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Conal lo sapeva già. Così com'era a conoscenza di gran parte delle cose che lei gli aveva appena detto. Da un po' di tempo, ormai, veniva ad appostarsi lì a mezza costa, osservando, e cercando di capire. Era nato piuttosto in ritardo sull'epoca dei grandi eserciti. La disciplina militare era per lui, una cosa estranea e paurosa. E i soldati con cui gli capitava di parlare sembravano… diversi.

— Una cosa è certa — notò Conal. — Si stanno preparando a combattere. — Ed era vero. L'addestramento, laggiù al campo, si svolgeva con la massima serietà. La produzione di spade era in aumento. Ogni soldato avrebbe dovuto essere equipaggiato di una corta spada, uno scudo, una corazza pettorale in cuoio temprato o — per gli ufficiali — in bronzo, un elmetto di ferro, stivali e pantaloni di buona qualità… insomma, la dotazione essenziale della fanteria. Le truppe venivano organizzate in legioni e coorti, ed istruite circa le tattiche degli eserciti romani. C'erano legioni di arcieri. C'erano squadre di genieri che imparavano a realizzare torri d'assedio e catapulte, da costruire in zona operativa utilizzando i soli materiali ivi disponibili. Alcune unità operative erano già partite e si trovavano attualmente in Giapeto e Crono, impegnate nella riparazione dei ponti lungo il tracciato della vecchia strada Circum-Gea.

— Bisogna che si preparino — dichiarò Cirocco. — Se la battaglia cruciale, quella fra me e Gea… insomma, se io perdo, la guerra non sarà finita, per i nostri soldati. Si troveranno in difficoltà lontanissimi da casa, e stai sicuro che Gea non sarà così gentile da sospendere le ostilità. Ha radunato a Pandemonio qualcosa come centomila individui, e quelli combatteranno tutti. Anche se privi di addestramento… Gea è un tipo troppo trascurato per badare a queste cose… come numero saranno quattro volte i nostri. Quindi ho il dovere di far sì che quei ragazzi laggiù siano pronti a combattere.

Conal ci rifletté un istante, e vide che i conti non tornavano.

— Ma se ne abbiamo già trentamila, e poi tutti quegli altri che via via stanno arrivando…

— Qualcuno rimarrà per strada, Conal.

Lui si girò a guardarla, e vide che Cirocco lo scrutava in attesa della sua reazione.

— Così tanti?

— No. Tanto per cominciare ho intenzione di fare una discreta cernita. Comunque avremo certamente delle perdite. Quante, dipende in parte anche da te.

Conal capiva perfettamente. Le loro legioni "romane" avrebbero marciato sotto la continua minaccia d'incursioni aeree. E sarebbe toccato proprio a lui rintuzzare gli attacchi dell'Aviazione Geana.

— Quanti apparecchi? Ce l'hai già un'idea?

— Vuoi dire le bombe volanti? Sono abbastanza sicura che Gea dispone ancora di otto squadre d'assalto. Il che significa ottanta aeromobili. A proposito, come va l'addestramento?

— Una meraviglia. Ormai ho più piloti in gamba che aerei da fargli guidare.

— Be', quanto agli aerei ti ho già dato tutti quelli che potevo darti, quindi stai bene attento a non sprecarli.

Per un attimo Conal si sentì pervadere da un senso d'irritazione. Non era da Cirocco dire cose del genere. Le diede un'occhiata, e rimase sgomento nel vedere, percezione fugacissima eppure intensa, che lei quasi dimostrava la propria età. Il peso delle sue responsabilità doveva essere davvero tremendo.

— Conal… forse non è il momento più adatto per tirare in ballo l'argomento, ma… Sono appena tornata da un giro insieme a Robin, e ho avuto modo di notare in lei un certo… nervosismo.

— Cosa vorresti dire? Che genere di nervosismo?

— Ecco… ho avuto l'impressione che… sembra quasi che abbia paura che io ci prenda troppo gusto a… a questa situazione. — Fece, con la testa, un cenno vago in direzione del campo, ma evidentemente in quel gesto intendeva racchiudere molto di più.

Anche Conal, a dire il vero, era giunto a nutrire un timore del genere.

— Secondo me — replicò — nessuno verrebbe a sollevarti dai tuoi impegni. Nemmeno se tu li mettessi in palio con regolari elezioni.

— Credo che tu abbia ragione.

— È un potere molto grande.

— Sì, davvero grande. Quando ne discutemmo tutti insieme la prima volta, ve la diedi un'idea di quel che sarebbe potuto succedere. Ma fra il sentirselo dire e il vederlo, c'è una bella differenza.

Conal sentì che dita di ghiaccio s'insinuavano a stringergli il cuore. Era tanto che non gli capitava. Il perno del suo universo s'incentrava lì, in quell'enigma chiamato Cirocco Jones. La loro reciproca conoscenza aveva avuto inizio nel sangue e nel patimento. Il suo atteggiamento nei confronti di lei era lentamente filtrato attraverso il vaglio del terrore e della sottomissione, era sfociato nell'accettazione, poi si era evoluto in qualcosa di simile alla venerazione… per trasformarsi, finalmente, in amicizia.

Ma restava pur sempre, nel più profondo del suo essere, una minuscola scheggia di gelo assoluto.

Tanti anni prima, confinato lassù nell'inaccessibile caverna, aveva trascorso un periodo durante il quale si era sentito prossimo alla morte. Cirocco e Cornamusa mancavano da oltre un chiloriv. Quel poco di cibo che gli avevano lasciato era finito da un pezzo. Egli vegetava in una condizione di torpida semincoscienza, del tutto adeguata all'inerzia della luce immutabile.

Guardava la carne del proprio corpo gradualmente dissolversi dal prostrato carcame delle ossa, e sapeva che l'avevano abbandonato.

Non gli pareva giusto. Non se lo sarebbe mai aspettato, da Cirocco.

Eppure, da quella situazione disperata, riusciva a trarre un curioso senso di superiorità. Le recenti traversìe gli avevano consentito di veder molto più chiaro, in se stesso, e aveva ora la certezza che quel non più baldo giovinotto, ormai ad un passo dalla morte per inedia, a dargli tempo qualche settimana sarebbe divenuto un uomo assai migliore rispetto a quel frescone che, nel bar titanide, s'era spavaldamente fatto avanti ad apostrofare l'imperscrutabile strega nerovestita. Insomma, a questo punto ci avrebbe perso lei, se lo lasciava crepare.

Poi, un bel "giorno", Cornamusa s'era inerpicato dentro la grotta, e a Conal l'appena edificato castello d'elucubrazioni era riprecipitato repentinamente attorno. Allora mi stavano mettendo alla prova, aveva pensato. Lasciamogli patire un po' la fame, vediamo come reagisce. E che importa se gli dà un po' di volta il cervello? Vuol dire che diventerà più malleabile…

Questa linea di pensiero era durata non più d'una frazione di secondo. Poi Conal aveva dovuto rendersi conto che Cornamusa appariva gravemente ferito, che sanguinava da una dozzina di piaghe, che teneva un braccio appeso al collo. Ma com'era riuscito, in quelle condizioni, ad arrampicarsi fin lassù?…

— Sono profondamente mortificato — aveva detto Cornamusa con voce stanca. — Fosse stato anche solo remotamente possibile, sarei tornato qui già da lungo tempo. Ma non siamo stati assolutamente in grado di muoverci. Cirocco mi ha ordinato di assicurarti che, ov'ella sopravviva, verrà personalmente a presentarti le sue scuse. Comunque, che viva o che muoia, ti concede sin da ora di tornar libero da questo luogo. Non avremmo mai dovuto lasciarti qui da solo.

Conal sprizzava curiosità da tutti i pori, ma ogni altra cosa passò in subordine, alla vista del cibo. Cornamusa gli preparò una minestra in brodo e rimase un poco a fargli compagnia, anche per assicurarsi che iniziasse a riprendersi. Però non volle rispondere ad alcuna domanda, quando infine Conal prese a fargliene, limitandosi a rivelare che anche Cirocco era rimasta gravemente ferita, ma si trovava ora in un rifugio abbastanza sicuro.