…Ma rimase alquanto colpito nel suo amor proprio, tutto intento com'era a gloriarsi di tanta nobiltà, allorché, improvvisamente e inesplicabilmente, si rese conto a disagio d'essere divenuto pienamente consapevole della presenza di Robin, come donna.
Be', pensò, era tutta colpa sua. Non avrebbe dovuto tirare in ballo quell'argomento.
Raggiunsero sciaguattando la riva, e si asciugarono coi soffici teli bianchi che avevano portato da Tuxedo Junction. Conal continuò a lanciarle occhiate furtive. Robin sedette sopra una grande roccia levigata e si asciugò accuratamente in mezzo alle dita dei piedi, meticolosa come un gatto.
Non dimostrava certo quarant'anni. Diciamo piuttosto… sulla trentina, valutò Conal, ma iniziata da poco. Comunque l'età è una cosa strana. Si può avere ventott'anni ed essere un aggeggio pallido, goffo e trasandato. Oppure averne cinquantacinque, ma con un addome sodo e piatto, e il colorito vivo della salute e le rughe del sorriso attorno agli occhi.
Prendiamo i suoi capelli. Rasati alti e con effetto innaturale attorno a un orecchio, quello che stava al centro del bizzarro disegno pentagonale. A vederli la prima volta facevano decisamente un brutto effetto, ma poi, col passare del tempo, si finiva in un modo o nell'altro per trovarli adatti a lei.
Oppure i serpenti. Roba da scoraggiare l'intraprendenza di qualunque spasimante, quei serpenti avvoltolati attorno ad una gamba e un braccio, un sol groviglio corposo a festone sotto i seni e le teste protese a confrontarsi. Ma dopo averli veduti un po' di volte, divenivano semplicemente parte di Robin. Oltre ad essere, di per sé, una bella idea ben realizzata.
— Ce l'hai un testamento? — le domandò, strofinandosi energicamente i capelli.
— Un testamento? Ah, vuoi dire per quando muoio. Ma non servirebbe mica a granché, quassù. Niente leggi, niente tribunali… o qualunque altra cosa abbiano sulla Terra.
— Credo di no. Ma quando muori, quelli bisognerebbe conservarli.
Alzò la testa a sorridergli.
— Ti piacciono i serpenti, eh? Be', ti dirò, penso che non me ne importerà proprio nulla di venire scuoiata e conciata, quando sarà tutto finito. — Si alzò in piedi, e gli si mise di fronte. — Toccali, Conal.
— Ma… cosa…
— Devi solo toccarli. Per favore.
Gli porse la mano, e lui la prese.
Con esitazione, domandandosi se gli stesse giocando un qualche scherzo, sfiorò con un dito l'estremità del serpente. Le si avvolgeva tre volte attorno al mignolo, e lui seguì le spire con la punta del dito. S'ingrandiva un poco nel traversarle il dorso della mano, poi compiva altri tre giri attorno all'avambraccio. Conal percorse delicatamente l'intera traccia di quel dispiegarsi spiraliforme. Ancora tre volte intorno al braccio. Lei si volse, e Conal le passò la mano sulla spalla, quindi giù in mezzo alle scapole, poi Robin sollevò il braccio nudo, quello privo di tatuaggi, e prese a ruotare sotto il tocco della sua mano sino a ritrovarglisi di fronte, e lui continuò a tracciare il suo sentiero con la punta del dito superiormente al petto, discese tra le due mammelle, curvò al di sotto… e alla fine disserrò il palmo della mano e glielo richiuse a coppa sopra il seno. Il respiro di Robin andava, veniva, profondo e regolare.
— Adesso l'altro, disse.
Conal pose allora un ginocchio a terra e le toccò il piede. La coda del serpente nasceva dal dito più piccolo. Il disegno percorreva sinuoso la parte superiore del piede, si avviticchiava alla caviglia e s'attorceva due volte al polpaccio. Egli lo seguì accuratamente, lentamente, avvertendo, sotto la pelle perfettamente liscia, la solida e vigile presenza dei muscoli. L'altra gamba, notò, recava una peluria sottile.
Il serpente s'inturgidiva attorno alla coscia. Conal ne percorse fedelmente ogni centimetro, girandole attorno quando il tracciato s'inoltrava fuori vista. Poi lei ruotò ancora su sé stessa, e la mano di Conal le percorse il fianco, attraversò la natica, risalì su per la schiena. Robin sollevò il braccio, lui protese la mano passandovi sotto e, da dietro, la pose anch'essa a coppa sull'altro seno. La tenne lì un momento, poi la ritrasse.
Lei si volse e gli sorrise mestamente. Poi gli prese una mano, intrecciò le sue dita a quelle di lui, e camminarono fianco a fianco lungo la spiaggia. Per lunghi minuti egli si sentì singolarmente pago del silenzio che li univa. Ma quella sensazione non poteva durare all'infinito.
— Perché? — domandò infine.
— È una domanda che mi son posta anch'io. Chissà che tu non abbia trovato una risposta migliore della mia…
— È… era una specie di gioco sessuale? — E bravo Conal, si disse, sei proprio il campione della delicatezza. Forza, ragazze, portateli tutti al vecchio Conal, i vostri piccoli problemi. Ci penserà lui a pesticciarci in mezzo coi suoi bei scarponi chiodati…
— Può darsi. Ma forse è una cosa un po' più complicata. Credo che avevo solo voglia di essere toccata. Deliberatamente. Quando m'insegni a nuotare mi tocchi, sì, ma non è la stessa cosa… eppure mi mette tutta in agitazione, dal piacere che ne provo.
Conal ci pensò un poco su.
— Se ti va posso massaggiarti la schiena. Ci so fare, sai.
Gli sorrise. Aveva gli occhi lucidi di lacrime, ma non dava affatto l'impressione che stesse per mettersi a piangere. Che strano.
— Che ne dici? A me piacerebbe.
Tornò ad avvolgerli il silenzio. Conal scorse i gradini che salendo conducevano a Tuxedo Junction, e gli dispiacque che ci fossero già arrivati. Magari la spiaggia fosse stata più lunga. Gli piaceva, stringerle la mano.
— Sono stata… molto infelice, per gran parte della mia vita — disse Robin in tono sommesso. Le diede un'occhiata. Lei si guardava i piedi nudi incedere lentamente, accarezzati dalla sabbia.
— Ormai sono due anni che non faccio l'amore. Quand'ero ragazza cambiavo amante una volta alla settimana, come tutte quelle della mia età. Ma nessuna riusciva a sopportarmi a lungo. Dopo il ritorno da Gea cercai una donna con cui vivere la mia vita. Ne trovai tre, e la più paziente durò un anno. Così decisi che proprio non ero tagliata per il legame di coppia. Negli ultimi cinque anni ho fatto l'amore non perché mi sembrasse bello… anzi, mi pareva orribile, una volta finita la parte più movimentata… ma solo perché a non farlo stavo ancora peggio. Alla fine comunque ci ho rinunciato, e sono andata avanti facendo completamente a meno del sesso.
— Dev'essere… tremendo — commentò Conal.
Erano giunti ai piedi degli scalini. Conal fece l'atto d'incominciare a salire, ma Robin lo fermò tenendolo per la mano. Lui si girò.
— Tremendo? — Una lacrima le solcò la guancia, e lei se l'asciugò con la mano libera. — Non è che il sesso mi manchi poi così tanto. Quello che mi manca è qualcuno che mi tocchi, che mi stringa a sé, qualcuno da tenere fra le braccia. Non c'è più nessuno che mi tocca… da quando Adam se n'è andato.
Continuò a guardarlo a testa in su, e Conal si sentì preda di un'ansia mai più provata sin dall'epoca delle sue prime esperienze ai pesi. Non che lui fosse un tipo impacciato, con le donne, ma questa qui, e sua figlia, erano diverse, e non solo per il fatto che fossero lesbiche.
Robin gli strinse forte la mano, e allora lui pensò: ma guarda un po' che diavolo, la circondò con un braccio e chinò leggermente la testa per baciarla. Vide schiudersi le sue labbra, ma poi Robin scansò il viso e allora Conal fece per lasciarla, ma a quel punto anche lei l'aveva abbracciato, cosicché lui le appoggiò le mani sulla schiena in quello che sperò apparisse un atteggiamento paterno, e Robin prese a muovere i fianchi contro di lui, lentamente, e gli stampò sul collo l'asciutta pressione delle sue labbra. Tutto sommato, l'intera manovra possedeva il garbo che avrebbero potuto metterci due ragazzini di dieci anni intenti a pagar pegno in un gioco tra amici, ma, quando la sistemazione fu compiuta, loro due si trovarono saldamente serrati l'un contro l'altra dalle ginocchia fin su alle spalle, e Conal poté sentire le lacrime di Robin gocciolargli sul petto. Lei lo teneva stretto, e lui le strofinava dolcemente il volto sulla testa senza smettere di accarezzare in lungo e in largo, con entrambe le mani, le morbide ondulazioni della sua schiena.