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Si ritrovò in volo orizzontale, a testa in giù. La sabbia correva talmente vicina che a tendere una mano l'avrebbe toccata.

Manovrando con estrema cautela fece sollevare la Libellula, finché non ebbe spazio per capovolgersi e tornare all'assetto normale. Diede uno sguardo a Nova, il cui volto gli apparve ammantato d'un livido pallore. Si sarebbe sentito anche lui allo stesso modo, se ne avesse avuto il tempo, ma c'era quell'ala, là fuori, che gli lanciava avvertimenti sin troppo espliciti. Salì quindi lentamente a un chilometro di quota, costretto ben tre volte a ridurre potenza per smorzare le violente vibrazioni che prendevano a scuotere l'ala sinistra. Il piccolo aereo dava l'impressione di un'auto che procedesse a scossoni lungo una strada dissestata. Gettò un'altra occhiata all'ala, constatò che ormai non era più tenuta insieme che da un unico sottile montante, e spense il motore. Fluitarono in silenzio attraverso l'aria.

— Fuori! — gridò, e guardò Nova spalancare il portello dalla sua parte. Aveva dimenticato di premere il dispositivo di sgancio della cintura, quindi glielo azionò lui, le diede uno spintone, la vide tirarsi su e proiettarsi all'esterno, quindi saltò dal lato opposto, e cadde.

Contò fino a dieci — al sette incominciò a battere i denti, essendosi reso conto d'un tratto che quella era la prima volta che si paracadutava — e tirò la funicella. Il paracadute proruppe gonfiandosi, gli appioppò un vigoroso strattone, e Conal lasciò andare un respiro profondo. Si guardò attorno, scorse le due appaiate colonne di fiamme nel punto in cui le inseguitrici erano precipitate, poi individuò la corolla aranciovivo del paracadute di Nova.

Cinque su cinque, si disse.

Gea divenne paonazza, quando lo venne a sapere.

— Ha messo in pericolo il mio bambino! — ruggì, e prese a calpestare furiosamente il già sconvolto terreno su cui s'era attestato Pandemonio. Tutti i presenti ebbero il loro daffare a togliersi di mezzo alla svelta, e parecchi ci riuscirono.

— Ma con chi si crede di avere a che fare? — tuonò. — Nessun rischio, avevo detto, nessun rischio bisogna correre con quel bambino! Non ero stata chiara?

Si levarono grida di assenso. I bolexi si accalcarono più dappresso, pronti alla ripresa, arrampicandosi gli uni sugli altri come scarafaggi dentro un barattolo.

Gea levò una mano in aria e si fece silenzio, a parte il ronzio delle cineprese. Serrò la mano in un pugno grande quanto una station wagon, e un fulmine scrosciò fragorosamente giù dal cielo dispiegandosi a circonfonderla d'un nembo purpureo. Col viso contorto in una smorfia di furore, Gea trasse il braccio all'indietro simile a un lanciatore di giavellotto, e scagliò, in direzione di Mnemosine, quella che avrebbe potuto dirsi una saetta d'odio.

Lassù in alto, lungo il cavo centrale, i serbatoi del Luftmörder esplosero. Crotali e cavedani s'incendiarono, balzando qua e là nei sussulti dell'agonia finché il loro carburante non deflagrò disintegrandoli. Anche quattro bombe volanti presero fuoco. Fu una faccenda rumorosa e luminosa, d'effetto assai simile al tradizionale fuoco d'artificio giapponese noto come Mazzo di Crisantemi.

Al termine, su Gea erano rimaste soltanto nove squadre d'assalto Luftmörder.

Robin, Chris e Cirocco assistettero allo spettacolo rimanendone cautamente alla larga, ma nulla scese giù dal cavo per dar loro la caccia. Cirocco reclinò le ali all'indietro quasi rasente la fusoliera, e puntò a pieno regime verso il luogo dal quale si levava tutto quel fumo nero. Non smise un attimo di chiamare Conal, senza mai ottenere risposta.

Giunti nei pressi delle due colonne di fumo, rallentarono, incominciando a girare in cerchio. Li accomunava il terrore di scoprire che uno di quei roghi contrassegnasse le tombe di Conal e Nova.

Ma un tremolante guizzo tagliò l'aria finendo per prorompere in un fiore di luce, e tre minuti dopo, manovrando dolcemente, Cirocco prendeva terra. Non aveva ancora spento i motori che già Chris e Robin erano fuori, di corsa incontro alle due figure arrancanti fianco a fianco.

Conal era riuscito chissà come a slogarsi una caviglia. Cirocco non l'avrebbe creduto possibile, su quella sabbia soffice… ma poi si ricordò che non aveva mai trovato il tempo d'impartirgli, com'era sempre stata sua intenzione, un minimo di addestramento al lancio.

Conal procedeva aggrappandosi con un braccio alle spalle di Nova, mentre lei lo teneva stretto per la vita, e tutt'e due insieme mostravano di sapersi muovere, in quel quarto di g, più o meno con la stessa rapidità con cui avrebbe camminato una persona sola. Nova lo sopravanzava in statura di una decina di centimetri, e Conal portava stampato in faccia un sorriso sciocco; Cirocco si domandò quanto dovesse fargli male veramente, quella caviglia…

— Cirocco, hai due minuti? — disse Conal.

— Dipende. Cosa c'è? — Pensò al bambino, e rifletté che avrebbero fatto meglio a restarne abbastanza distanti, se c'era il rischio di essere attaccati nuovamente dalle bombe volanti. L'idea delle bombe la indusse ad alzare verso il cielo uno sguardo inquieto. Erano davvero un bel bersaglio, così esposti là in mezzo.

— Dentro la fusoliera della Libellula dovrebb'esserci qualcosa a cui vale la pena di dare un'occhiata. È proprio qui vicino.

— Vado a prenderlo io — si offrì Nova, e lo lasciò andare. Conal cacciò un bercio, perse l'equilibrio e cadde a sedere sulla sabbia. Rimasero a guardare Nova che correva verso il relitto della Libellula.

— Ci hanno sparato davvero — disse Conal. — Spione aveva ragione.

Descrisse loro l'attacco, raccontando in che modo aveva abbattuto una bomba, ne aveva fatte precipitare due e aveva avuto fortuna con le altre due. Cirocco gli disse a sua volta dell'esplosione avvenuta lungo il cavo, che Conal e Nova avevano scorto da grande distanza.

— Non ho la più pallida idea di che cosa possa averla provocata — ammise Cirocco. — Comunque è avvenuta nel punto in cui una volta c'era la base delle bombe volanti. E non si è trattato solamente di carburante liquido. Ha coinvolto un mucchio di esplosivi, e forse anche una certa quantità di propellente solido.

Nova fece ritorno ansimando, e mostrò loro i resti della cosa che aveva tentato di morderla.

Ricordava in parte un sigaro detonante dopo l'esplosione. Erano circa dieci centimetri di tubo vuoto e flessibile. Aveva un'estremità bruciacchiata, mentre l'altra appariva divaricata e a brandelli. Nova indicò quest'ultima.

— Qui c'era la testa — spiegò. — Doveva essere piuttosto dura, perché sbattendo sul pavimento produceva un suono metallico. Saltava qua e là come…

— Come un pesce sul fondo di una barca — concluse Conal.

— Gli occhi non ce li aveva, ma la bocca sì, e cercava in tutti i modi di addentarmi. Io l'ho calpestato, e la testa è scoppiata.

Cirocco glielo prese. Lo maneggiò guardinga, e annusò l'estremità bruciata.

— È una specie di proiettile a razzo — sentenziò infine. — Probabilmente sarebbe dovuto esplodere all'impatto. Certo che la testa doveva proprio avercela molto dura, per riuscire a sfondare lo scafo della Libellula! E poi, potendosi dimenare a quel modo, è in grado almeno un poco di autodirigersi anche dopo che è stato lanciato. — Fece una smorfia, e guardò Nova. — Hai detto che t'è scoppiato sotto un piede?

— Prima gli avevo buttato addosso un pezzo della tuta.

— Veramente non avrebbe dovuto avere abbastanza carica per farti saltare il piede a quel modo… — Sospirò, e lo gettò via. — Eppure ha scavato un buco nel pavimento. Cari miei, una bomba volante ne può portare un esercito, di questi piccoli mostri… E vi assicuro che la cosa non mi piace per niente.