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Cirocco lo sapeva benissimo che il campo era troppo distante, dal momento che ciò rientrava in un suo preciso intento di ulteriore decimazione.

Condusse quindi le sue truppe in una marcia spietata attraverso il crescente calore e l'immutabile luce di Giapeto. Gli uomini incominciarono a perdere i sensi. Man mano che ciò accadeva, venivano caricati sui carri. Quando finalmente il campo fu raggiunto, gran parte dell'esercito versava in uno stato di completo sfinimento. Anche non pochi ufficiali erano crollati, strada facendo.

— Ecco il programma per i prossimi riv — disse al suo stato maggiore, riunito d'urgenza prima che avesse la possibilità di guadagnare la mensa. — I soldati svenuti, o comunque infortunati a séguito della marcia odierna, rimarranno qui. Costruiranno su quest'area il Campo Ponto, utilizzando materiali disponibili in loco. Conserveranno le proprie armi e il resto dell'equipaggiamento personale, ma i carri verranno con noi. Ponto verrà fortificato, e in esso saranno permanentemente di stanza due delle Coorti di una Legione. Le tre rimanenti Coorti si attesteranno in analoghi ma più piccoli avamposti a nord, a sud e ad est. Il compito di questi distaccamenti consisterà nell'ampliare la sede stradale e mantenerla percorribile, oltre che rallentare con azioni di disturbo l'avanzata del nemico nel caso di un attacco proveniente da Iperione. Saranno al comando del Generale della Terza Divisione con base in Bellinzona. Inviategli un messaggero per informarlo della cosa. E requisite tutti i carri necessari a riportare indietro i malati più gravi, quelli che si son buscati più di un semplice sfinimento. Tutto chiaro?

Nessuno ebbe la forza di mettersi a discutere con lei.

DUE

Quattrocentocinquanta chilometri ad occidente, e ad una profondità di cinque chilometri, Nasu strisciò attraverso le tenebre sinché non giunse ad una lunga, angusta galleria che mandava davvero un pessimo odore.

Lei conosceva bene quei luoghi, e li odiava, nel suo freddo e massiccio cervello da rettile. Non avrebbe voluto entrare in quella galleria. Era un luogo di sofferenza. Ne aveva un vago ricordo, sotto Giapeto appena un chiloriv prima, ed altre volte in passato.

La saggiò in un saettar di lingua, e sentì il sapore dell'odio. A quasi un chilometro di distanza, grandi spire della sua parte mediana si contorsero fra l'indecisione e l'impazienza di andare. La sua coda, a dire il vero, incominciò a strisciar via. Ci voleva un po' di tempo, prima che gl'impulsi emanati dalla massa di materia grigia che fungeva da cervello giungessero alle estreme propaggini del corpo, alle quali capitava sempre più spesso di non andare d'accordo con il quartier generale.

L'immenso conflitto corporeo provocò uno zampillar di acidi all'interno della mostruosa cavità digerente, il che già di per sé sarebbe stato abbastanza doloroso, ma la secrezione gastrica diede oltretutto il via a un gigantesco trambusto che le fece rigonfiar qua e là scompostamente i fianchi. Il motivo era semplice: aveva di recente divorato settantotto di quelle torpide, cieche ed elefantiache creature dette Bitorzoloni, diffuse laggiù per le tenebrose profondità e piuttosto restìe a crepare. Ne aveva in corpo, vive, ancora ventisei, e l'acido non piaceva loro più di quanto piacesse a Nasu.

Acido. Iperione. La cosa Robin. Va' in Iperione. Acido. Robin.

Questi concetti fluttuarono attraverso il suo cervello come apparizioni fugaci e sconnesse cento, duecento volte, e alla fine si fissarono di nuovo in un quadro coerente. Doveva andare in Iperione. Là doveva incontrare la Robin caldoprotettiva. Doveva entrare nella galleria, dove c'era l'acido.

Una volta in movimento, Nasu era inarrestabile. Sfrecciò lungo il tunnel come il peggior incubo freudiano della storia.

Incontrò l'acido molto più avanti di quanto si aspettasse. E a quel punto, di fermarsi non se ne parlava neanche. S'immerse di schianto nel liquido e lo solcò tracciandovi una titanica scia. Teneva gli occhi strettamente serrati, ma quando fece la sua precipitosa irruzione nel sancta sanctorum di Crono, indefettibile alleato di Gea, le palpebre semitrasparenti le consentirono ugualmente di guardarsi attorno.

Crono urlò la sua rabbia, la sua umiliazione, la sua pena. Ma ciò non rallentò l'irrefrenabile moto del serpente. Delle tre gallerie che si dipartivano dalla sala, Nasu scelse la più orientale, e v'infilò d'impeto la testa. In quel momento, l'estremità della sua coda si trovava giusto entro il ramo occidentale del tunnel.

Faceva un male del diavolo. Era in questo modo che s'era ridotta a divenire tutta bianca. Presto avrebbe di nuovo mutato pelle, e la situazione sarebbe migliorata, ma solo un po'. Anche le palpebre venivano erose dall'acido. Avrebbero finito per ricrescere, ma il dolore sarebbe stato intenso.

E laggiù in fondo, naturalmente, la parte del suo corpo ancora immersa continuava a gridare la propria sofferenza, ma i segnali erano lenti ad arrivare. S'inoltrò con immutato slancio nella cavernosa oscurità del labirintico Crono orientale, e continuò a procedere finché non ebbe la certezza d'essere del tutto fuori dalla zona protetta. Prese quindi a contorcersi convulsamente, mandando immense spire del proprio corpo ad urtare con violenza contro le rocce. I ventisei Bitorzoloni superstiti passarono velocemente a miglior vita. Chi si fosse in quel momento trovato, sul bordo interno di Gea, a traversare la verticale di un tal sotterraneo sconvolgimento, avrebbe potuto sentire la terra tremare.

Ma il patimento l'accompagnò ancora a lungo. Nasu si raggomitolò in una stretta sfera con la testa da qualche parte vicino al centro, e attese la guarigione.

Solo un'altra volta ancora, pensò.

Crono era incazzato come una iena. Quand'uno è signore e padrone di un territorio esteso per centomila chilometri quadrati — senza contare le innumerevoli caverne disseminate nel sottosuolo, nonché lo spazio aereo sovrastante — e riceve forse una visita ogni dieci miriariv, e persino quella con scarsissimo entusiasmò… be', come fa uno a non seccarsi quando un strafottuto rettile da incubo gli fa irruzione dentro casa che pare un direttissimo coi freni rotti e il guidatore sbronzo?… Ciò non faceva altro che confermare le sue più amare constatazioni. Quella stramaledetta ruota stava andando a ramengo. Non funzionava più nulla. E tutti se ne approfittavano.

Egli si era mantenuto fedele a Gea per millenni… ma che dico, per eoni! Quand'era venuto fuori tutto quel casino con Oceano, chi aveva sostenuto Gea al mille per cento? Crono, ecco chi. E quando il polverone s'era posato e il vecchio Giapeto, rimpiattato nel suo covo, sfregandosi un paio d'inesistenti mani simile a una spia comunista da fumetto s'era messo a sussurrargli all'orecchio paroline dolci ed insinuanti, l'aveva forse ascoltato, lui? Assolutamente no. Crono era in diretta comunicazione col cielo, e Gea dominava dal suo trono, e tutto andava per il meglio, dentro la Grande Ruota.

E quando quella schizofrenica di Mnemosine aveva dato in escandescenze e poi era venuta per così dire a frignargli sulle ginocchia, oooh diodiodio, perché quel pidocchioso vermaccio delle sabbie gli stava mandando in maravalle tutte le sue fetenti foreste, aveva fors'egli smarrito la sua fede in Gea? Neanche per sogno.

E anche quando la Grandèa gli aveva appioppato quella scellerata cagna fellona d'una Cirocco Jones dicendogli che da quel momento era la Maga e che lui doveva essere carino con lei, aveva forse fatto storie? No di certo, non il buon vecchio Crono. Ma gli era stato proprio bene quando la fedifraga Jones…

Si ritrasse all'istante da siffatta meditazione. Gea era bensì malandata, chiunque indubitabilmente se ne avvedeva, ma certi pensieri era meglio lasciarli inespressi. Non si può mai sapere chi può starti ad ascoltare…