizione, se putacaso Robin t'ha messa su per…
Virginale la schiaffeggiò. Uno schiaffo in realtà assai leggero, in scala titanide. Non la mandò neppure al tappeto.
— Allora è stata Cirocco, vero? È stata lei che t'ha detto…
Virginale la schiaffeggiò di nuovo. Il gusto del sangue le riempì la bocca. Il pianto le sgorgò dagli occhi.
— Sono estremamente dispiaciuta — disse Virginale. — Ma ho anch'io la mia dignità. Nessuno sta cercando di raggirarti. E mai avrei consentito a chicchessia di servirsi di me per indurti ad un riavvicinamento con tua madre.
— Sono cose che non ti riguardano!
— Hai perfettamente ragione. Sono cose che non mi riguardano affatto. Hai la tua vita da vivere, e devi far ciò che ritieni giusto. — Ciò detto si volse, e prese ad allontanarsi.
Nova le corse dietro, l'afferrò per un braccio.
— Aspetta! Ti prego, Virginale, aspetta. Dimmi… che posso fare?
Virginale si fermò, trasse un gran sospiro.
— Lo so che non è tua intenzione mostrarti scortese, ma offrire consigli in una situazione come questa viene considerata villanìa, presso il mio popolo. Non sta a me tracciare in vece tua una linea di condotta che ti si addica.
— Dovrei fare la pace con mia madre, vero? — insisté Nova in tono aspro. — E dirle che fa benissimo ad infrangere ogni più solenne voto, e ad… accompagnarsi con quel…
— Non so dirti, comunque, se ciò ti sarebbe davvero di aiuto. Io… ho già parlato troppo. Vai da Tamburina. È giovane, lei, e la presenza che ti corrode le rimarrà inavvertita ancora per qualche tempo. Potrai farle con lei, le tue cavalcate fuori città.
— Ancora per qualche… vuoi forse dire che gli altri titanidi riescono a…
Fu sopraffatta dall'enormità di quell'idea. Si sentì come nuda. I suoi più intimi pensieri erano dunque alla mercé di ogni sguardo titanide?
Ma che cos'è che vedono, di me?
Virginale rovistò nella borsa e ne trasse una tavoletta di legno, del genere di quelle che usava spesso per i suoi lavori d'intaglio.
Mostrava una ragazza, facilmente riconoscibile come Nova, seduta dentro una specie di cassa, con un atteggiamento fisso e inerte dipinto sul volto. All'esterno della cassa apparivano altri individui — Robin? Conal? Virginale? — non così univocamente identificabili, ma in pose d'indubitabile afflizione. Nova si rese conto che la cassa avrebbe potuto rappresentare una bara. Ma la ragazza al suo interno non era morta. Ricevette dall'oggetto una sensazione di estremo disagio, e fece il gesto di restituirlo.
— Aspetta. Guardalo meglio, quel viso — le ingiunse Virginale.
Obbedì. Se ad un primo esame le era parso freddo, immoto, sostanzialmente privo d'espressione, adesso, osservandolo più da vicino, non ebbe difficoltà a scorgervi una soddisfatta, felina piega delle labbra. Autocompiacimento? Gli occhi erano due fori vacui.
Gettò via la tavoletta. Virginale la raccolse, le diede un'ultima occhiata malinconica, poi la scaraventò lontano sulle acque del lago Moira.
— Non avresti fatto meglio a conservarla? — le domandò Nova in tono amaro. — Magari un giorno avrebbe potuto valere qualcosa. Forse un tantino esagerata, non credi? Un po' troppo apertamente simbolica. Se ci riprovi son sicura che puoi far di meglio…
— Era la quinta della serie, Nova. Eseguite una alla volta durante i miei ultimi cinque periodi di temponirico. Ho cercato d'ignorarle, le ho gettate tutte via. Ma non posso continuare a rifiutare la verità che i miei sogni non cessano di rivelarmi. Stai respingendo chi ti ama. E questo è già doloroso. Ma tu ne godi. E questo è non solo qualcosa che, come tu tieni a rilevare, non mi riguarda, ma soprattutto qualcosa che travalica la mia capacità di sopportazione. Addio.
— Aspetta, ti prego, rimani ancora… Sì, va bene, andrò a dirle che ha ragione lei… andrò a dirle che mi dispiace.
Virginale esitò, quindi scosse lentamente la testa.
— Non so se basterà.
— Ma allora cosa devo fare?
— Riapri te stessa — dichiarò senza esitazione Virginale. — Ora sei sprangata ad ogni possibilità di amore. E non solo nei confronti di tua madre. C'è una ragazza, nel tuo ufficio. Tu neanche la vedi. Ma lei ti ammira. Potrebb'essere tua amica. Potrebb'essere tua amante. Non so. Ma non esiste prospettiva per nessuna delle due cose, nello stato in cui ti trovi ora.
— Non capisco di chi stai parlando.
— Ne ignoro il nome. Ma ti basterebbe guardare, e la vedresti.
— E come devo fare per… guardare?
Virginale sospirò.
— Nova, se tu fossi un titanide oserei suggerirti di andartene via di qui per qualche tempo. Se questa malattia dell'anima avesse colpito me, correrei a rifugiarmi nelle deserte solitudini di un luogo remoto e selvaggio, ove digiunerei sin quando non fossi di nuovo giunta a scorgere le cose con la necessaria chiarezza. Non so tuttavia quale efficacia tale metodo sia in grado di esplicare, con gli umani.
— Ma non posso! Ho il mio lavoro… Cirocco ha bisogno di me…
— Certo — replicò Virginale con voce ricolma di mestizia. — Hai ragione, naturalmente. Quindi, addio.
VENTOTTO
Cirocco trovò Conal seduto sul fianco d'una collinetta sovrastante il Campo degli Stivali.
Tale luogo era situato su di un'ampia, lunga isola nel bel mezzo del lago Moira. Vi si ergevano numerose tende. C'erano una grande mensa ed una piazza d'armi. L'aria riecheggiava delle urla dei sergenti, e le minuscole figure delle nuove reclute marciavano ben bene allineate od arrancavano lungo percorsi ad ostacoli. Conal alzò lo sguardo su di lei mentre Cirocco andava a sederglisi accanto.
— Bel posticino, eh?
— Non quello che preferisco — confessò Conal. — Certo che ne arrivano di reclute!
— Trentamila, l'ultima volta che ho controllato. Pensavo di dover offrire premi d'ingaggio e razioni extra di cibo, per attirarne così tanti, e invece continuano ad arrivare spontaneamente. Non è una cosa favolosa, il patriottismo?
— Non ci ho mai pensato granché.
— E adesso ci pensi?
— Per forza. — Fece un gesto in direzione del neonato Esercito di Bellinzona. — Tu dici che non avranno bisogno di combattere. Ma il loro atteggiamento mi sorprende. A vederli così sembra che ne abbiano una gran voglia, invece. Nonostante…
— …tutto quello che han veduto sulla Terra — concluse per lui Cirocco. — Sì, me ne sono accorta. Immaginavo che qui sarebbe stato difficile arruolare un esercito di volontari. Ma probabilmente esiste nella razza umana una profonda, basilare, ineliminabile propensione alla guerra. Prima o poi Bellinzona diventerà troppo grande. A quel punto si dovrà fondare un'altra città da qualche parte nelle vicinanze, forse in Giapeto. In breve tempo le due città allacceranno vivaci rapporti commerciali. Dopo di che non ci vorrà molto prima che entrino in conflitto.
— Ma gli piace sul serio dover correre qua e là e obbedire agli ordini?
Cirocco si strinse nelle spalle.
— A qualcuno sì. Gli altri… be', moltissimi se ne tornerebbero a casa immediatamente, se potessero. Certo, non siamo andati mica a dirglielo prima, che si tratta di un arruolamento a tempo indeterminato, e che l'unico modo per uscirne è un congedo per motivi di salute… Metà di quella gente laggiù è già convinta di avere commesso un errore imperdonabile. — Indicò un'area recintata. — Là c'è il campo di concentramento per i renitenti. È molto peggio dei campi di lavoro. E una volta che gli è riuscito di venirne fuori, si dedicano alla vita militare anima e corpo.