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— Bisogna per forza agire così, Conal — aveva ribadito Cirocco. — Temo che un attacco portato alla base di Crono farebbe affluire rinforzi da tutta la ruota, impedendoci un'azione di sorpresa. Un loro intervento massiccio potrebbe spazzar via te e i tuoi piloti, dopo di che noi rimarremmo completamente esposti alle loro incursioni per tutto il tragitto verso Iperione.

Quindi Conal se ne stava ora in meditabonda attesa dentro la sua base, ben occultata sugli altipiani settentrionali di Giapeto. Le ore si trascinavano con lentezza esasperante. Non gli riusciva di prendere sonno. Non si allontanava mai oltre duecento metri dal suo aereo, rifornito di tutto punto e sempre pronto alla partenza.

Gli altri piloti giocavano a carte, si raccontavano barzellette, cercavano comunque di passare il tempo in qualche modo. Si trattava in prevalenza di uomini e donne che avevano già pilotato velivoli militari sulla Terra. Conal non aveva granché in comune, con loro. Gente istruita, per lo più. Lo guardavano dall'alto in basso, risentiti del fatto che Cirocco avesse piazzato lui, al comando… ma ciò non impediva loro di ammirare la sua straordinaria abilità aviatoria. Un talento naturale, dicevano. Il che era vero. Ma il motivo essenziale che li induceva a prestargli ascolto, era che lui aveva collezionato più ore di volo, su Gea, di tutti quanti loro messi insieme. Era lui, che conosceva a menadito le particolari condizioni ambientali di Gea; era lui che sapeva perfettamente fin dove potesse spingersi la resistenza dei tenaci, piccoli aeroplani, in situazioni di alta pressione e bassa gravità; era lui che comprendeva appieno le tempeste di Coriolis, la cui complessa dinamica lasciava tanto interdetti gran parte degli altri piloti.

Quindi lo sopportavano, e imparavano da lui.

Ogni ora di veglia, Conal la trascorreva incollato al ricetrans.

La base manteneva un rigoroso silenzio radio. Si sperava che Gea ne ignorasse l'ubicazione, e si sospettava che le bombe volanti fossero in grado d'intercettare le trasmissioni elettromagnetiche. Ci si limitava dunque ad ascoltare gli osservatori avanzati presenti in Meti, e le concise comunicazioni provenienti dall'esercito in marcia.

E, alla fine, l'allarme arrivò.

— Banditi ad ore otto — annunciò la radio. — …sei, sette… ecco l'ottavo, nove… e con Capoccione fanno dieci.

Gli equipaggi decollarono con fulminea rapidità. Conal era già in volo ancor prima che giungesse il resto del messaggio.

— Scendono dritti verso terra. Non li vedo più. Stazione uno chiude. Avanti stazioni due e tre.

La stazione uno trasmetteva dagli altipiani meridionali di Meti. Disponeva del più potente telescopio di tutta Gea — requisito, al pari di numerosi altri aggeggi tecnologicamente avanzati, negl'incredibili scantinati di Chris — e lo teneva costantemente puntato sul cavo centrale di Meti.

La due e la tre erano situate ad ovest e ad est del cavo. Qualunque rotta avesse preso l'Ottava, Conal l'avrebbe presto saputo. Si aspettava che volgesse ad est, verso Bellinzona e l'esercito. Ma era sempre possibile che si trattasse di un trucco o di una manovra diversiva.

Di una cosa, comunque, era piuttosto sicuro. La Quinta Aerobrigata stava scendendo in direzione di Crono, e non aveva da fare molta strada.

— Rapporto da stazione tre. Tutti e dieci i banditi in vista. Diretti ad… est, limitatamente alla portata del nostro radar.

Appena scattato l'allarme erano decollate tre squadriglie di cinque unità ciascuna. Conal preferiva non pensare a quanto pochi fossero gli aerei di riserva.

— Qui Grancàn — disse Conal. — Caposquadriglia tre, dirigere ad est ed eseguire piano tre.

— Roger, Grancàn.

— E buona fortuna.

— Roger — giunse laconica la risposta. Conal sapeva che ne avrebbero avuto bisogno. L'Ottava avrebbe senza dubbio continuato in direzione est il più a lungo possibile, prima di rivelare la sua meta finale virando nettamente a sinistra per Bellinzona oppure proseguendo verso Crono e l'esercito. Comunque andasse, sarebbe stata intercettata ed impegnata dalla Terza Squadriglia, in svantaggio numerico per uno a due.

Guardò i cinque aerei staccarsi dalla formazione, con precisione ed eleganza degne di un'esibizione acrobatica. Ma purtroppo si trattava di ben altro.

Stavano volando verso sud. Ora diede ordine di virare ad est. Le Squadriglie uno e due si sarebbero prima separate, per poi convergere sull'esercito da nord e da sud.

Proprio mentre stavano completando la manovra, gli giunse via radio il messaggio che attendeva con timore.

— Qui Roccaforte. Stiamo subendo un attacco aereo. Assenza di truppe terrestri. Si ritiene che gli attaccanti siano la Quinta di Crono, ma impossibile conferma per ora. — Si udì il frastuono di un'esplosione. — Forza ragazzi, movetevi! Qui ci stanno facendo a brandelli!

Al primo allarme della stazione uno, l'esercito mise in moto il suo piano difensivo, per modesto che fosse.

Varcato l'Ofione si erano spinti all'interno di Crono, attraverso un territorio leggermente ondulato che li lasciava spaventosamente esposti dall'aria. Stavano adesso inoltrandosi in un'angusta lingua di terreno erboso, che si andava gradualmente assottigliando sinché non sarebbe stata infine obliterata dalla concomitante presenza a meridione della giungla, e a settentrione del mare di Vesta.

Non possedevano alcuna reale capacità offensiva. Non esisteva nulla, nel loro arsenale, con cui potessero minimamente sperare di colpire una bomba volante. Erano stati fatti alcuni tentativi per convertire l'armamento aereo rendendolo utilizzabile anche da terra… con risultati a dir poco disastrosi. Cirocco aveva ordinato di lasciar perdere, ben consapevole di avere già sprecato fin troppe delle ridotte scorte dell'Aviazione in quella narcisistica bravata su Pandemonio. Ora l'avrebbe scontata, e il suo esercito insieme a lei.

Bellinzona aveva di recente iniziato la produzione di polvere da sparo e nitroglicerina. La polvere, sotto forma di grandi razzi, era andata all'esercito, ma quasi tutta la nitro, in versione dinamite, era stata dirottata verso uno scopo che Cirocco aveva tenuto rigorosamente segreto, facendo montare su tutte le furie i suoi Generali. Ma anche se costoro avessero potuto disporre di quella dinamite, non gli sarebbe servita a granché per contrastare un attacco aereo. I razzi, pur muniti di testata esplosiva, sarebbero serviti più che altro da diversivo… nella speranza che cavedani e crotali li individuassero come fonti di luce e calore e se ne facessero attrarre.

I cosiddetti falò erano stati approntati in ossequio al medesimo concetto. Parecchie dozzine di carri non contenevano altro che legname asciutto e cherosene. All'annuncio dell'attacco, tali carri vennero allontanati anteriormente, posteriormente, e sui due lati della colonna, fin dove si riuscì a farli arrivare prima che fosse avvistata la squadriglia nemica, e poi gli venne dato fuoco. Si confidava che, nelle tenebre fitte della notte di Crono, quelle vive concentrazioni luminose avrebbero indotto gli attaccanti ad erroneamente valutare le reali dimensioni dell'esercito, fornendo loro, nel contempo, bersagli facili ed assolutamente sacrificabili.

Il nucleo principale dell'esercito spense tutte le luci e si sparpagliò, ed ogni soldato si mise di lena al lavoro col suo personale Attrezzo da Trincea. … volgarmente detto pala o badile: qualcosa che dalle tecnologie avanzate non aveva ricevuto sostanziali migliorie. Un fante delle Argonne l'avrebbe saputo usare all'istante. Il terreno era coriaceo, ma è davvero straordinario con quanta rapidità uno sia capace di scavare quando incomincia a sentirsi piovere addosso le bombe.

Cirocco si ritrovò nell'atto di compiere un gesto che sorprese lei per prima. Mentre i puntolini biancazzurri che erano le belve della Quinta Aerobrigata Cacciabombardieri si davano a sorvolare in cerchio il suo esercito, prendendo posizione per compiere le loro micidiali incursioni, Cirocco tornò di corsa sui propri passi lungo la strada, gridando e agitando la spada.