Diede un'occhiata al bimbo per sincerarsi che stesse bene, poi si accovacciò accanto al rapitore.
Un uomo? D'accordo, lì a Bellinzona bastavano tredici o quattordici anni per fare un uomo, ma Conal si sentì ugualmente a disagio. Quello aveva ancora l'aspetto di un ragazzo. Giapponese, pensò Conal. Cosa non infrequente, d'altronde. La popolazione umana di Gea stava all'incirca in proporzione con quella terrestre, il che significava che c'erano in giro parecchie più pelli marroni, nere e gialle di quante non fossero le pelli bianche.
Il ragazzo soffriva molto, balbettava qualcosa nella sua lingua natìa, e dava l'idea che gli ci sarebbe voluto un po' a morire. Conal gli mostrò il pugnale, sollevando le sopracciglia in quello che sperava costituisse un universale cenno interrogativo. Il ragazzo annuì con decisione. Conal gl'infilò il pugnale fra le costole, dritto in mezzo al cuore, e il ragazzo morì all'istante.
Nettò l'arma e la ripose.
— Il grande eroe — borbottò. Che mondo di merda, se non potevi eliminare uno schifoso parassita uccisore di bambini e provarne almeno un poco di soddisfazione. Come al solito. Cirocco s'era già recisamente pronunziata in merito. Mica poi ne trovavi così tante di cose da fare, in questa vita, che in un modo o nell'altro non ti lasciassero l'amaro in bocca.
Ora sorgeva il problema di cosa fare del bambino. Gli venivano in mente parecchie soluzioni. Esistevano ordini religiosi e certe altre organizzazioni che accoglievano gli orfani. Tra queste, la più potente era la comunità delle Libere Femmine… che secondo lui erano anche le più adatte a prendersi cura di un neonato nel modo giusto.
Il bimbo risultava infagottato in una specie di custodia da viaggio in versione spaziale, e non appariva subito evidente come disfare la confezione. Finalmente ci riuscì. Sbirciato che ebbe nel punto giusto, scosse la testa. Come non detto: le Libere Femmine non l'avrebbero voluto di certo, quel signorino. Poi chi veniva in graduatoria?
Gli balenò un'idea curiosa. Era impossibile, ovviamente, ma se tante volte…?
Fu così che riprese la via per il Portale.
C'erano ancora, ed erano ancora vive. A meno di qualche fatto nuovo, comunque, non lo sarebbero rimaste per molto.
Una masnada d'un centinaio tra i più feroci e abietti individui che Bellinzona potesse offrire s'era attestata in semicerchio a cinquanta metri dalla parete rocciosa contro cui erano intrappolate le due donne. La zona in mezzo appariva disseminata di cadaveri. Conal smise di contare arrivato a venticinque, ma ce n'erano molti di più. Si fermò alle spalle dell'assembramento, cercando di ricostruire l'accaduto. La soluzione stava nei corpi distesi a terra. La maggior parte di quelli vicini alle due donne presentavano mortali ferite da coltello. Ma i più distanti avevano ferite che s'erano viste assai di rado, su Gea: fori rotondi, della grandezza più o meno d'un decino. La sua congettura trovò conferma allorché uno degli assedianti scagliò una lancia, e una delle donne replicò sparandogli nello stomaco. Conal si buttò a terra. La moltitudine arretrò un poco, ma poi riprese inesorabilmente ad avvicinarsi. Troppo forte era la tentazione.
Situazione di stallo. Nessuno fra gli attaccanti sapeva quante munizioni rimanessero alle due donne. Se avessero attaccato in massa, l'urto di quella folla tumultuosa avrebbe potuto sopraffarle, ma gli sciacalli non erano capaci di organizzarsi.
Riflettendo, colse l'ironia della circostanza. Era chiaro che quelle due disponevano di un numero limitato di proiettili, altrimenti avrebbero semplicemente sparato a chiunque gli capitava a tiro. D'altra parte nessuno, in quella marmaglia, voleva buscarsi una pallottola solo per consentire a qualcun altro di mettere le mani sull'agognata preda. Alla fine, questione di minuti o di ore, le donne sarebbero rimaste a corto di munizioni ridivenendo vulnerabili, ma a quel punto non sarebbe più valsa la pena di aggredirle.
Conal diede un'altra occhiata a quella alta. Diciassett'anni, pensò. Forse diciotto. Lunghi capelli biondi, selvaggi occhi azzurri. Era molto bella, come aveva già notato. Ma c'era qualcos'altro, in lei, qualcosa che aveva in comune con la donna più anziana… sua madre? Tutto, nel suo aspetto, diceva che sarebbe morta senza arrendersi, combattendo, e che mai si sarebbe fatta prendere viva. Conal provava rispetto per un simile atteggiamento. Aveva imparato a sue spese cosa significava essere preso vivo, e neppure a lui sarebbe mai più accaduto.
Venne scagliata un'altra lancia, e la ragazza rispose con la sua pistola. Il proiettile traversò il petto di quello che aveva lanciato, andandosi a conficcare nel cuore dell'uomo che gli stava dietro. Bel colpo, pensò Conal.
Si domandò che fine avessero fatto le Libere Femmine, e subito dopo le individuò. Si trovavano anche loro addossate alla parete, ma una era morta, e un'altra gravemente ferita. La terza se ne stava accovacciata accanto alle compagne, freccia incoccata, un'espressione di terrore incisa sul volto. I due gruppi distavano una ventina di metri, e le nuove venute non manifestavano alcuna intenzione di unirsi all'arciere. Ma insomma, chi diavolo erano quelle due? A quanto pareva non si fidavano di nessuno. Non ricordava d'aver più incontrato gente tanto sospettosa dai tempi… be' da quando aveva fatto la conoscenza di Cirocco Jones. Salvarle non sarebbe stato per nulla facile.
Sino a quel momento, a dire il vero, non si era nemmeno reso conto di avere l'intenzione di salvarle. Dedicò qualche minuto al tentativo di convinpersi a non farne nulla. Considerata lucidamente, aveva proprio l'aria d'esser l'azione più sconsiderata in cui si fosse imbarcato dal giorno in cui aveva fatto baldanzosamente ingresso in un bar per andare a raccontare alla più pericolosa donna vivente che aveva intenzione di ammazzarla.
Chinò gli occhi a guardare in faccia il marmocchietto.
— Che diavolo ci troverai tanto da ridere, signorino? — gli chiese Conal. Quindi si volse, tornando di corsa a traversare il ponte.
— Un centinaio, hai detto? — Il titanide chiamato Serpentone sollevò un sopracciglio con aria dubbiosa.
— Accidenti, Serpentone, ma che volevi, che mi mettessi a contarli uno per uno? Ce n'è circa un centinaio, forse centoventi.
— Vuoi descrivermi ancora la più piccola?
— Ha la faccia pitturata. Una maschera davvero spaventosa. Quell'altra…
— Sono tatuaggi — interloquì Serpentone.
— Vuoi dire che non vengono più via? E tu come fai a saperlo?
— Ha un terzo occhio disegnato sulla fronte, vero?
— Be'… già, credo di sì. Con tutto quell'arruffìo di capelli che sì agitavano di qua e di là… Erano occupate, che ti credi, a cercar di guardare in sei direzioni alla volta… Ma a te chi te l'ha detto?
— La conosco.
— Allora vieni?
— Sì, penso proprio che verrò. — Si guardò attorno per il vasto magazzino che serviva ai titanidi come base commerciale, e chiamò con un'occhiata due suoi simili. — Anzi, credo che una troika andrà anche meglio.
Parevano i quattro Cavalieri dell'Apocalisse meno uno, tonanti al galoppo sul ponte di legno. Conal, avvinghiato al dorso di Serpentone, avrebbe voluto avere una tromba. Largo alla cavalleria, arrivano i nostri, perdìo! Quelli che stavano alla retroguardia della teppaglia rimasero un istante a contemplare a bocca aperta quell'apparizione, poi tagliarono frettolosamente la corda come iene in fuga da una carogna, sciamando in ogni possibile direzione. Molti si gettarono nelle acque putride del lago.
In gran numero, però, non ebbero tempo di darsela a gambe. I titanidi, disarmati, si gettarono risolutamente nella mischia, dandosi senza tanti complimenti a spaccar teste.