— Ti comprendo, Valiha. Il mondo gira dalla parte sbagliata.
— E io non saprei dire se sia opportuno far nascere i nostri figli in un mondo come questo.
— Ma ai tempi della tua retromadre, non eravamo forse in guerra contro gli angeli?
Valiha annuì, e si asciugò una lacrima. Poi si sforzò di sorridere.
— Hai ragione. E Serpentone ne sarà entusiasta. Gliene hai già parlato?
— Nessun'altra creatura mortale condivide il nostro segreto.
— E allora ti prego, tienilo serrato nel tuo cuore sinché il mondo non abbia ruotato mille volte ancora. Poi otterrai da me la risposta che domandi.
Nello scambiarsi l'ennesimo bacio, udirono Serpentone sbucare dalla giungla al gran galoppo. I suoi zoccoli suscitavano fontane di terra mentr'egli attraversava come una saetta il campo arato.
— E dire che vi credevo intenti all'aratura! — cantò. — Mi sentivo così in colpa, tranquillo in casa a cucinare, col solo fardello di quella selvaggia creatura umana, mentre voi due faticavate come umili braccianti. E allora son corso da voi, ma ecco che vi trovo…
Si fermò di colpo, conficcandosi al suolo con tutti e quattro gli zoccoli, e per due lunghi secondi rimase perfettamente immobile. Poi s'impennò sulle zampe posteriori, ruotò completamente su se stesso e riscappò via come il vento sulle proprie orme.
— Zombi! — gridò in inglese, ma a quel punto Rocky e Valiha avevano ormai fiutato anche loro l'inconfondibile sentore, ed erano già in piena corsa.
— Salvi un moccioso, e che cosa te ne viene? — si stava domandando Conal. Diede un'occhiata ad Adam. Un filino di saliva gli colava giù per il mento. — Ti tocca diventare un baby-sitter, ecco che cosa!
Sbadigliò, sprofondandosi più comodo nel divano. Si trovavano in una stanza d'angolo al primo piano dell'edificio principale di Tuxedo Junction, una camera con un sacco di finestre e una bella vista sulla cascata. Nova era da qualche parte al piano di sopra, impegnata in qualcosa che per un poco aveva riempito l'aria di uno strano odore. Qualunque cosa fosse, l'aveva fatta vomitare. In precedenza se n'era andata in giro per tutta la casa, sgusciando qua e là furtiva come una spia. Da più di un'ora, comunque, non s'era risentita.
— Troppo furba, lei, per starsene col suo fratellino — disse ad Adam. Il bimbo lo fissò con aria solenne, poi gli tirò un uovo titanide.
Conal non se la prendeva neanche un po'. Anzi, godeva un mondo a farsi maltrattare da quel marmocchietto.
Tipino in gamba, non c'è che dire. Innanzitutto non era un bercione. E poi sveglio come un aquilotto, e forte come un torello. Fra un anno o giù di lì, non appena si fosse retto bene sulle gambe, magari avrebbe potuto fargli incominciare i pesi. L'ossatura ce l'aveva.
…Senza contare che Conal, in fin dei conti, era proprio fiero che Robin si fidasse di lui al punto da lasciargli il bimbo.
L'aveva sistemato nel mezzo del pavimento, con qualche trastullo ch'era riuscito a racimolare, e Adam sembrava felicissimo di starsene lì seduto a scaraventare in giro i suoi balocchi, per poi avventurarsi gattoni al loro recupero. Prediligeva fra tutti lo scaffalino pieno di vecchie uova titanidi. Sferiche, delle dimensioni di una palla da golf, in policromo assortimento. Erano troppo grandi perché riuscisse a cacciarsele in bocca, sebbene lui ci si mettesse d'impegno, e non si rompevano. In pratica, l'unico difetto che avevano consisteva nella loro tendenza a rotolare sotto i mobili, e Conal aveva ovviato erigendo una barriera di cuscini torno torno al bimbo, per un'ampiezza di quattro metri. Non erano poi troppe quelle che Adam riusciva a scagliare così lontano. Ignudo, zampettava qua e là dentro il suo recinto, cadendo un poco ma senza esagerare, e riscattando su come una molla tutte le volte che gli capitava. Conal vide Adam immobilizzarsi e incominciare a far pipì sul pavimento. Il grande si mise a ridere, al che il piccino si volse goffamente e incominciò a ridere pure lui.
— Ma! — strillò Adam. — Ni-De! Ma!
— Pii-pii — gli fece Conal alzandosi. — Bisogna che impari, signorino. Ripeti, "devo-fare-pii-pii". — Adam rise più forte, esprimendo il suo pieno consenso con grandi cenni della testolina.
Conal andò in bagno a prendere un asciugamano e lo usò a mo' di straccio sul pavimento. Era una scocciatura, ma d'altra parte bisognava aver pazienza. E poi sempre meglio così che i pannolini.
Si rimise a sedere, e i suoi pensieri, non per la prima volta, si rivolsero a Nova. Molto probabilmente era al piano di sopra che dormiva. Un accidente di problema, quella Nova. Davvero un accidente di problema. Come fare? Da che parte incominciare?
Non riusciva a farsi venire in mente nessuna tattica degna di questo nome. All'inizio aveva creduto che lei odiasse allo stesso modo tutti gli esseri viventi. Ultimamente, però, era giunto a nutrire la quasi certezza di occupare, nel cuore di lei, un posto speciale, giusto un gradino al di sotto dei serpenti a sonagli, dei pederasti e delle spirochete. Decisamente sfavorito, come punto di partenza, ma la risolutezza era sempre stata il suo forte.
Non così l'immaginazione, purtroppo. Né l'astuzia. Cirocco gli aveva detto che lui disponeva di un'ammirevole schiettezza, ma che ci voleva un poco per farci l'abitudine.
Quindi, allorché i suoi pensieri si volsero a Nova, non riuscirono a far altro che incanalarsi nel consueto, inattuabile schema. Egli stesso si rendeva conto ch'era un progetto ridicolo, e che sarebbe dovuto per forza intervenire un qualche cambiamento sostanziale, prima che lei incominciasse a considerarlo qualcosa di diverso da un mostro ripugnante… eppure ricadde nella solita, ricorrente fantasticheria. Incominciava con lui che si alzava dal divano e saliva al piano di sopra. Poi bussava alla sua porta. "Avanti!", avrebbe detto Nova. Lui sarebbe entrato, il volto atteggiato a un sorriso seducente. "Volevo solo vedere se avevi bisogno di qualcosa, Nova", avrebbe dichiarato. Poi — non aveva ancora ben definito i particolari di questa fase — si sarebbe trovato seduto sul letto accanto a lei, si sarebbe chinato a baciarla, le labbra di Nova si sarebbero dischiuse…
Nova urlò.
Un urlo spaventoso, raccapricciante, scaturitole dal profondo della gola. Conal s'era inoltrato con tanta partecipazione nei meandri del suo vagheggiamento seduttorio, che per un attimo di confusa perplessità annaspò nel tentativo di formulare le proprie scuse, poi si rese conto che quell'appello straziante veniva dal mondo reale, e sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene.
I suoi piedi toccarono il primo, il nono, l'ultimo scalino, ed egli sfrecciò lungo il corridoio verso la camera di lei.
DIECI
Nova si risvegliò lentamente, senza rendersi ben conto di cosa l'avesse disturbata. Rimase distesa, aspettando che il rumore si ripetesse, e chiedendosi come mai le era balenato in testa che fuori della sua porta ci fosse Cirocco, in attesa di entrare.
Eccolo di nuovo. Un suono raschiante. Ma in quel posto la gente non raspava alle porte, ci picchiava invece sopra con le nocche. E poi non veniva dalla porta, bensì dalla finestra.
Si alzò sbadigliando, si diresse con calma alla finestra e si affacciò, guardando in basso.
Ciò che vide le sarebbe rimasto per tutta la vita indelebilmente impresso nella memoria.
C'era una cosa che si stava arrampicando su per la parete esterna dell'edificio. Ne vide le braccia, che erano fatte d'ossa e di serpenti, e la parte superiore della testa, ricoperta di frammentario tessuto incartapecorito e lunghi rimasugli di capelli. Ma il vero orrore nasceva dalle mani. Scorse chiaramente le nude ossa delle dita, brandelli di carne putrefatta, e fauci spalancate. Ciascun dito terminava con un piccolo rettile cieco provvisto di un'ampia bocca munita di denti acuminati, e quando una mano s'aggrappava alla parete verticale, le serpi azzannavano il legno producendo uno sgranocchio perfettamente udibile. Un appiglio dopo l'altro, la cosa veniva su rapidamente. Nova stava annaspando in cerca della pistola, rendendosi conto in ritardo di non avere indosso alcun indumento, quando la cosa girò la testa verso l'alto. La sua faccia era un teschio. Le cavità oculari un brulichìo di vermi.