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Vent'anni. Un periodo interminabile, sostanziato di quel soffio d'eternità che solo il tempo immoto di Gea sapeva instillare.

Vent'anni. Com'erano stati, per Chris?

Valiha (Assolo Eolio) Madrigale era preoccupata per Robin.

Le pareva fosse trascorso così poco tempo, da quando la giovane strega era salita a bordo dell'astronave per far ritorno alla Congrega. Quell'ultimo giorno Valiha, Robin, Chris e Serpentone s'erano ritrovati per una scampagnata. La Maga non era con loro, ma avvertivano ugualmente la sua presenza, così come quelle altre invisibili presenze: Salterio, Oboe, e Gaby.

Poi Robin li aveva lasciati.

Ora aveva trentanove anni terrestri, e ne dimostrava dieci di più. S'era portata appresso quell'insopportabile, straordinaria, folle figlia in perenne ebollizione, una seconda Robin elevata a potenza. E poi c'era quel coso… l'embrione.

Valiha non ignorava le caratteristiche distintive dei cuccioli umani, avendone veduti a migliaia. Ma le era sempre rimasta la sensazione che ci fosse in loro qualcosa di sbagliato.

Scansò la coperta scoprendolo, e gli diede un'occhiata. Tanto piccolo da non parer neppure in grado di riempirle il palmo della mano, il bimbo le ricambiò lo sguardo coi suoi occhioni celesti, rivolgendole un gran sorriso. Aveva solo un paio di dentini. Protese a lei una minuscola mano.

— Ma-ma! — disse, e gorgogliò beato.

Prestazione che praticamente esauriva le sue attuali facoltà dialettiche. Stava imparando a camminare e a parlare. Entro pochi anni avrebbe padroneggiato altre capacità. Era quella una fase che i titanidi non dovevano attraversare. Essi saltavano completamente l'infanzia e gran parte del periodo che gli umani avrebbero considerato fanciullezza. Camminavano già a poche ore dalla nascita, e parlavano poco dopo.

Fra le tante destrezze che i cuccioli umani dovevano far proprie, ce n'era una che questo bimbetta non aveva ancor neppure cominciato a intravedere. I titanidi non l'acquisivano mai; loro, d'altro canto, non avevano bisogno d'esser portati in braccio a destra e a manca, e quindi in pratica la cosa non costituiva un problema. Valiha si girò, porgendo il piccolo a sua madre.

— Questo ha un'altra volta il pannolino zuppo.

— Lui, Valiha. Ti prego. Lui ha un'altra volta il pannolino zuppo. — Robin prese il fagottino.

— Ti chiedo scusa. Il fatto è che il suo sesso sembra ancora così privo d'importanza.

Robin rise in tono amaro.

— Magari avessi ragione tu. E invece è praticamente l'unica cosa che conti per lui, in questo mondo pidocchioso.

Valiha non aveva voglia di affrontare l'argomento. Guardò avanti, e ripensò a Chris. Sarebbe stato bello rivederlo. Era passato quasi un miriariv, dall'ultima volta.

Serpentone (Trio Mixolidio Doppio Bemolle) Madrigale aveva incontrato Chris in diverse occasioni, nel corso dell'ultimo miriariv. In effetti passava gran parte del suo tempo insieme a Chris.

Egli si considerava straordinariamente fortunato. Sebbene Chris non avesse partecipato al trio che aveva generato Serpentone, gli aveva però fatto da padre nei suoi primi quattro anni di vita. Serpentone possedeva un padre titanide — antepadre e retropadre riuniti nel medesimo individuo — e due madri: Valiha, la sua retromadre, e un'antemadre ora morta. Ma nessuno dei suoi genitori aveva minimamente rappresentato per lui ciò che invece era stato Chris. Egli sapeva che il rapporto fra genitori e figli era diverso, per gli umani. E gli bastava guardare il gioioso idiota fra le braccia di Robin per comprendere il motivo di tale imprescindibile diversità. Ma benché la fanciullezza titanide durasse poco, purtuttavia era una condizione oggettivamente individuabile, e differiva in modo tangibile dalla maturità.

Man mano che i titanidi crescevano, tendevano a divenire seri… anzi, solenni, secondo Serpentone. Troppo solenni. Perdendo molta della loro propensione al gioco.

Ciò capitava anche agli umani, ma non in modo esagerato. Nessun padre titanide gli avrebbe insegnato a giocare a baseball.

Ai titanidi piaceva correre, ma a parte questo ignoravano qualunque genere di sport. Non era stato facile impiantare le federazioni sportive che Chris e Serpentone avevano organizzato per tutta una serie di giochi che andavano dal baseball e dal football (Chris l'aveva inizialmente chiamato polo, ma poi aveva eliminato le mazze, lasciando semplicemente che i ragazzi calciassero la palla) al tennis, all'hockey e al cricket, ma c'erano riusciti. Avevano scoperto che se un giovane titanide cresceva abituato agli sport di squadra, avrebbe continuato a giocar bene anche da adulto. Serpentone era il miglior lanciatore delle Folgori della Chiave di Mi, i campioni di cricket della Federazione di Iperione.

Serpentone aveva un mucchio di motivi per voler parlare a Chris. Uno di essi consisteva in una favolosa idea che gli era venuta di recente a proposito della Coppa del Mondo. Nonostante la guerra, l'ultimo Campionato Mondiale si era tenuto sulla Terra quattro anni prima. Onde evitar di offrire un unico allettante bersaglio, gli incontri erano stati sparpagliati un po' dappertutto intorno al globo. Ciò nonostante, tre partite avevano subito prematura conclusione allorché stadio, giocatori e spettatori erano rimasti inceneriti. La Coppa, alla fine, era stata rivendicata dalla Siberia Orientale.

Quest'anno, però, anno di Coppa del Mondo, sulla Terra non sarebbe proprio stato possibile disputare alcuna gara. Non era rimasto neanche un campo di gioco. Per indisponibilità della sede principale, la Coppa del Mondo si sarebbe tenuta su Gea. E Serpentone aveva intenzione di organizzarla.

Si emozionò talmente, a quel pensiero, che affrettò il passo, salvo rammentarsi subito dopo, per la centesima volta, di quella balorda che veniva in coda al gruppo. Rallentò, e volse il capo a guardarla arrancare faticosamente, mentre avrebbe potuto benissimo stargli in groppa.

Le aveva pur offerto di salire, no?

Serpentone sbuffò. Se i piedi le facevano male, doveva prendersela solo con se stessa.

Nova aveva altri problemi, a parte i piedi doloranti. Al pari di sua madre, non si era mai dimostrata un esplosivo a miccia lunga. E ormai era prontissima a deflagrare.

Appena un anno prima, il volto dell'esistenza e le tortuosità del mondo non avevano avuto segreti, per lei. La Congrega fluttuava in LaGrange Due, solida, incrollabile, reale. Poi il Consiglio aveva deliberato di partire. Troppe colonie O'Neil erano state distrutte. Nessuno poteva dire quale sarebbe stata la prossima mossa di quei pazzi furiosi che infestavano la Terra. Avevano quindi fatto i necessari preparativi, e i possenti motori erano stati avviati. Le streghe della Congrega intendevano dirigersi alla volta di Alpha Centauri.

All'inizio dell'anno, Robin era stata Madonna Nera. Adesso, Robin non era più nulla. Aveva a stento evitato la pena di morte. La maniera in cui se n'era andata non le concedeva possibilità di ritorno. E quella caduta repentina e irrimediabile aveva travolto anche sua figlia. Nova era un'apolide. La sua intera cultura navigava ormai, irraggiungibilmente perduta, verso remote stelle.

E poi, ovviamente, c'era lui.

Che razza di sistema per compendiare quel coso, pensava. Un essere talmente orribile da richiedere tutta una nuova serie di pronomi. Egli. Lui. Suo. Quei termini le ferivano l'udito al pari d'una risata volgare.

E poi, come se non bastasse, adesso c'era pure quel posto spaventoso.

Appena giunte, lei e Robin avevano dovuto lottare per sopravvivere. E avevano ammazzato quasi un centinaio di persone. L'enormità di quel massacro l'aveva sopraffatta. Fino a quel momento, non aveva mai ucciso nessuno. Sapeva come fare, ma si era accorta che la teoria e la pratica erano due cose totalmente differenti. Era stata male per giorni interi. Continuava a vedersi dinnanzi i mucchi di cadaveri sanguinolenti, con quei ragazzini come lupi in branco a strappare i vestiti di dosso ai corpi esanimi…