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Nova girovagò davanti all'immensa rastrelliera portaspezie che stava attaccata alla parete. Vi si allineavano centinaia di bottiglie di vetro soffiato, contenenti foglie e polveri e cristalli, nonché certi strani prodotti cui Nova pensò ch'era meglio non cercare di attribuire un nome. Molte varietà erano evidentemente di origine geana. Ma il problema, per Nova, consisteva nel fatto che anche le altrettanto numerose spezie terrestri erano comunque etichettate in scrittura titanide, accuratamente incisa sul vetro.

Sollevando i turaccioli e annusando alcuni probabili candidati riuscì a identificare la radice di aristolòchia; poi, dopo altri tentativi andati a vuoto, qualcosa che all'odore pareva estratto polverizzato di cubèbe. Anche il colore era quello giusto, e così pure il sapore. Dopo di che, rimase bloccata.

— Forse potrei essere d'aiuto?

Per la sorpresa fece un salto, cosa non da poco in quella bassa gravità. S'era impegnata così strenuamente a ignorare l'esistenza del titanide, che ne aveva dimenticato la presenza.

— Ne dubito — rispose. Per un qualche motivo l'imbarazzava sentirsi rivolgere la parola da quegli esotici animali. Pretendevano di atteggiarsi a esseri umani, ma ci riuscivano piuttosto male.

— Proviamo — suggerì Serpentone.

— Be'… mi domandavo se… se non avresti un po' di cardamomo.

— Grande o piccolo?

— Come?

— Noi ne usiamo due varietà. Quella grande…

— Sì, sì, lo so. Mi serve quella piccola.

— Vuoi la corteccia essiccata o il seme triturato?

— Il seme, il seme! — Ciò che le dava più fastidio era il fatto d'essersi lasciata coinvolgere in quella conversazione. Comunque Serpentone le porse un vasetto, e Nova ne fece cadere, picchiettando, un pizzico di spezia su una striscia di carta, che richiuse ripiegandola. Poi lui l'aiutò a trovare il cinnamomo. Era evidente che si stava chiedendo cosa mai quella ragazza avesse intenzione di cucinare, e che, di qualunque cosa si trattasse, lui non approvava.

— Qualcos'altro?

— Hmmm… ce l'avresti un po' di benzoino?

Serpentone increspò compostamente le labbra.

— Quello dovresti andare a cercarlo nell'armadietto dei medicinali. — Non poteva sussistere alcun dubbio circa il fatto che la sua opinione sulla ricetta di lei fosse ulteriormente peggiorata. — Ha un'etichetta che riporta la dicitura "benzoino" nella vostra lingua. — Esitò, parve sul punto di rivolgerle una domanda, ma Cirocco lo aveva avvertito di andarci coi piedi di piombo, trattando con quell'umana. — Se può interessarti — continuò — nella soluzione non è presente alcun residuo di cianuro di potassio, ma potrebbero esservi tracce di alcool.

Nova stava per dirgli che le serviva il balsamo in forma di gommoresina, e non in soluzione acquosa, ma decise di lasciar perdere. Corse di sopra in infermeria, locale che aveva già individuato, e nel quale aveva già fatto incursione per procurarsi altri ingredienti.

Tornata nella sua stanza chiuse la porta, tirò le tende, accese una candela e si spogliò completamente. Sedette quindi sul pavimento a gambe incrociate, e versò piccole quantità dei suoi ultimi acquisti nel piattino di metallo che aveva adibito a crogiolo, aggiunse un po' d'acqua e rimestò con un dito. Servendosi d'uno spillo si fece uscire qualche goccia di sangue dal pollice e la versò nell'intruglio aromatico, che intanto, stimolato dal calore della candela, incominciava a dar segno d'una certa effervescenza. Quando il bollore fu ben avviato, Nova si strappò tre peli dal pube, li sbruciacchiò alla fiammella e li aggiunse alla pozione.

Un dito di vodka sgraffignato dalla credenza del soggiorno indusse ben presto la mistura a sfrigolare con una bella fiamma azzurrognola. Nova continuò nell'operazione di cottura fino a ottenere pochi grammi di polvere grigiastra. L'annusò, e fece una smorfia. Be', tanto non ne avrebbe usata molta. Le dava qualche preoccupazione la non perfetta corrispondenza del benzoino, come pure il fatto che la ricetta prevedesse l'uso di liquore di funghi invece che vodka. Ma trattandosi di magia bianca, e non di vera e propria stregoneria, avrebbe dovuto funzionare ugualmente.

Prese a strapparsi altri peli, continuando finché non incominciò a farle male sul serio, poi li attorcigliò e li annodò insieme, ricavandone un minuscolo pennellino dorato. Reindossò pantaloni e camicetta e andò a sbirciare fuori della porta. Quando fu certa di passare inosservata, attraversò di corsa il corridoio fino alla camera di Cirocco.

Una volta dentro, usò il pennellino per applicare minime tracce di polvere alle colonne del letto e sotto il cuscino. Poi s'infilò sotto il letto, tracciò una figura a cinque lati e vi lasciò nel mezzo un pelo pubico. Infine arretrò verso la soglia, aspergendo a ogni metro un'infinitesima quantità di polvere. Riattraversò il corridoio, continuando a intingere il pennellino nella bacinella e tracciando col miscuglio una sorta di sentiero fino alla propria stanza.

Quand'ebbe richiuso la sua porta, dovette appoggiarvisi per qualche istante. Il cuore le martellava, aveva le gote in fiamme. Si spogliò in fretta e si buttò sul letto. Usò il pennellino per tracciarsi un segno fra le mammelle, quindi se lo passò con gesto deciso in mezzo alle gambe mormorando un'invocazione. Ciò fatto appoggiò la bacinella sul pavimento dalla parte del muro, dove Robin non l'avrebbe veduta. Infine si rimboccò le coltri fino al collo e trasse un profondo, tremante sospiro.

Acquietati, cuore mio. La tua diletta giungerà.

Ma eccola d'un tratto saltare giù dal letto e precipitarsi all'immenso, stupendo tavolo da toeletta con lo specchio girevole. Diede fondo ai suoi cosmetici, incurante del fatto che alcuni di essi avrebbero potuto risultare insostituibili. Si truccò il viso con cura infinita, si mise il suo miglior profumo, e ritornò a letto.

E se il profumo avesse coperto l'aroma della pozione? E se a Cirocco non fosse piaciuto il rossetto? Lei in effetti non se lo metteva. A dire il vero non usava nessun tipo di cosmetico, ed era la donna più bella che Nova avesse mai veduto.

Singhiozzando, riattraversò di corsa il corridoio e andò a rifugiarsi in bagno. Sgombrò il campo d'ogni artifizio, poi si sentì male e vomitò il pranzo dentro il gabinetto. Ripulì accuratamente, si lavò i denti, e si affrettò a tornare a letto.

Doveva per forza essere amore. Cos'altro poteva far soffrire tanto?

Versò fiumi di lacrime, si lamentò, ridusse a brandelli le lenzuola. Ma Cirocco non venne.

Alla fine, a forza di piangere, si addormentò.

SETTE

In sogno, Cirocco aprì gli occhi.

Giaceva distesa supina sulla finissima sabbia nera. La sua testa riposava appoggiata allo zaino. La sabbia era perfettamente asciutta, così come il suo corpo. Spalancò le braccia e piantò le dita nella sabbia, rivolse in alto la punta dei piedi e sentì la sabbia scivolare sotto i calcagni, mosse le spalle e i fianchi in un lenta, sensuale traslazione circolare che incrementò di qualche centimetro l'incastonamento della nicchia sabbiosa modellata sui contorni del suo corpo. Esalò un profondissimo respiro, e si rilassò completamente.

Era consapevole di ogni muscolo, di ogni osso. La sua pelle vibrava d'una tensione indicibile, ciascuna terminazione nervosa attendeva di provare nuovamente quella strana sensazione.

Che venne, dopo un intervallo d'incommensurabile temponirico. Una piccola mano le accarezzava la gamba sinistra, dall'estremità del piede sino al ginocchio, e poi giù in senso opposto. Ne avvertiva distintamente il tocco. Quattro dita, un pollice, il polso. Non era una pressione accentuata, non era un massaggio, ma neppure il solletichìo d'una piuma. Lei osservava senza timore, come accade in certi sogni. Seguendo il movimento della mano invisibile, poteva vedere sulla trama della propria epidermide i lievi mutamenti provocati da quel passaggio.