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E poi, Robin si aspettava che Nova trattasse quei mostruosi animali come se fossero persone. Si aspettava che facesse amicizia con loro, la Grande Madre ce ne scampi.

E poi tutti quanti si aspettavano che lei desse confidenza a quell'abominevole Conal, quel contorto, puzzolente, peloso, rozzo, stupido ammasso di muscoli, che aveva perso l'occasione d'indovinarne una in vita sua quando non s'era fatto abortire al momento giusto. Senza contare che fra poco avrebbero persino incontrato un altro maschio. A quanto pare non ce n'erano stati abbastanza, a Bellinzona, visto che sua madre aveva pensato bene di farsi una scarpinata attraverso la giungla per andare a trovare questo qui.

Tutto, su Gea, era spaventoso. La temperatura era eccessiva. Le spremeva ogni giorno secchiate di sudore. Arrampicarsi decentemente era impossibile. Scopriva di essere sempre troppo leggera, e non faceva altro che incespicare mentre i riflessi acquisiti continuavano a tradirla.

Quella maledetta penombra che la seguiva ovunque.

Quell'aria che puzzava di marcio, di fumo, di cose selvatiche.

Era un posto troppo grande. La Congrega, messa sul bordo di Gea, gli avrebbe rotolato attorno come una biglia dentro una ruota d'autotreno.

E non cambiava mai. Nessuno chiudeva mai le finestre per fare notte, o le apriva per riavere una luce del giorno che fosse degna di questo nome. Qui dentro il tempo aveva un significato diverso. E a lei mancavano tanto quelle piccole mezzore deliziose, e l'avvicendarsi rassicurante dei giorni e delle settimane. Senza di loro, si sentiva profondamente a disagio.

Avrebbe voluto addormentarsi, e poi risvegliarsi per scoprire ch'era stato tutto un sogno. Sarebbe andata in Consiglio, e lei e Robin ne avrebbero riso insieme. Ti ricordi, madre, di quel posto dove capitasti quand'eri ragazza? Be', ho sognato che eravamo lì tutt'e due, e che tu avevi un figlio. Un bambino, ci crederesti?

Niente sogno. Niente risveglio.

Si mise a sedere in mezzo al viottolo. Il titanide giallo chiamato Serpentone, che era assolutamente identico a sua madre ma che loro pretendevano di farle credere fosse un maschio, si fermò e le disse qualcosa. Lei fece finta di nulla. Quello aspettò un momento, poi proseguì. A Nova andava benissimo così. Adesso vedeva dov'era la casalbero. Quando si fosse sentita pronta, sarebbe scesa giù anche lei. O forse sarebbe semplicemente rimasta lì seduta a morire.

L'ultimo membro del gruppo era anche il più contento della compagnia.

Nel corso della sua breve vita, per tre volte era andato vicino a morire, ma lui non lo sapeva. Il suo primo potenziale assassino era stata la sua stessa madre. Robin ci aveva riflettuto bene e a lungo, dopo aver visto che cosa il suo grembo sofferente aveva prodigiosamente scodellato in quell'inquieto mondo.

Più di recente, era stato quasi ucciso da un commerciante di bambini. Conservava, dell'episodio, un ricordo assai vago. Era finito tutto così in fretta. Rammentava però l'uomo che aveva chinato la fronte a sorridergli. Quell'uomo gli piaceva.

C'era un sacco di gente nuova. Anche questo gli piaceva. E gli andava altresì a genio il nuovo posto. Camminare qui era più facile. Non gli capitava così spesso di cadere. Un po' di quella gente nuova era molto grossa, e aveva un sacco di gambe. E portava pure indosso tanti colori entusiasmanti, così vividi e luminosi che lui rideva di gioia ogni volta che li vedeva. Aveva imparato una parola nuova: Ni-De.

Era un Ni-De giallochiaro che lo scarrozzava adesso. La cavalcata risultava di suo gusto. Due sole cose guastavano quell'altrimenti perfetto meriggio. Si sentiva il sederino bagnato, e incominciava a chiedersi quanto mancasse all'ora di pranzo.

Era proprio sul punto di affrontare tali argomenti, allorché il Ni-De lo porse alla mamma. La mamma lo depose sulla groppa del Ni-De, e lui stette a rimirare la lunga, vaporosa, rosea chioma ondeggiargli sopra mentre mamma gli cambiava il pannolino. Il Ni-De roteava la testa di qua e di là, cosa che a lui pareva molto divertente. E ora la mamma rideva! L'aveva fatto così di rado, ultimamente. Adam era al settimo cielo.

Robin si aprì la camicetta, lo tirò su, e lui trovò il capezzolo.

Il mondo, adesso, era davvero perfetto.

Il gruppo raggiunse l'estremità esterna del ponte sospeso e cominciò a traversarlo in fila indiana. Adam si era addormentato. Robin era pronta per il sonno. Nova sarebbe stata più che pronta, ma era rimasta molto indietro rispetto agli altri.

Sfilarono sotto un ingresso ad arco che portava dipinto il nome della casalbero di Chris: Tuxedo Junction. Robin si domandò cosa volesse dire.

Pandemonio era di nuovo in movimento.

Gea, attraversando la foresta dell'Iperione settentrionale, meditava su recenti avvenimenti. Non era contenta, e quando Gea era scontenta, quelli che le stavano accanto se ne accorgevano immancabilmente. Un elefante non riuscì a scansarsi in tempo. Senza neppure cambiare andatura, Gea gli sferrò un calcio. L'elefante volò in aria, atterrando smezzato cento metri più in là.

Gea stava scegliendo il programma per la prossima sosta. Dopo lungo elucubrare optò per I Sette Samurai di Kurosawa. Poi si ricordò di quegli altri due, che attendevano a Tuxedo Junction. Chris e Cirocco. Be', ma non c'era quel film del 1994 che aveva un nove, nel titolo?… Il suo archivista sarebbe riuscito senza dubbio a scovarlo.

Alla fine ci ripensò, e scoppiò a ridere di gusto. Il secondo spettacolo sarebbe stato l'8 di Fellini.

DUE

Chris fece abilmente scivolare le uova fritte dalla padella di rame in un piatto di terracotta. La padella aveva quasi un metro di diametro. Tutti i suoi attrezzi da cucina erano sovradimensionati. La maggior parte degli ospiti, lì, erano titanidi, e a loro piaceva mangiare tanto quanto cucinare.

Come cuoco Chris era piuttosto sul mediocre, ma sembrava che a Cirocco non importasse. Mentre lui sparecchiava il primo piatto e le imbandiva la seconda porzione di uova, gli rivolse con la forchetta un gesto di ringraziamento. Appollaiata su un imponente sgabello dinanzi allo svettante tavolo di cucina, coi piedi agganciati alle traverse, i gomiti ben divaricati e la testa bassa, sbafava a quattro palmenti. I capelli umidi se li era annodati dietro perché non le dessero fastidio.

Chris accostò un altro sgabello dalla parte opposta del tavolo e ci s'installò. Mentre Cirocco aggrediva il suo quattordicesimo uovo, egli incominciò a mangiare i due che aveva previsto per sé, osservando intanto la commensale che gli stava di fronte.

Era pallida. E magra. Le si contavano le costole. Le sue rotondità pettorali risultavano poco più che un ricordo.

— Com'è andato il viaggio? — le domandò.

Lei annuì, poi s'impadronì della sua tazza di caffè per mandar giù l'ultima infornata d'uova. Trattandosi di una tazza titanide. le ci vollero entrambe le mani.

— Tutto bene — rispose, e si nettò la bocca strusciandosela lungo il braccio. Subito assunse un'aria stupita, lanciò a Chris un'occhiata d'imbarazzo, e prese il tovagliolo. Prima se lo passò sul braccio, poi sulle labbra.

— Scusami — disse, con un risolino nervoso.

— Il tuo comportamento a tavola non mi riguarda — commentò Chris. — Questa è anche casa tua.

— Già, ma non è un buon motivo per grufolare come un maiale. Fatto sta che m'è parso così buono… Cibo vero, capisci.