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Per l'arte universale non si trattava certo di una gran perdita, pensò Cirocco, ma era pur sempre uno scempio. Robin aveva saputo, fin da bambina, che ogni figlio da lei generato avrebbe recato in sé lo stesso morbo per guarire dal quale ella si sarebbe un giorno recata su Gea. In un impeto di giovanile millanterìa, s'era dunque fatta tatuare sul ventre un disegno orripilante. Esso mostrava una spettrale, mostruosa creatura che le apriva uno squarcio nelle carni, cercando con artigli e zanne di aprirsi una strada dalle sue viscere al mondo esterno.

— Nova era un accidente di bambinona — disse Robin con aria afflitta, strofinandosi la cicatrice che aveva reso il tatuaggio ancora più ripugnante. — Mi dovettero fare un taglio cesareo. — Ristette immobile, a spalle curve, cercando di dare l'impressione che solo per caso le sue mani si trovassero a congiungersi strettamente sull'addome. Il suo incarnato era pallido, i capelli senza vita, il volto solcato di rughe, e neppure i denti parevano in buone condizioni. Per troppo tempo Robin si era lasciata andare. L'età era una cosa. Qui si trattava di ben altro.

— Non ti preoccupare — disse Cirocco. — Adesso potrai dire basta a tutto questo.

Entrò senza indugio nell'acqua, e le tese una mano.

Era molto più calda di quanto Robin avesse previsto. Avvertiva il calore in modo bizzarro, consapevole di esso ma senza sentirsene scottata.

S'immersero un poco alla volta. Prima fino alle caviglie, poi alle ginocchia, poi una sosta prima di continuare sino ai fianchi. Chris l'accompagnava da una parte, Cirocco dall'altra. Entrambi la tenevano per mano.

L'acqua — se di acqua si trattava — emanava un profumo delicato, e aveva il colore e la consistenza del miele. No, si corresse, l'analogia non andava bene. Quella roba era tutt'altro che sciropposa. Forse simile a un nettare, piuttosto.

Proseguendo, il fluido le giunse alla vita, e Robin boccheggiò. Le stava gradualmente penetrando dentro. Lo poteva sentire mentre simile a un olio sottile le riempiva i visceri e la vagina. Avrebbe dovuto suscitare in lei un moto di repulsione, ma secondo ogni evidenza stava invece accadendo il contrario. Era meraviglioso. Era la sensazione più bella che avesse mai provato. Un brivido intenso la percorse, sentì le ginocchia venirle meno. Cirocco la sostenne. Ed ecco il fluido ricoprirle il petto.

Si lasciò andare fra le braccia di Cirocco, così come la Maga le aveva detto di fare. Chiuse gli occhi, sentì una mano serrarle le narici, poi si trovò completamente immersa.

Sensazione deliziosa. Chi avrebbe mai voluto sottrarvisi? Cresceva in lei il bisogno di respirare, ma quando esso si fece impellente sentì le labbra di Cirocco premere contro le sue, e inalò il fiato della Maga. Poi lo lasciò esalare lentamente.

Continuò così per molto tempo. Non cercò di calcolarlo, ma sapeva che era molto. E venne il momento che Cirocco cessò di rifornirla d'aria. Robin avvertì nuovamente crescere in sé il bisogno di respirare. Cirocco le aveva spiegato come comportarsi, ma aveva lo stesso un po' di paura. Poteva davvero fidarsi della Maga fino a quel punto?

E perché no? Sentì le dita di Cirocco allargarsi liberandole il naso. Il nettare rovente prese a fluirle dentro. Aprì la bocca. L'aria se ne fuggì gorgogliando, e il liquido l'invase.

Pochi spasmi la scossero mentre i suoi polmoni si riempivano e lei espelleva convulsamente le ultime tracce d'aria. Lottò per liberarsi, ma una stretta inflessibile l'inchiodava. Poi fu di nuovo in pace.

Cirocco la tenne immersa per mezzo riv, quindi la riportò a riva deponendola accanto ad Adam, che dormiva ancora. Chris procurò un asciugamano, e Cirocco si diede a passarglielo sul corpo. Rivoli dorati colavano fuori dalla bocca di Robin. Cirocco le appioppò qualche bella pacca sulla schiena e lei riprese a respirare, dopo avere rigettato le ultime boccate di fluido che le ingombravano la gola. La sua pelle s'era fatta bruna, e scottava quasi da non poterla toccare.

— Vai prima tu — disse Chris prendendo l'asciugamano. — Rimango io con lei.

Cirocco annuì, e s'immerse nella fonte. Un attimo dopo già fluttuava appena sotto la superficie. Ne sortì dopo mezzo riv, e le sue lunghe chiome inzuppate, che le scendevano a profusione sulle spalle, erano adesso di un nero lucente.

Chris rimase dentro più a lungo. Quando uscì era cresciuto in altezza di quasi tre centimetri, e il suo volto aveva subito lievi cambiamenti.

Cirocco reindusse in Robin una leggera trance, e Chris la sollevò, con Adam che giaceva quieto fra le braccia di lei. Volgendosi per un ultimo sguardo a Cirocco, Chris si mise in cammino per riportare Robin a Tuxedo Junction, e lì giunto farle la sua proposta.

CINQUE

Luther incedeva minacciosamente lungo i pontili di Bellinzona, deserti come le strade polverose di quella cittadina del Far West dov'è ambientato Mezzogiorno di Fuoco, con Gary Cooper. Può anche darsi che la sua mente avesse colto il nesso, dato che lui quel film l'aveva visto di recente a Pandemonio.

Luther non assomigliava a Gary Cooper. Aveva piuttosto l'aspetto del mostro di Frankenstein dopo tre giorni di baldoria alcolica e un disastroso incidente d'auto. Gran parte del lato sinistro della sua faccia se n'era andato, mettendo a nudo Un pezzo di mascella e un rovinìo di denti frantumati, una sezione di mastoide, e una cavità oculare vacante. Brandelli di verdognolo tessuto cerebrale facevano capolino da una frastagliata fenditura del cranio, dando l'idea che il contenuto del medesimo, fuoriuscito dalla crepa, fosse stato ricacciato dentro alla rinfusa. L'occhio superstite era una fossa tenebrosa in un mare scarlatto, fiammeggiante di legittimo furore. Il suo collo era cinto di suture; non cicatrici, ma veri e propri tratti di filo spesso che gli trapassavano la pelle. A tirarli via, la testa gli si sarebbe staccata dal corpo.

La sua intera figura, tranne le mani, era paludata d'una lercia tonaca nera. Le mani recavano piaghe trasudanti sangue e pus. Una delle gambe era più corta dell'altra. Non si trattava di una deformità, ma di un banale problema tecnico: in passato quella gamba era appartenuta a una monaca. Tale circostanza non rallentava il suo passo.

Non c'era bisogno di nascondersi, e Luther non tentava di farlo. E poi, bene che andasse, lui e la sua banda assai difficilmente avrebbero potuto passare inosservati. Già Luther non rappresentava una gioia per il naso, ma l'aroma dei suoi Apostoli poteva tramortire un porco a cinquanta passi. Persino gli umani, col loro atrofizzato senso dell'olfatto, erano solitamente in grado d'individuare Luther ben prima ch'egli facesse la sua comparsa. Avrebbe talvolta potuto sortire effetto un'avanzata sottovento, ma negli ultimi tempi gli abitanti di Bellinzona parevano avere sviluppato una sorta di sesto senso, nei confronti dei Preti.

I suoi dodici Apostoli si trascinavano innanzi rimanendogli alle costole. Paragonato a loro, Luther poteva dirsi un fiore di beltà.

Quelli non erano altro che zombi, ma Luther era stato un tempo il Pastore Arthur Lundquist della Chiesa Luterana Unificata d'America, sezione di Urbana, Illinois. Urbana era andata distrutta parecchi anni prima, e così pure il Pastore Lundquist, grossomodo. Pezzetti e porzioni del lui attuale avevano in precedenza fatto parte integrante d'altri individui: Gea assemblava i suoi Preti con quel che si ritrovava a portata di mano. Ma di tanto in tanto un fortuito pensiero di casa gli traversava il cervello ottenebrato, un ricordo di una moglie e due figli. Quel pensiero lo tormentava, rendendolo ancor più zelante nella sua opera di evangelizzazione. A traversargli il cervello provvedevano inoltre le correnti d'aria, in virtù del colpo d'arma da fuoco che gli aveva regalato il suo inconfondibile sorriso e un eloquio così particolare. Quello pure era un motivo di sofferenza.