— Roger, Grancàn. Continueremo a scavare.
Conal stava ora procedendo lentissimo, appena sopra la velocità di stallo, mentre i computer provvedevano a rimettere in formazione la Prima e Seconda Squadriglia. Guardandosi attorno, vide un vuoto nella sua stessa Squadriglia, la Prima, e un altro vuoto nella Seconda. Osservando poi lo schermo notò un segnale d'emergenza, fisso a terra, nelle vicinanze di Vesta. Inviò allora uno dei suoi piloti ad effettuare una ricognizione e verificare se c'era un superstite.
Due aerei perduti. Un pilota perduto, forse due. Altri due aerei con danni minori.
Si accorse di essere sudato fradicio. Mise l'aereo in completo automatismo, si lasciò andare contro lo schienale, e restò lì qualche minuto a tremare. Poi si asciugò il sudore dal viso.
— Grancàn, Grancàn, qui Squadriglia Tre.
Conal riconobbe la voce. Si trattava di Graziana Gomez, il pilota più giovane e meno esperto della Terza.
— Ti ricevo, Gomez.
— Grancàn, la Terza Squadriglia ha impegnato il nemico dieci chilometri a sud della Baia Piperita. Dieci aeromobili intercettati, e dieci distrutti. Uno è riuscito a raggiungere Bellinzona, e l'ho abbattuto poco fa. Ha fatto in tempo a sganciare sulla città tre, forse quattro bombe.
Traspariva qualcosa, dalla sua voce, che mise Conal in agitazione.
— Gomez, dov'è il tuo caposquadriglia?
— Conal… il caposquadriglia sono io. In effetti… io sono tutto quel che resta della Terza Squadriglia. — Nel finale di frase la voce le venne meno, e la radio di Conal rimase muta.
— Graziana, torna alla base di Giapeto Nord, e atterra lì.
Vi fu una lunga pausa. Quando la donna riprese a parlare, la sua voce era sotto controllo.
— Non posso, Grancàn. L'aereo è alquanto danneggiato. Però credo che potrebb'essere recuperabile. Cercherò di farlo scendere sul terreno di gioco vicino ai campi di lavoro. Credo di poter…
— Negativo, Gomez. — Conal sapeva perfettamente cosa stava pensando quella là. I piloti si trovavano abbastanza facilmente, ma gli aerei erano merce rara. Quella proporzione l'offendeva.
— Be'… allora vedrò di compiere un ammaraggio di fortuna vicino ai moli, dove l'acqua non è troppo profonda. Poi si può tirarlo fuori e…
— Ascoltami bene, Gomez, adesso tu dirigi quell'affare verso Moira, e quando sei esattamente sopra il pezzo di terra più grande e pianeggiante che riesci a trovare ti butti fuori, chiaro?
— Grancàn, credo di poter…
— Buttati, Gomez! È un ordine!
— Roger, Conal.
Più tardi, quando si cominciò a fare un po' di bilanci, Conal venne a sapere che Gomez era riuscita a riportare felicemente l'aereo a terra. Ma era morta un'ora dopo, di emorragia, per le tremende ferite da shrapnel di cui non gli aveva detto nulla.
Nova si rese conto, pian piano, che la situazione pareva essersi calmata.
Sollevò un poco la testa. Vide fiamme levarsi alte nella notte. Udì qualcuno gemere lì nei pressi. E qualcuno urlare. Si mosse con circospezione, appoggiandosi sui gomiti, si raddrizzò l'elmetto, e si ritrovò faccia a faccia con uno dei suoi compagni di trincea. Lui le rivolse un gran sorriso ebete. Lei lo ricambiò con una sciocca risatina che istintivamente le sgorgò di gola. Grande Madre, eran cose da farsi, in quello sfacelo? Eppure continuò per un bel pezzo senza riuscire a smettere, e l'uomo rise insieme a lei, felice di esser vivo. Poi si volsero entrambi all'altro soldato rifugiatosi nella trincea, per condividere con lui la loro gioia.
Ma c'era un forellino, sotto il braccio sinistro di quell'uomo, e un foro più grande gli marchiava il centro del torace. Per molto tempo Nova rimase lì, tenendo stretto a sé quel corpo insanguinato, e non le riuscì di versare nemmeno una lacrima, e pensare che aveva una gran voglia di piangere.
Sebbene non si fossero scambiata una sola parola, avevano scavato insieme come bestie forsennate, s'erano rannicchiati stretti stretti nelle tenebre violentate di fiamme, tremando, condividendo il fragile calore dei loro corpi terrorizzati… E lei non se n'era neppure accorta, quando il tepore della vita era inarrestabilmente sgorgato fuori di lui in un émpito scarlatto.
Cirocco e Cornamusa erano stati scaraventati al suolo dall'onda d'urto di un'esplosione che non li aveva mancati poi di tanto. Sebbene praticamente illesi, avevano deciso di restarsene giù. A tutto c'è un limite.
Ora Cirocco andava movendosi a grandi passi per il campo di battaglia, zoppicando lievemente. Le orecchie continuavano a fischiarle. Sul lato destro del volto, capelli e sopracciglio apparivano strinati. Un po' di sangue le macchiava la mano destra.
Non trascurò neanche gli angoli più lontani. C'erano numerosi morti e feriti, ma anche gente che si occupava di loro. I sergenti sbraitavano ordini come se fosse in corso nient'altro che una normale esercitazione sul percorso ad ostacoli. L'aria era ovunque satura di polvere. Molte trincee apparivano già profonde due metri e mezzo. Non vide nessuno con le mani in mano. La Quinta Aerobrigata li aveva convinti tutti.
L'ospedale da campo consisteva in un'enorme tenda eretta per quanto possibile lontano dalle trincee. Cirocco era rimasta a lungo incerta sull'opportunità o meno di contrassegnarla con una grande croce bianca. E alla fine aveva deciso per il no. Gea si era attribuita la parte del cattivo. Niente di più facile, quindi, che avesse detto alle sue bombe volanti di andare proprio in cerca di croci bianche.
Entrò nella cabina radio e afferrò il microfono.
— Grancàn, sei sempre lassù?
— Di qui non mi muovo. Capitano, hai visto Robin?
— Non ho informazioni in merito, Grancàn.
— …Capisco. Scusa. Non te l'avrei dovuto chiedere.
Cirocco diede uno sguardo in giro, e constatò che nessuno la stava tenendo d'occhio.
— Conal, appena saprò qualcosa ti avvertirò.
— Grazie. E adesso che si fa?
Ne discussero, usando termini in codice che Gea e le sue truppe, anche se avessero intercettato la comunicazione, non avrebbero compreso.
Nessuno, oltre Conal, conosceva i piani di Cirocco a proposito dell'Aviazione Geana.
— Io credo — disse Conal — che se proprio vuoi farlo, dovresti farlo il più presto possibile.
— Son d'accordo. Dacci tempo… altri due riv per attestarci in trincea meglio che possiamo. Torna coi tuoi a Giapeto, riarmatevi e rifornitevi. Io intanto vedrò di parlarne ai Generali.
Durante quasi tutta la battaglia, Robin se n'era rimasta semisepolta sotto il cadavere di un titanide.
Aveva scavato una buca insieme ad altri quattro, poi erano incominciate a venir giù le bombe… e il povero titanide era stramazzato proprio sul bordo della fossa. Il suo corpo era scivolato dentro lentamente, coprendo Robin solo in parte. Probabilmente le aveva salvato la vita. Quando fu tutto finito, e lei poté a fatica trascinarsi fuori, vide la quantità di micidiali schegge che l'enorme carcassa aveva assorbito e fermato. Uno dei suoi compagni di trincea s'era beccato in una gamba un grosso frammento di metallo, ma gli altri erano incolumi.
Riuscì a intercettare Cirocco che si affrettava verso la tenda dei Generali, ed ebbero tempo per un breve abbraccio.
La presenza di Robin e Nova costituiva, in una simile contingenza, una vera stranezza, e Robin ne era acutamente consapevole. Loro due, a differenza di tutti gli altri, non erano armate. Non avevano compiti specifici. Nova non faceva nemmeno più parte del governo cittadino. In una guerra normale, interamente combattuta applicando i princìpi della tattica e della strategia a grandi masse di soldati ed aerei, Robin sarebbe rimasta senza dubbio a casa. Ma la sua presenza qui era necessaria.