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Dopo un solo minuto d'induzione autoipnotica, dormiva profondamente.

Tre ore di sonno le erano più che sufficienti. Aprì gli occhi nella fredda oscurità.

Qualcosa le scivolò accanto; l'afferrò e la tenne stretta, poi si spinse verso la superficie. Interruppe la risalita appena prima di riemergere, scrutando in cerca d'eventuali pericoli all'esterno dell'acqua. Niente. Soddisfatta, si arrampicò fuori e guardò la sua preda. Un'anguilla degli altipiani, molto a sud rispetto al suo habitat normale. Pensò di accendere un fuoco, poi scartò l'idea, e ributtò l'animale nel laghetto. Una volta cotte, le anguille degli altipiani divenivano un ottimo cibo, ma a mangiarle crude risultavano amare e stoppacciose.

Il fango azzurro venne via come una buccia gommosa. Era un coibente eccezionale.

Nel corso della sua lunga esistenza, Cirocco aveva imparato molte cose. Una di esse consisteva nel rimanere a proprio agio il più possibile in ogni circostanza. E ciò voleva dire poter disporre di stivali asciutti anche se c'era da dormire sott'acqua. Aprì compiaciuta lo zaino e li tirò fuori. Era uno zaino straordinario, e quelli erano stivali altrettanto straordinari.

Nella sua graduatoria delle cose essenziali, gli stivali asciutti precedevano di gran lunga il cibo, e venivano appena dopo l'acqua.

Si rivestì, calzò gli stivali, e riprese la sua corsa.

Nei limiti del possibile, Cirocco si teneva accuratamente lontana da Teti. Questa volta avrebbe dovuto attraversarne l'intero territorio. Si acquattò nell'estrema macchia di stentata boscaglia, impugnò il suo minuscolo binocolo e scrutò con attenzione il territorio antistante cercandovi tracce di fantasmi della sabbia. Non si aspettava di trovarli tanto a nord; l'umidità di condensazione proveniente dal fronte settentrionale, sebbene difficile da rilevare, ricopriva nondimeno il suolo, mortale per quegli esseri dal metabolismo siliceo. Ma Cirocco non era sopravvissuta sino allora solo facendo affidamento sulle proprie congetture.

L'abitudine di viaggiare con ridottissimo bagaglio era ormai radicata in lei da una ventina d'anni. Almeno per altrettanto tempo aveva studiato l'arte di mimetizzarsi. Quando Dio guarda davvero dall'alto dei cieli, e cerca proprio te, pronto a uccidere, è fondamentale esser veloce sulle gambe e difficile da individuare. Il suo zaino conteneva dieci chili del minimo essenziale. Grazie agli oggetti in esso racchiusi, e alle conoscenze accumulate nel proprio cervello, lei poteva amalgamarsi con qualunque ambiente.

Cirocco valutò che sulle sabbie avrebbe incontrato una temperatura di trentanove gradi.

Nessun problema. Sapeva cosa fare.

Si spogliò di nuovo, ripose gli abiti nello zaino, e incominciò a scavare alla base di uno di quei cespugli all'apparenza secchi. I rami inariditi costituivano la parte esterna e meno interessante della pianta. Servivano solo a disperdere nell'aria l'umidità superflua.

Quando raggiunse le turgide radici, uno zampillo d'acqua scaturì a bagnarle i piedi nudi. S'inginocchiò, raccolse le mani a coppa, e bevve. Alcalina, ma corroborante.

Da una delle radici recise con il coltello un'escrescenza, e la tagliò in due. Ne stillò una viscida linfa gialla, che Cirocco si strizzò fra le mani e prese poi a strofinarsi sul corpo. La sua pelle aveva quel colore che gli opuscoli turistici definiscono "bronzeo". Un bel colore davvero, ma di parecchie gradazioni troppo scuro per le sabbie di Teti. Continuò a strofinarsi finché non ebbe assunto l'adatta tinta giallobruna. La linfa odorava di ginepro. Era anche un buon medicamento per l'acne, virtù che su Cirocco risultava sprecata.

Nello zaino c'erano fra l'altro una dozzina di fazzoletti multicolori. Ne scelse un paio provvisti dell'adeguata sfumatura, richiuse lo zaino, e se ne avvolse uno attorno alla sua nera chioma, mentre con l'altro coprì lo stesso zaino. Ciò fatto, era divenuta pressoché invisibile.

Discese a piedi nudi giù per l'ultimo affioramento roccioso di Febe, immergendosi fra le dune ondulate. E poi di corsa.

Duecento chilometri dopo, già oltre la metà di Teti, vide qualcuno.

Agì come prudenza consigliava: scavò nella sabbia affondandovi sino a ricoprirsene quasi totalmente, simile a una pastinaca rimpiattata sul fondo oceanico, e attese.

Era abbastanza certa di chi doveva trattarsi. Si sentì come al solito venire la pelle d'oca, poi la sensazione scomparve. Pensò che forse stava impazzendo. Gaby era morta un centinaio di chilometri a sud di quella zona, vent'anni prima.

Decise di reagire, e si rialzò. Un manto di sabbia l'avvolgeva. Il sudore che tanto efficacemente l'aveva raffreddata durante la corsa, e che adesso l'inzuppava, prese a ruscellarle indosso, tracciandole lungo il corpo lucide striature.

Gaby scintillava frammezzo al caliginoso alone che la vampa spietata le suscitava attorno, scendendo lungo il fianco anteriore di una duna distante quattrocento metri. Era nuda, come sempre quando appariva a Cirocco. E perché no? Per quale motivo uno spettro dovrebbe entrare vestito nel mondo degli spiriti? Si presentava di color bianco latte. Ciò aveva inizialmente turbato Cirocco, perché le dava l'impressione che l'amica fosse rimasta dissanguata. Poi le era tornato in mente che Gaby aveva sempre avuto un incarnato pallido, prima dell'arrivo su Gea. Lei e Cirocco erano state le uniche persone abbronzate, in quel mondo di fievole luce solare. Poi Gaby era morta. E, al momento del trapasso, la pelle del suo povero corpo ustionato doveva essere apparsa quasi nera, sebbene Cirocco non l'avesse veduta e sempre si fosse ben guardata dal chiedere a chi le era stato accanto.

— Sei al sicuro! — gridò Gaby continuando ad avvicinarsi.

— Grazie! Fin quando?

— Per tutto Teti.

Cirocco attese mentre Gaby scompariva dietro l'ultima duna, risalendone quindi il fianco posteriore. La vide sostare un momento sulla cima, poi discendere. I suoi piedi imprimevano nella sabbia tracce profonde. Era tremendamente bella. Cirocco si udì singhiozzare. Cadde in ginocchio, poi a sedere sulle caviglie. Curvò le spalle stancamente.

Giunta a cinquanta metri, Gaby si fermò. Cirocco non poteva parlare; aveva la gola chiusa, e un respiro pesante le opprimeva il petto.

— Stanno tutti bene? — riuscì finalmente a dire.

— Sì — rispose Gaby. — Conal li ha trovati. Gli ha salvato la vita.

— Lo sapevo che quel ragazzo si sarebbe reso utile. Dove li sta portando?

— Dove vai anche tu. Ci arriverai prima di loro.

— Bene. — Rovistò fra i suoi pensieri, incontrando argomenti proibiti. — Ma… c'è… sono…

— Sì, entrano ancora nel piano. In parte.

— Il piano per cosa?

— Ora non posso dirtelo. Hai ancora fiducia in me?

— Sì. — Senza esitazioni. C'erano stati momenti difficili, ma…

— Sì, ho fiducia.

— Bene. Volevo…

— Gaby, ti amo.

L'immagine cominciò a vacillare. Cirocco proruppe in un alto lamento, subito soffocato mordendosi le dita. Attraverso il corpo di Gaby, vedeva la duna.

— Anch'io ti amo, Rocky. O adesso devo chiamarti Capitano?

— Chiamami come preferisci.

— Non posso trattenermi. Gea è in Iperione. Si sposta a occidente.

— Ma non andrà in Oceano.

— No.

…Ma poi chissà dov'era, chissà se c'era Gaby, quella piccola donna fatta di nulla… null'altro che una sagoma impalpabile, un desiderio, un'allucinazione… un'assenza.

Cirocco se ne rimase lì seduta per quasi un riv a raccattare i frammenti del suo cuore, e a fissare le impronte lasciate da Gaby sulla duna. Alla fine, come già in passato, non osò avvicinarsi a toccarle. La terrorizzava il pensiero di poter scoprire che esse non esistevano affatto.