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Avanzava egli dunque risolutamente lungo il confine della fascia mortale che preludeva al quartiere delle Libere Femmine. I suoi occhi scandagliavano le fortificazioni antistanti. Non individuò anima viva, ma sapeva che esse erano lì acquattate a sorvegliare ogni sua mossa. A un certo punto si fermò, in atto provocatorio e sprezzante, con le mani sui fianchi.

— Nemiche di Dio! — gridò, o almeno tentò di farlo. Mancandogli la guancia sinistra, trovava difficoltà ad articolare i suoni che richiedono il concorso delle labbra. Nemiche, ad esempio, detto da lui suonava come "neuìche".

— Io sciono Luther! Sciono qvi in uissione di Dio!

Sibilò una freccia in traiettoria radente andandolo a colpire in pieno petto. Penetrò completamente, lasciando fuori soltanto le alette piumate. Luther non si prese neppure il disturbo di fare una pausa, né si tolse le mani dai fianchi.

Una Libera Femmina corse fuori dirigendosi verso il ponte, con in mano una torcia accesa. La scagliò sull'olio che era stato strategicamente versato sin dalle prime voci sulla presenza della banda di Luther a Bellinzona. Fra Luther e il Quartiere si dispiegò repentina una parete fiammeggiante, che incominciò ad attaccare il ponte. La donna si riprecipitò al riparo.

— Un vanvìno fu fortato in qvesto luogo uolti… farecchi riv orsciono. Dio ha visogno di qvesto vanvìno. Dio sciarà venevolo a colei che sci dirà dove sci trova qvesto vanvìno. Venite avanti, venite avanti a riscevere la grascia di Dio!

Nessuno si precipitò a ricevere alcuna grazia. Luther se l'era aspettato, ma il fatto lo imbestialì ugualmente. Incominciò a urlare. Gridò oscenità verso il ponte in fiamme, corse attorno in vorticosi cerchi e pestò ripetutamente con la gamba più lunga sul tavolato della banchina. Ben presto dall'occhio prese a colargli sangue, e un misto di bava e muco nerastro spurgò dal fianco sventrato della sua faccia. Il davanti della tonaca gli si scurì all'altezza delle anche. Il potere era in lui, il potere andava crescendo. Si gettò in ginocchio, tese le braccia al cielo, e incominciò a cantare.

Una vianca fo-or-tescia è il nostro Scignore!

Scudo e sfada vittorioscia.

Egl'infrange lo scettro del crudel'offresciore

E sci conduce a salvascion glorioscia!

Verso dopo verso, lo stonato Prete berciò il suo inno in un tono di basso spezzato e sibilante, mugolando quando non rammentava le parole. Non erano le parole che contavano, comunque, ma il Potere, ed egli lo sentiva su di sé come rare volte gli era avvenuto dopo la resurrezione. Inginocchiato lì a braccia levate, ricordò i giorni in cui aveva pronunziato i suoi sermoni dal pulpito. Era stato un predicatore travolgente, a quei tempi, ma nulla in confronto alla sua forza attuale. Dio sarebbe stato orgoglioso di lui. Alle sue spalle, persino gli zombi verminosi apparivano scossi. Si lamentavano come se cercassero anch'essi di cantare, le lingue pendule fuori delle bocche orribili che si agitavano flosce al ritmo dei corpi ondeggianti.

Ed ecco infine una Libera Femmina ergersi isolata fuori del suo riparo e gettar via l'arma. Il suo sorriso era un rictus scomposto, i suoi occhi lucidi e vacui come quelli di una demente.

Le Libere Femmine urlavano. Lo stavano facendo sin da quando Luther aveva dato inizio al suo abominevole inno, e adesso raddoppiarono i loro sforzi. Non gridavano di paura — sebbene fossero terrorizzate sin nel più profondo dell'animo — ma per un fine tattico, nel tentativo di soverchiare il Potere. Era uno stupefacente gorgheggio a più voci, alla maniera delle donne arabe nel trionfo e nel lutto. Molte di loro, per proteggersi, s'erano tappate le orecchie con il cotone o la cera, come i marinai di Ulisse. Luther ne gongolava, sapendo trattarsi di un errore. Con le orecchie otturate erano ancora più vulnerabili, poiché non potevano udire il grido comune, il canto di solidarietà che costituiva l'unica vera difesa contro Luther e quelli della sua specie.

La donna avanzò. Una freccia la seguì, ma la mano che l'aveva lasciata andare aveva tremato troppo perché il dardo arrivasse a segno. Fallì il bersaglio, e così pure un secondo strale. Il terzo le affondò nella schiena. La donna ebbe un fremito violento, ma continuò a camminare.

Le sue compagne non stavano cercando di ucciderla perché la disprezzassero o la ritenessero una traditrice. Sapevano troppo bene quanto il Potere di Luther potesse ottenebrare le loro menti. Volevano ucciderla perché la morte era una misericordiosa alternativa.

L'antico avversario ualvagio

Ha giurato di recarsci il suo contagio.

Di terrore e astuzia e forza amato

Scende in canfo a convàttere il creato.

Sciulla Terra non ha egvali!

S'immerse tra le fiamme.

Fu raggiunta da altre due frecce. Cadde a terra carponi, i capelli le s'incenerirono come paglia secca. Continuò a trascinarsi, mentre la sua pelle si carbonizzava. Con uno sforzo terribile si rimise in piedi, sorda, cieca, e un'asse di legno fiammeggiante si spezzò sotto il suo peso. Cadde in avanti, e ruzzolò dal ponte precipitando in acqua.

Luther interruppe il canto e si rialzò. Osservò ghignando una mezza dozzina di Libere Femmine precipitarsi fuori dai loro nascondigli e correre verso il ponte, schermandosi il volto dal calore dell'incendio e dalla spaventosa presenza di lui. Parecchie di loro gli fecero le corna, il che lo divertì ancor di più. Credevano davvero che puntargli contro il mignolo e l'indice bastasse a proteggerle?

Afferrarono con una fune il corpo della compagna e lo tirarono sul pontile. Era ancora viva, ma ormai si trattava di un fatto secondario. Se fosse stata morta, essi avrebbero cercato d'impadronirsene con determinazione anche maggiore. Ora invece lei poteva morire e avere la possibilità di rimanere morta.

— Dio vi funirà — gridò Luther, poi si volse a fronteggiare le sue truppe. — Andrea! Giovanni! Taddeo! Fil… Giuda! — Cinque zombi si fecero avanti, compreso Filippo, che nella sua confusa consapevolezza non era comunque stato capace di decidere per certo se il capo avesse convocato pure lui. Luther lo congedò con un gesto impaziente. Chiamava sempre i soliti quattro, quando doveva affidare qualche compito, e il motivo era assai semplice. Gli altri otto portavano nomi contenenti qualche b, qualche m o qualche p. I nomi di due terzi dei suoi discepoli rappresentavano, per Luther, impronunziabili scioglilingua.

— Avansciate contro gl'infedeli! — ordinò loro. — Svaragliate i feccatori! In un fuoco ardente che farà vendetta di coloro che non conoscono Dio e di qvelli che non ovvediscono al Vangelo! Frima Lettera ai Tescialonicesi! Uno! Otto nove! Andate, uiei discefoli!

Luther li guardò avanzare tra le fiamme. Sarebbero rimasti distrutti, certo, ma non prima di aver fatto qualche danno. Erano già irti di frecce, ma non se ne curavano minimamente, così come ignoravano il fatto che stavano bruciando. Siccome erano già morti, ciò non aveva alcuna importanza.

L'ex Pastore Lundquist distolse gli occhi dalla scena. Egli non poteva più provare dolore, né qualcosa che si apparentasse al dubbio, tuttavia s'insinuava in lui talvolta una sensazione che lo faceva brancolare nel buio come solo un uomo reso cieco e sordo e al quale siano stati amputati tutti e quattro gli arti potrebbe brancolare. Innanzitutto lo irritava veder Giuda avviarsi alla distruzione. Questo era forse il ventesimo "Giuda" che perdeva. Qualcosa lo induceva a sceglier sempre, per la parte di Giuda, la recluta più grossa, più forte e meno putrefatta. Ne ignorava il motivo.