E ormai in rovina. Molte strutture rocciose giacevano divelte. Il lago era ridotto a una distesa di melma, le sue rive limacciose apparivano butterate d'impronte profonde tre metri. La poca acqua rimasta era una broda rossiccia. E immerso nei deboli, obliqui raggi di luce che filtravano dal soffitto a volta, ecco il divo dello spettacolo, il possente Kong, ottava meraviglia del mondo.
Cirocco se lo ricordava in forma migliore.
Adesso era disteso supino, attorniato da lillipuziani sciami di Fabbri Ferrai tutti affaccendati a smantellarlo.
Affrontavano il compito con l'abituale precisione, rapidità ed efficienza. Attraverso il varco meridionale della montagna erano stati introdotti due binari. Cirocco sapeva che andavano a confluire in una funicolare stesa giù per il pendio, probabilmente innestata a un nuovo raccordo della ferrovia che traversava la Foresta Nera, collegata a sua volta con la linea principale Febe-Arge. Alla stazione di testa attendeva il convoglio, una supercromata vaporiera trainante venti carri-tramoggia normalmente usati per il trasporto dei minerali ferrosi estratti dalla Foresta Nera, e ora colmi di pezzi di Kong. I Fabbri Ferrai ci sapevano fare, con le ferrovie.
Con un sacco di cose ci sapevano fare. Avevano già ridotto Kong a una testa, un torso, e parte di un braccio. Ossa gigantesche venivano affettate con strepitanti seghe a vapore.
Raccapricciante, ma irresistibilmente affascinante. Cirocco aveva immaginato che dopo trecento riv, quasi due settimane, Kong dovesse appestare anche i cieli, col suo fetore. Non che in quel luogo non ci fosse cattivo odore: puzzava già gagliardamente ai vecchi tempi, rammentò, perché Kong non s'era mai neppure sognato di spalar fuori le tonnellate di letame che produceva ogni chiloriv. o anche solo di uscire a far due passi per liberarsi l'intestino all'aperto. Però non sembrava che il cadavere fosse in putrefazione.
Il fatto la irritò. D'accordo, da nessuna parte stava scritto che dovesse decomporsi, ma quel bastardo avrebbe dovuto marcire.
Eppure eccolo là, fatto ormai a pezzi fino all'altezza della sorprendentemente complessa cassa toracica, con un aspetto fresco e incorrotto come il giorno che l'avevano scannato. Le squadre di Fabbri Ferrai ne smembravano il corpo per mezzo di grandi coltelli affilatissimi fissati all'estremità di lunghe aste, staccandone tocchi di carne rosea che sollevavano quindi tramite ganci mossi da un motore ausiliario e un'alta gru a traliccio, simile a quelle che i boscaioli innalzano nel cuore delle foreste per movimentare i tronchi abbattuti.
Tempo un ettoriv, non ne sarebbe rimasto nulla.
Cirocco non avrebbe sentito la sua mancanza. Dubitava che qualcosa potesse mai indurla a rammaricarsi per la fine della grande, stupida bestia. Se qualcuno avesse pianto per lui, avrebbe augurato a quell'anima pietosa di poter trascorrere un anno di prigionia nella tana di Kong, a guardare il padrone di casa divorare vivi i titanidi. L'immensa testa giaceva rivolta verso Cirocco. Buffo davvero: Kong non aveva l'aspetto di un gorilla. La sua era una testa da scimpanzé, con tanto di labbroni ebeti e orecchie a sventola. Il raso pelame d'un marrone orangutan appariva incrostato di sudiciume.
In cotale situazione, a parte la buona nuova del decesso, solo due cose le interessavano davvero. Chi l'aveva ucciso? E perché i Fabbri Ferrai avevano assicurato con spessi canapi l'unico braccio superstite?
Quii, quii, quii, quiiiiii!
Udendo quel suono, Cirocco si volse lentamente, e scorse il piccolo bolex appollaiato, dieci metri più su, in una nicchia della roccia. L'aggeggio, ora cheto, occhieggiava in basso verso di lei.
Ah ah!, pensò.
— Vieqquì, ciccì — cantilenò, e prese ad arrampicarglisi incontro. — Ovvia, bibi, vieni, che 'n ti faccio nulla… — Si esibì nell'intero repertorio di schiocchi e zufolìi che s'usano in genere per chiamare un cucciolo, ma il bolex indietreggiò squittendo addentro alla sua nicchia, la quale era più profonda di quanto Cirocco avesse creduto. Cercò di acchiapparlo sdilungando un braccio, ma l'altro si limitò a ritrarsi ancora. Preso atto dell'imprevista difficoltà, Cirocco tirò fuori il braccio e sostò un attimo a riflettere.
Pensò di chiedere aiuto ai Fabbri Ferrai. Loro non ci avrebbero messo nulla a stanare quel bricconcello. Poi le venne un'idea migliore. Ricalò sulla cornice di roccia da cui s'era mossa e incominciò a danzare e cantare.
Come cantante se la cavava in modo egregio, ma d'altra parte non avrebbe mai potuto impensierire Isadora Duncan. Però ci si mise d'impegno, facendo tanto di quel baccano che alcuni Fabbri Ferrai si distolsero un attimo dal lavoro… per subito rimettersi all'opera, limitandosi senza dubbio ad archiviare nelle loro fredde menti di latta quell'ulteriore manifestazione dell'indecifrabile comportamento umano.
Dopo un poco ecco il bolex fare capolino. Cirocco danzò più veloce ancora. Scintillìo d'occhio vitreo di lassù. Lei si accorse che il bolex spasimava per un primo piano, e infatti non passò un minuto che lo vide venir giù ratto ratto con l'occhiobiettivo irremovibilmente puntato. Nessun bolex era mai stato capace di rinunziare a una scena d'azione.
Quando fu giunto a portata di mano lo acchiappò. Il bolex, inerme com'era, dovette limitarsi a squittire la sua protesta. Ma continuò a riprendere. Cirocco sapeva che se il bolex era arrivato lì al seguito del Festival Pandemonio, doveva essere rimasto da un bel pezzo a corto di pellicola. E l'aiutoregista che portava sul dorso era senza dubbio morto. Lo tirò via (si attaccavano come sanguisughe, e da parecchio tempo erano divenuti nient'altro che contenitori di pellicola) e lasciò libero il bolex. Quello continuò a filmare indietreggiando, indietreggiando, evidentemente estasiato per la scena che stava riprendendo, finché non precipitò oltre il ciglio e andò a fracassarsi sulle rocce sottostanti.
Cirocco estrasse un coltello e tagliò l'aiuto a metà. Dentro era assolutamente asciutto, e cinquecento metri di pellicola superotto se ne stavano avvolti attorno a una bobina fragile come una conchiglia.
Ne svolse qualche metro tenendola controluce, e la osservò socchiudendo gli occhi. Naturalmente riusciva a cogliere pochi particolari, ma non ebbe alcuna difficoltà a individuare due figure in lotta. Una marrone e una bianca. Quella bianca era nuda, e femmina. Potevano sussistere pochi dubbi sulla sua identità.
Doveva essere stato uno spettacolo grandioso, circostanza questa niente affatto sorprendente. Gea non era soggetta a molte limitazioni di bilancio. Cirocco riusciva a immaginare la scena: Kong, incontrastato sovrano di tutto quanto gli stava attorno, immobile in torpida perplessità mentre l'oscena compagnia si accampava, con forse appena un'occhiata guardinga a quella donna alta quindici metri. Kong era programmato per uccidere titanidi e maschi umani, e per catturare femmine umane. Ma Gea non aveva l'odore giusto. E nessuna delle stravaganti creature che facevano parte di Pandemonio aveva l'aspetto di cibo o di donzelle aspiranti prigioniere. Al di fuori delle sue indotte propensioni, Kong risultava fondamentalmente innocuo come un gattino. Egli era un gigante sciocco e infingardo. La maggiore difficoltà incontrata da Gea doveva essere probabilmente consistita nell'indurlo a battersi.
Cirocco provò quasi un moto di solidarietà, nei confronti di Kong.
— Gea ha ceduto a noi la carcassa.
Si volse a fronteggiare il Fabbro Ferraio che era salito a raggiungerla sullo sperone di roccia.
— Ottimo — commentò. — Allora è vostro.
— Gea ha detto che potevi disporre di una percentuale, se capitavi da queste parti.
Osservò il Fabbro attentamente. Dalla quantità di scintillanti rifiniture in metallo polito che ne variegavano il corpo, lo riconobbe per un pezzo grosso, piuttosto in alto nella gerarchia dell'alveare. Poteva vedere la propria immagine riflessa nel carapace placcato in cromo. Si trattava di un metallo raro, su Gea. I Fabbri Ferrai lavoravano ininterottamente ad asportare tutto quello che potevano estrarre da profondi pozzi scavati nella Foresta Nera di Febe. Per qualche tempo avevano intrattenuto un fiorente commercio in paraurti di auto d'epoca, interrotto poi dallo scoppio della guerra.