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— State giù! Mettetevi al coperto! State giù, state giù! Fra poco arriva la nostra aviazione! Tenete giù quelle testacce maledette!

Vide il primo, mortale fiore color arancio sbocciare davanti a sé, da un lato, ancora piuttosto lontano, poi venne d'improvviso abbrancata per un braccio, sollevata di peso e scaraventata sull'ampia groppa di Cornamusa. Vi si posò in piedi, e subito afferrò il titanide per le spalle e gli berciò in un orecchio.

— Vai al riparo, stupido bastardo!

— Ci vado quando ci vai anche tu — le rispose Cornamusa.

Continuarono dunque a precipitarsi come ossessi giù per la carreggiata lasciando le truppe a bocca aperta per lo stupore, agitando forsennatamente le spade, sbraitando avvertimenti del tutto superflui mentre il mondo incominciava a tuonare, a tremare, a bruciare sotto il martellamento della feroce Quinta Aerobrigata. Lo sapeva che era una follia. Non s'era mai capacitata di come potessero, i comandanti, mettersi a fare stupidaggini del genere, e non aveva per nulla chiaro in mente fin dove avrebbe potuto spingersi. Non s'illudeva certo di essere refrattaria a bombe e proiettili, e non credeva affatto che l'impeto temerario, la forza scatenata della sua personalità potessero in qualche modo proteggerla… teoria, questa, che aveva davvero visto propugnare in alcuni dei più fantasiosi trattati di arte militare.

Sapeva solo che non era giusto, filare subito a rimpiattarsi da qualche parte. Meglio, piuttosto, correre il rischio di restare uccisa. Bisognava che i suoi soldati la vedessero, che sentissero che non aveva paura… anche se, in effetti, stava tremando con tale violenza che la spada quasi le sfuggì di mano. Non c'era altro modo di convincerli a rischiare la propria vita, visto che era lei a domandarglielo.

Dio, pensò. Mirabil cosa, l'andare a guerreggiar…

La maggior parte dei titanidi adottarono la linea di condotta che Cirocco e i suoi Generali s'erano trovati d'accordo nel consigliare loro come la cosa più logica da fare. Gli ci sarebbe voluta un'eternità, a scavare trincee grandi abbastanza da proteggere quei loro spropositati corpaccioni. Il loro maggior vantaggio stava nella velocità.

E quindi scapparono via come il vento.

Si disseminarono in tutte le direzioni, allontanandosi il più possibile dalla zona nevralgica dell'azione, e guardarono, ammutoliti dall'orrore, la diabolica bellezza della battaglia dispiegarsi nell'aria e sulla terra.

I razzi terra-aria, rifulgenti d'un rosso brillante, s'innalzavano sibilando dai carri pirotecnici lasciandosi dietro una scia di faville arancioni, e concludevano le proprie traiettorie in innocue esplosioni. Prorompendo come stormi d'uccelli incandescenti da sotto le ali delle bombe volanti, cavedani e crotali tracciavano fiammeggianti strie rosse blu verdi in terrificante crescendo d'accelerazione, e strillando in gaudiosa setedisangue si precipitavano con impeto suicida ad affondare nel ventre dei carrifalò, o si gettavano in caccia dei pirorazzi, oppure, sin troppo di frequente, non si facevano ingannare, e preferivano sfrecciare a bassissima quota irrorando di fuoco liquido il terreno butterato. Gli aeromorfi non erano di per sé individuabili che tramite i biancazzurri gas di scarico. Le bombe, invece, rimanevano completamente invisibili finché non giungevano al suolo… dopo di che facevano apparire insignificante tutto il resto.

Alcuni titanidi, sconvolti oltre ogni dire ed incapaci di assistere inerti, fecero per slanciarsi nel folto della carneficina, ma vennero trattenuti da compagni più assennati.

Solo i guaritori titanidi non correvano da nessuna parte. Esattamente come i medici umani, facevano quello che, in guerra, i dottori hanno sempre fatto. Raccoglievano i feriti, cercavano di alleviarne le sofferenze… e morivano al loro fianco.

— Oh, Grande Madre!, se mi concederai d'uscirne viva, mai più mi staccherò dal mio computer!, mai più, te lo giuro!, mai più, mai più, mai più…

Nova non si rendeva conto di urlare. Se ne stava tutta raggomitolata dentro un fosso che le pareva profondo non più di mezzo centimetro, spalla a spalla con due fantaccini mai visti né conosciuti.

Il fossato, in verità, era appena un tantinino più profondo di mezzo centimetro, e in un momento di relativa calma si arrampicarono fuori tutti e tre mettendosi a scavare come matti. Poi il mostro eseguì un altro passaggio, e loro si riammucchiarono alla rinfusa dentro la buca, in una confusione di gomiti piantati nelle costole, stivali, spade per fortuna inguainate, elmetti di sghimbescio, e il fetore della paura. Tenendo gli scudi protesi di piatto verso l'alto a protezione, sentivano zolle di terra scrosciare sul bronzo con sordo tamburellìo.

Scoppiò una bomba a poca distanza. Nova pensò che forse sarebbe rimasta sorda per sempre. Nelle sue orecchie, comunque, per un bel po' non ci fu altro che un sibilo ronzante. Frammenti di metallo bollente commisti a terriccio fumigante fecero di tutto per penetrare nel loro misero rifugio.

— Mai più, mai più, mai più…

Conal rifletteva, con parte della sua mente, che gli aggressori partiti da Meti si erano diretti a settentrione, verso Bellinzona. E in quell'angolo di pensiero si disperava per la Terza Squadriglia, tanto inferiore in numero rispetto al nemico.

Ma con tutto il resto della sua consapevolezza era concentrato sul sipario di tenebra che gli si parava dinnanzi e di minuto in minuto s'andava progressivamente, spaventosamente illuminando. Lui e i suoi uomini poterono vedere la battaglia molto prima di giungere sul luogo ov'essa infuriava.

Poi affrontarono il nemico, e non rimase tempo per pensare ad altro che a combattere e rimanere in volo.

Conal dovette lasciare al computer ampia facoltà d'intervento. Troppi segnali si accavallavano sul monitor, troppa confusione, troppo buio regnavano intorno. Si piegò, virò, incominciò a prendere di mira qualcosa che pareva promettente… e venne scavalcato dal centro di controllo del tiro, che aveva identificato nell'obiettivo un velivolo amico. Poi riuscì ad abbattere una bomba volante. L'intero scontro durò meno di tre secondi. Non si curò di osservare il rottame precipitare nella notte, ma impegnò immediatamente l'aereo in una virata a dieci g per dirigersi verso il prossimo bersaglio favorevole.

Gli pareva proprio una battaglia senza mordente. Anche se si rendeva ben conto che doveva avere fatto tutta un'altra impressione a chi l'aveva vissuta e subita laggiù a terra, durante i venti minuti che le sue squadriglie avevano impiegato per giungere in zona. Ma quando finalmente erano arrivate, la Quinta Aerobrigata aveva già stupidamente sprecato molto del suo potenziale offensivo aria-aria. I cannoncini erano a corto di bioproiettili. Agli aeromorfi avanzava qualche bomba, e ciò rendeva più soddisfacente abbatterli, perché almeno si esibivano in una deflagrazione decisamente più robusta, quando venivano colpiti dai missili di Conal. Ed ogni esplosione in aria significava un frammento di morte in meno per quelli laggiù dentro le trincee.

Alla fine rimase solo il Luftmörder. Conal e due dei suoi piloti lo aggredirono da tergo. Il primo colpo gli portò via gran parte dell'ala sinistra. Una Zanzara gli si avvicinò al punto che parve quasi volerglisi agilmente posare sugli ugelli di coda, poi gli lanciò un missile, e tutti loro rallentarono e lo guardarono precipitare. L'aria era piena di fumo, ed una spaventosa quantità d'incendi punteggiavano il terreno sottostante.

— Qui è Grancàn che chiama Roccaforte.

La lunga pausa che seguì, a Conal non piacque per niente. Ma pensò che qualcuno poteva anche avere perso la sua radio…

— Grancàn, qui è Roccaforte. Non vedo altri nemici.

— Esatto. Sono tutti morti. La Quinta Aerobrigata non esiste più. Non ho ancora notizie dalla mia Terza Squadriglia, ma so che hanno affrontato l'Ottava da qualche parte sopra Dione, e voi laggiù potete respirare almeno per mezzo riv, prima che giungano eventuali scampati.