Lo strato di ghiaccio esteso sulla parte settentrionale di Tea iniziava nella zona crepuscolare e s'incurvava verso sud e verso est. Cirocco lo costeggiò in corsa, godendosi l'alito freddo che ne emanava.
Attraversare Tea a nord era fuori discussione. Non che le montagne fossero invalicabili — a esperienza di Cirocco, nulla esisteva d'invalicabile; e quelle montagne le aveva già varcate una volta impiegandoci due chiloriv — ma le mancava il tempo. La via più rapida per superare Tea passava sulle acque ghiacciate dell'Ofione, che dirigeva il suo corso in mezzo alla regione dell'eterna notte.
Quando fece sosta, affondava già nella neve sino al ginocchio, ed era ancora nuda. Fu per lei questione di pochi attimi aprire lo zaino, rovesciare abiti e stivali in modo che mostrassero il lato bianco, e mimetizzare zaino e capelli con due fazzoletti bianchi.
Riprese a correre, ma a un certo punto si sentì di nuovo stanca. Avere così presto necessità di dormire era chiaro sintomo che stava abusando delle proprie forze. Ne prese mentalmente nota, poi si cercò un rifugio sicuro.
Aveva esigenze spartane. Scavò una buca in un cumulo di neve, ci strisciò dentro e riabbarcò la neve dietro di sé. Mentre si addormentava, le venne in mente che circa cinquanta chilometri più innanzi c'èra il luogo dove una certa Robin della Congrega, esausta, spaventata e inconsapevole del pericolo, si era abbandonata sulla bianca coltre, risvegliandosi con in corpo una brutta polmonite. Robin era quasi morta, in Tea.
Cirocco si limitò a dormire tranquillamente. Tre ore dopo si svegliò, si scrollò la neve di dosso, e riprese a correre.
Percorse seicento chilometri e giunse quasi a traversare Meti, prima di avvertire il bisogno di dormire.
C'era su Gea chi non l'avrebbe creduto, ma Cirocco Jones — della quale si diceva che fosse capace di farsi ricrescere una gamba amputata, di trasformarsi in serpente, avvoltoio, ghepardo e squalo, di lottare con una dozzina di titanidi alla volta, nonché di attraversare inosservata una stanza vivamente illuminata — aveva anche lei le sue limitazioni. Erano storie piene di esagerazioni. Certo, possedeva sul serio alcuni poteri sovrumani, poteva davvero ammaliare la gente al punto da far passare inavvertita la propria presenza, e quando settant'anni prima aveva perduto il piede sinistro, era davvero riuscita a farselo ricrescere… ma dubitava di poter fare altrettanto con un'intera gamba. E poi non era in grado di rimanere sempre sveglia come i titanidi.
A pensarci bene, il sonno rappresentava proprio un'orribile necessità. Rimanere inermi, starsene a giacere come se niente fosse mentre un essere assetato di sangue ti si avvicinava furtivamente…
Si trovava nella parte meridionale di Meti, la regione a valle del gran mare di Poseidone, oltre la palude chiamata Sterope che di Meti costituiva la principale caratteristica. Là il terreno ospitava una savana: pianeggiante, ricco d'erba, costellato d'alberi strapazzati dal vento. In Africa, grandi gatti se ne sarebbero stati appollaiati sugli alberi; o così per lo meno Cirocco aveva sempre immaginato che fosse, ma c'è da dire che l'Africa, lei, la conosceva poco. Su Gea, però, gli alberi erano di un bel colore rosso acceso e senza foglie. Assomigliavano a raffigurazioni del sistema circolatorio, col gran tronco centrale diramantesi in migliaia di capillari sempre più sottili.
Cirocco decise di dormire come un gatto sopra uno di quegli alberi.
Si spogliò ancora una volta, e avvolse lo zaino in un fazzoletto rosso. Praticò per mezzo del coltello alcune profonde incisioni nel tronco di un albero. Cominciò a colarne una linfa rossa.
Se la spalmò sulla pelle, trasformandosi pian piano in una donna purpurea. Quando si fu colorata dalla testa ai piedi si arrampicò sull'albero, spingendosi lungo un ramo orizzontale a trenta metri dal suolo. Vi si distese prona, agganciando i piedi superiormente e lasciando le ginocchia libere di scendere sui lati, improvvisò un cuscino a mani intrecciate e vi appoggiò la testa. Dopo un attimo già dormiva.
Giunta in Dione, rallentò finalmente la sua corsa.
Là era al sicuro… da Gea, se non dagli umani.
Passò a sud del lungo lago conosciuto col nome di Iride, superò una zona montagnosa e attraversò la foresta circostante il lago Eris, per giungere infine al fiume Briareo, uno dei più estesi corsi d'acqua di Gea.
A un gomito del fiume, più di cento chilometri a sud del lago Moira, della baia Piperita e della città di Bellinzona, incontrò una casalbero che avrebbe fatto crepare d'invidia la famiglia Robinson.
Essa era costruita fra le accoglienti braccia di un albero della stessa specie di quello che in Iperione ospitava Titantown. Sebbene quanto a dimensioni ne fosse appena la centesima parte, l'albero dominava quel tratto di foresta come una cattedrale domina i tetti di una cittadina europea. Il corpo principale dell'edificio si sviluppava su un'altezza di tre piani. Parte di esso era costruita in mattoni rossi o rivestita in pietra. Le finestre avevano pannelli di vetro scorrevoli e tendine multicolori. Altre strutture tutte diverse fra loro si annidavano disseminate fra i rami a vari livelli. C'erano alveari di paglia dai tetti a punta, un gazebo riccamente decorato, qualcosa che sembrava ispirato alle cupole a cipolla del Kremlino. Tutte le costruzioni risultavano interconnesse da ampi sentieri provvisti di parapetti e poggiati sui rami, o da ponti sospesi su funi. L'albero cresceva dalla nuda roccia, circondato su tre lati da impetuosi corsi d'acqua e lambito sul quarto da un profondo laghetto. Cinquanta metri a monte scrosciava una cascata alta dieci metri.
Cirocco percorse il ponte principale, che reagì al suo passaggio oscillando leggermente. Ricordava però d'averlo visto ballonzolare follemente sotto il peso di una dozzina di titanidi.
Giunta a un'ampia veranda coperta con vista sul lago, si fermò come d'abitudine a togliersi gli stivali, che poggiò fuori della porta d'ingresso. La porta non era chiusa a chiave. Entrò, già consapevole — ma non avrebbe saputo spiegarne il motivo — che in casa non c'era nessuno.
In soggiorno trovò fresco e penombra. Attraverso la finestra le giungeva il chiacchiericcio d'acque trascorrenti. Un suono che dava sollievo. Cirocco sentì la tensione dileguare. Si tolse la camicetta, che in certi punti le si era tenacemente appiccicata alla pelle.
Quando si sfilò i calzoni deponendoli sul pavimento, quelli rimasero rigidi come se li avesse avuti ancora indosso. Non riusciva più a sentire il proprio odore, ma concluse che doveva essere spaventoso, a giudicare da com'erano incrostati i pantaloni.
Bisognerà che faccia un bagno, pensò. E, così riflettendo, si lasciò cadere su un basso divano, addormentandosi all'istante.
Si tirò su a sedere e si stropicciò gli occhi con le nocche. Sbadigliò sino a far scrocchiare la mascella, poi fiutò a naso l'aria. C'era odore di pancetta fritta.
Ai suoi piedi vide i vestiti, lavati e ordinatamente ripiegati. Accanto a essi attendevano una tazza fumante di caffè nero e una gigantesca orchidea gialla. L'orchidea stava annusando il caffè. Poi alzò la testa…
Si trattava di uno scoiattolo eremita, un mammifero bipede provvisto d'una lunga e folta coda che aveva l'abitudine d'installarsi nelle conchiglie vuote delle chiocciole geane, trasformandole in casemobili. L'orchidea faceva parte della conchiglia.
Quando Cirocco allungò una mano a prendere il caffè, la creatura si ritrasse fulminea all'interno sbattendole la porta in faccia.
Cirocco si alzò, e sorseggiando il caffè traversò la sala della musica, dove un centinaio di strumenti stavano appesi alle pareti o riposavano su appositi supporti, e poi la sala per gli esercizi vocali, con le sue cabine insonorizzate. La stanza successiva era la cucina. In piedi davanti alla stufa, intento a punzecchiare la pancetta sfrigolante, svettava un uomo alto più di due metri. Non indossava abiti, ma era forse l'unico umano di Gea che proprio non ne avesse bisogno. Egli non dava mai l'impressione di essere nudo.