Era una delle cose più piacevoli che si potessero fare a Pandemonio.
Chissà se i passeggeri lo sapevano, che all'Universal la linea era interrotta…
A distanza di sicurezza dall'Ingresso Paramount, la banda titanide con trombe e tamburi cessò di sonare, ripose con cura gli strumenti, e diede in un galoppo a spron battuto proseguendo in senso orario.
Sul lato opposto di Pandemonio, la fanfara con gli ottoni fece lo stesso.
Entrambe le manovre furono naturalmente osservate dagli spalti. Ma i titanidi non mossero neanche un passo in direzione degl'Ingressi, e si mantennero prudentemente distanti dalla muraglia, appena oltre la portata dei cannoni.
Gli ordini erano categorici. Resistere e combattere. Difendere il proprio Ingresso. Pertanto, anche se piccoli drappelli corsero lungo la muraglia tentando inutilmente di tener dietro al tonante branco di quattrozampe, per verificare se i suoi componenti non cercassero per caso di traversare il fossato e portarsi all'attacco fra un Ingresso e l'altro, le due azioni ebbero scarsi effetti sulla difesa dello Studio.
La foresta giungeva relativamente vicina all'Ingresso Fox. Questa era una delle considerazioni che avevano guidato la scelta di Gaby.
L'Ingresso era sorvegliato da Gautama e Siddhartha, probabilmente i due Preti meno abili, dal punto di vista del rendimento militare. E anche ciò aveva avuto la sua importanza. Il fatto poi che il Fox si trovasse a centottanta gradi dall'Universal, e quindi alla massima distanza possibile fra due punti all'interno di Pandemonio… be', qui s'era trattato di un pizzico di fortuna. Un poco pensava proprio di meritarsela. E gliene sarebbe servita ancóra, per chiudere la partita senza perdere nessuno dei suoi amici.
D'altra parte, Gautama disponeva purtroppo di due compagnie di pronto intervento armate di fucili a pietra focaia perfettamente funzionanti, mentre Siddhartha aveva un paio di cannoni.
E Luther doveva percorrere un lungo tragitto, per giungere al Fox.
Già da tempo Gaby era all'opera sulla mente in sfacelo di Luther, usando come fondamento l'insoddisfazione che in essa covava. Non c'era modo d'intaccare la sua incrollabile fedeltà a Gea, ma quel minimo di risentimento che aveva sviluppato nei confronti della dea bastava a renderlo meno guardingo del solito. Gaby era quindi riuscita ad allontanarlo dalla sua postazione all'Ingresso Goldwin sussurrandogli due paroline all'orecchio, e adesso Luther era in viaggio. Senza contare che a Gaby rimaneva ancora qualche carta, da giocare.
Luther era un punto debole. Gaby rabbrividiva al pensiero di dover fare così tanto affidamento su di lui. Ma dentro le mura di Pandemonio non poteva direttamente agire di persona. Far addormentare il personale di Tara era più o meno il massimo cui poteva spingersi.
Anche Gene rappresentava un punto debole. Ma che poteva farci? Doveva avere pure lui il suo ruolo da interpretare, in un certo senso se l'era guadagnato… e poi nessun altro poteva fare quel che avrebbe dovuto fare Gene.
Quando i quattro titanidi e i tre umani fecero la loro comparsa, la trovarono ad attenderli sul limitare della foresta. Li accolse salutandoli ciascuno per nome. Notò, sul volto di Robin, i chiari segni di un'emozione violenta, e avrebbe desiderato poter dedicare qualche minuto a parlare con la piccola strega, nei cui confronti nutriva un tenero affetto. Ma il tempo stringeva, e c'era ancora tanto da fare.
Impartì dunque, senza indugio, le opportune istruzioni. Verificò che non avessero dimenticato le armi.
Adesso toccava a loro.
Conal sedeva a cavalcioni di Rocky e guardava il piccolo pennacchio di vapore arrancare attorno al perimetro di Pandemonio. Ignorava di cosa si trattasse. Gaby gli aveva solo detto che, allorquando quel vapore avesse raggiunto un certo segno sulla muraglia, si sarebbero dovuti muovere.
Era rimasto sorpreso, nello scoprire che non temeva affatto per la propria vita. In compenso, provava un terrore assoluto al pensiero che Robin potesse morire.
Erano armati, certo. Ciascun titanide disponeva di una lunga spada e di un fucile con diversi caricatori rapidamente sostituibili. Gli umani portavano pistole. Si erano esercitati tanto con i fucili quanto con le pistole, e avevano scoperto che era loro praticamente impossibile, stando in movimento, riuscire a colpire un qualunque bersaglio sia con gli uni che con le altre, persino dalla relativamente stabile base di appoggio di un'ampia schiena titanide. Però risultavano un pochettino più bravi con le armi piccole. Avevano anche delle corte spade, e si auguravano di non doverle mai usare, visto che non si capiva proprio a cosa sarebbero potute servire se chi le impugnava non si fosse trovato appiedato. Ed essere sbalzati giù da un titanide voleva dire, di solito, che il titanide era gravemente ferito.
Lo sbuffo di vapore giunse al segno convenuto. Conal si sentì stringere forte la mano da un'altra mano ghiaccia, quella di Robin. Si sporse a darle un bacio. Ogni parola parve loro superflua.
I titanidi mossero in campo aperto e si gettarono all'attacco.
Il fuoco andava ormai quasi estinguendosi dagli sterminati resti fumanti del corpo di Finefischio, allorché, frammezzo alle misere spoglie, cominciò ad agitarsi qualcosa.
Sullo sfondo, le fiamme imperversavano ancora con violenza a divorare le facili esche del territorio Universal. L'acqua del fossato era satura di rottami galleggianti. I cadaveri sobbolliti di molti splendidi esemplari da otto metri di Grande Squalo Bianco galleggiavano a panciainsù frammischiati alle macerie raggrinzite dell'aerostato.
Così come durante la strenua lotta con Nasu, toccò a una mano fare per prima la sua comparsa. Poi, lentamente, faticosamente, Gea si trascinò fuori dal caotico ammasso di relitti carbonizzati, e si eresse, con aria stordita, sulla sponda esterna del fossato.
Cirocco raffrenò risolutamente l'insorgere d'una risata. Sentiva che, se non l'avesse soffocata sul nascere, poi non le sarebbe più riuscito di smettere, e quella avrebbe fatto assai presto a mutarsi in un incontrollabile riso isterico. Certo che Gea…
Pareva proprio un personaggio dei cartoni animati alle prese con una delle scenette più classiche: l'antropomorfa bestiola di turno che si ritrova per sua malasorte con in mano una bomba nera, rotonda, cui è attaccata una breve miccia sfrigolante. Il personaggio guarda la bomba, poi dà una seconda occhiata, gli scappan gl'occhi dalle orbite e… BUMMM! Il fumo si dissipa, e ritroviamo il disgraziato immobile nell'identica posizione di prima, con niente in mano ma completamente annerito, i capelli tutti ritti, fili di fumo che gli si arricciolano fuori dalle orecchie… Il personaggio ammicca due volte — in quel nero mascherone non gli si distingue altro che il bianco degli occhi — e stramazza.
Completamente nera a parte gli occhi. Così era ridotta Gea. Ma lei non cadde.
Prese a contorcersi. Era uno spettacolo spaventoso. Stirò il corpo e le membra in tutte le direzioni, e la sua pelle carbonizzata incominciò a spaccarsi. Tese le mani e si chinò a sfregarsi vigorosamente l'addome, le gambe, i piedi. L'epidermide morta attaccò a scrostarsi.
Poi venne via in un sol tòcco gigantesco, come uno di quei pigiamini conigliettiformi che piaccion tanto ai marmocchi. E sotto, tutto uno splendore di candida pelle immacolata, un brilluccichìo di chiome biondomiele… una nuova Gea, intatta. Ristette un istante, più bassa forse di una cinquantina di centimetri, quindi s'incamminò verso Cirocco.
VENTIDUE
— È l'ora, Gene.
— Lo so ch'è l'ora — rispose. — Porcavacca, ma non m'avevi detto…
Smise di trafficare e diede un'occhiata attorno. Gaby non c'era mica. Gli pareva d'averla sentita, ma proprio sicuro non era. Una spallucciata, e si ridedicò al congegno che teneva sulle ginocchia.