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Conal aveva temuto che le donne potessero accogliere quell'intervento a pistolettate, ma evidentemente la loro indole sospettosa teneva i titanidi fuori del mucchio. Rimasero a osservare la scena, pronte a cogliere l'occasione di aprirsi un varco sottraendosi al vicolo cieco della parete rocciosa. Poi Serpentone con una sgroppata sollevò Conal, sbalzandolo oltre la barriera di gente ancora assiepata.

Conal atterrò in piedi e fece di tutto per rimanerci, incespicando precipitosamente, ostentando il bambino a braccia tese perché a quelle non venisse la tentazione di sparargli. Era stato via per quasi un riv, e nel frattempo le donne avevano dovuto subire dalla marmaglia anche una sassaiola. Intoppò dunque su un grosso pezzo di roccia vagabonda, cadde, e arrancò carponi oltre la barricata di fortuna che quelle avevano eretto coi loro bagagli per rannicchiarvisi dietro.

Guardando in su si trovò faccia a faccia con l'amazzone bionda. Diciannove anni, concluse. Una traccia di sangue essiccato le rigava il volto in basso a sinistra. Provò un impeto di collera, e il desiderio repentino di uccidere il bastardo che aveva osato. Urgevano questioni più impellenti, tuttavia, come ad esempio la pistola che lei gli puntava alla tempia. Le porse quindi il bimbo, sfoderando nel contempo il suo sorriso più accattivante.

— Ciao. Io sono Conal, e credo che questo ti appartenga.

Altro aforisma tra i prediletti di Cirocco: Mai Aspettarsi Gratitudine. Il di lei labbro superiore s'incurvò sdegnosamente, mentr'ella con uno scatto della testa accennava alla compagna più anziana.

— Non a me. È il suo.

DOCUMENTARIO

Più o meno nel momento in cui, a Bellinzona, Conal il salvatore guidava alla carica la sua cavalleria, in Febe un angelo faceva visita a Cirocco Jones.

Lei attendeva sul ciglio della rupe alta tre chilometri che delimitava gli altipiani settentrionali, osservando l'angelo avvicinarsi da sud. Alle spalle dell'essere alato si ergeva una scura montagna. Possedeva quattro distinte vette, ciascuna di altezza diversa. A Cirocco dava l'idea di una bottiglia rotta piantata in terra a collo in giù e attorniata da mucchietti di fango. Altri ci avevano visto un campanile diroccato, e Cirocco ammetteva trattarsi di una similitudine appropriata: c'erano persino i pipistrelli roteanti attorno. O per lo meno sembravano pipistrelli. La montagna distava venti chilometri. Per risultare visibili così da lungi, quei pipistrelli dovevano aver la stazza di aviogetti.

Quel posto Cirocco lo conosceva bene. Vi aveva trascorso un po' di tempo, molti anni prima. E non era qualcosa che amasse ricordare.

L'angelo le sfrecciò sopra, compì qualche evoluzione in cerchio perdendo quota, poi si librò sull'ondeggiare maestoso delle sue ali rifulgenti, evidentemente riluttante a posarsi su Febe. Cirocco sapeva bene quanto gravoso fosse per un angelo il volo statico, e non si perse in frasi inutili.

— Kong? — gridò.

— Morto. Due, trecento riv.

— Gea?

— Andata.

Ci pensò un istante, quindi ringraziò agitando la mano.

Lo guardò svanire in lontananza, poi sedette sull'orlo del precipizio. Si tolse gli stivali alti al ginocchio, leggiadri oggetti marroni di artigianato titanide, morbidi e impermeabili, li ripiegò in un compatto fagottino, li ripose nello zaino. Poi sistemò lo zaino in spalla, ne controllò le cinghie, diede un'occhiata ai pochi attrezzi che portava fissati alla cintura. Infine si volse, e incominciò a calarsi lungo la parete a picco del dirupo.

Nessun essere umano, tranne un tuffatore delle scogliere di Acapulco, sarebbe stato in grado di precederla nel percorrere il fianco di quel precipizio. A piedi nudi e mani libere, ignorando la fune avvolta all'interno dello zaino, ella si muoveva giù per l'impervio versante semiverticale più rapidamente di quanto molti avrebbero potuto scendere una scala. E ci riusciva senza neppure dedicarvi molta attenzione. I suoi piedi e le sue mani sapevano già da sé che cosa fare.

Ci aveva riflettuto, di tanto in tanto, allorché qualcuno le aveva fatto notare l'eccezionaiità di certe sue azioni. Si rendeva conto di non essere più del tutto umana. E sapeva anche d'essere ben lungi dal potersi definire sovrumana. Si trattava, essenzialmente, di veder le cose nella giusta prospettiva. Una parte del sistema consisteva nell'imparare da ogni avvenimento della propria esistenza, e in questo Cirocco era assai abile. La maggior parte dei suoi errori se li era lasciati alle spalle ormai da decine d'anni. Un'altra parte consisteva nel riconoscere i propri limiti, non importa quanto elevati. Un osservatore che avesse seguito la sua discesa lungo il dirupo, avrebbe pensato che quella donna aveva una fretta tremenda e stava correndo dei rischi pazzeschi.

Ma, in realtà, lei sarebbe stata in grado di procedere molto più rapidamente.

Cirocco dimostrava un'età compresa fra i trentacinque e i quarant'anni, ma dipendeva da che cosa si guardava. La pelle delle mani, del collo e del viso faceva propendere verso i trenta; le braccia robuste e le gambe da maratoneta parevano meno giovani, mentre i suoi occhi la dicevano ancora più anziana. Una donna difficile da giudicare, Cirocco Jones. Dava l'idea di essere molto forte, ma l'apparenza inganna. In effetti era molto più forte di quanto sembrava.

Quando raggiunse i leggeri declivi alla base dell'altopiano roccioso si rimise gli stivali e incominciò a correre, non perché vi fosse particolare urgenza, ma solo perché non aveva alcun motivo d'indugiare e quella era la sua normale andatura.

Percorse i venti chilometri in poco più di un riv. Avrebbe anche potuto impiegarci meno, ma aveva dovuto traversare tre fiumi a nuoto. Non le occorse molto per scalare la montagna di Kong. Si trattava solo di percorrere un pendio in costante ascesa sino a raggiungere la base delle multiple vette frastagliate, che non c'era poi bisogno di scalare. Un'ampia strada conduceva agevolmente alla tana di Kong.

L'ultimo tratto lo affrontò lentamente. Non che non avesse fiducia nell'angelo. Se aveva detto che Kong era morto, così doveva essere. Ma l'odore di quel luogo le riportava sgradevoli ricordi.

La roccia s'inarcò su di lei, e poco dopo l'oscurità avvolse il suo cammino. Due volte dovette aggirare sagome romboidali lunghe venti metri che giacevano nel mezzo del sentiero. Erano i "pipistrelli" che aveva visto in lontananza. Si trattava in realtà di una specie d'incrocio fra un rettile e un lumacone, creature pesanti dieci, dodici tonnellate. Con quelle loro ali da pterodattili conserte lungo il corpo, avrebbero potuto essere scambiati per tendoni da circo rovinati al suolo. A dire il vero non sembravano affatto vivi, eppure lo erano. Talvolta rimanevano in letargo per un intero miriariv. Onde spiccare il volo, strisciavano sul loro ventre di lumaca sino in cima a una delle guglie di Kong e di lassù si gettavano nel vuoto, continuando poi a librarsi per giorni interi. A quanto ne sapeva Cirocco, erano innocui. Non aveva mai capito di che cosa si nutrissero, e perché volassero. Sospettava però che fossero stati messi lì al solo scopo di contribuire a creare in quel luogo l'atmosfera adatta. Su Gea, un'ipotesi come quella risultava niente affatto irragionevole.

Giunta alla fine della galleria, si sporse cautamente a guardare oltre l'orlo.

Il pavimento della caverna si stendeva un centinaio di metri più in basso. Era una discreta ricostruzione della sala attraverso la quale un modellino in gomma di gorilla alto trenta centimetri si era mosso per fare il suo poderoso ingresso in un film degli anni Trenta. C'erano un lago poco profondo e diverse formazioni rocciose simili a stalattiti e stalagmiti… tutte quante molto più grandi di quel che le avrebbero potute fare i normali processi geologici durante i tre milioni d'anni dell'esistenza di Gea. Al pari di numerosi altri luoghi esistenti su Gea, si trattava di una messinscena realizzata nei minimi particolari.