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— Un trucco? In che senso?

— Un uccello non può trasformarsi in un pesce nel giro di un istante. Si tratta di un adattamento che richiede un certo tempo. — Il tenente Chu si tirò su una manica e infilò una mano nella boccia del pesce. Il pescepassero fece uno scatto, mulinando le sue pinne scintillanti. La sabbia si sollevò, oscurando l’acqua. — Il pesce-passero è uno scavatore. Quando il mio impersonatore ha infilato l’uccello nell’acqua, il pesce si trovava sepolto sotto la sabbia. Un movimento rapido, come questo — fece una dimostrazione pratica — e l’uccello viene strangolato. Poi lo si infila nella sabbia, e chiaramente il pesce si risveglia e prende a nuotare.

Appoggiò il piccolo cadavere sul tavolo. — Un trucco piuttosto semplice, una volta che lo si conosce.

Gregorian baciò la vecchia e la buttò giù dal dirupo. La donna precipitò verso l’acqua fredda e grigia a testa in giù, contorcendosi nel volo. Colpì la superficie formando un piccolo spruzzo bianco, piombando nelle profondità. Non riapparve. A una certa distanza, l’acqua venne rotta da una sagoma scura e liscia, come una lontra marina, che apparve per un attimo per poi rimmergersi.

Il burocrate spense il televisore.

L’ufficiale di raccordo del governo planetario appoggiò la schiena alla vetrata rimanendo in posizione rigida; le pieghe della sua uniforme erano crespe, imperiali, e stava fumando uno snello cigarillo di colore nero. Anche Emilie Chu era piuttosto snella, una donna minuta dal fisico agile, con occhi dall’espressione cinica e le labbra perennemente contratte in un sorrisetto di scherno. — Bergier non ne sa nulla. A quanto pare, il mio impersonatore si è dileguato. — Si accarezzò i baffetti quasi invisibili con aria solennemente divertita.

— Non possiamo essere sicuri che non si trovi ancora qui dentro — le ricordò il burocrate. Ora le vetrate erano tornate trasparenti, e in quell’aria fresca e luminosa l’incontro con il falso Chu sembrava una cosa improbabile, come il racconto di un viaggiatore. — Andiamo a far visita al comandante.

L’osservatorio di poppa era pieno di studentesse della Laserfield Academy in uniforme in gita di classe, che si scambiarono piccole gomitate e risatine mentre il burocrate seguiva Chu su per una piccola scaletta che conduceva a una botola che dava accesso all’interno della sacca di gas. La botola si chiuse, e il burocrate si ritrovò in piedi all’interno del telaio triangolare della chiglia. Era piuttosto buio fra una cella di gas e l’altra, e la sottile fila di lampadine sul soffitto serviva più a dare un’idea delle dimensioni dello spazio che non a illuminare effettivamente l’ambiente. Una donna dell’equipaggio si parò dinnanzi a loro sulla passatoia. — I passeggeri non hanno il permesso di accedere a… — Vedendo l’uniforme di Chu, si bloccò, irrigidendosi.

— Vorremmo parlare con il comandante pilota Bergier, per cortesia — disse il burocrate.

— Volete vedere il comandante? — La donna lo fissò come fosse una sfinge materializzatasi dal nulla che le stava ponendo un quesito particolarmente ostico.

— Se non è un problema… — intervenne Chu con tono pacatamente minaccioso.

La donna si girò immediatamente sui tacchi. Li condusse attraverso l’esofago dell’aereonave fino alla prua, dove si trovarono davanti a una scalinata talmente ripida che bisognava arrampicarvisi con mani e piedi, come fosse una scala a pioli, che conduceva alla cabina di pilotaggio. Sulla porta di legno scuro vi era un’incisione appena accennata che rappresentava una rosa accompagnata da una forma fallica. La donna dell’equipaggio bussò rapidamente per tre volte, quindi si aggrappò a un montante e, agile come una scimmia, scomparve fra le ombre. Si udì il rombo sommesso di una voce profonda. — Avanti.

Aprirono la porta ed entrarono.

La cabina di pilotaggio era piccola. Il parabrezza anteriore era schermato, e l’unica illuminazione era fornita dai tre schermi di navigazione accesi posti davanti al sedile di pilotaggio. L’intero luogo era impregnato di un odore di sudore e di abiti stantii. Il comandante Bergier era chinato sugli schermi, simile a una vecchia aquila. Il pallido becco del suo volto divenne improvvisamente nobile quando alzò lo sguardo, lo sguardo di un poeta barbuto tutto pelle e ossa che impende sul luminoso terreno del suo mondo. Voltandosi, i suoi occhi si fissarono su qualche tragedia distante, assai più importante per lui di qualsiasi pericolo attuale. Due occhiaie scure si incurvarono sotto i suoi occhi. — Sì? — disse.

Il tenente Chu si produsse in un affettato saluto militare, mentre il burocrate, ricordandosi giusto in tempo che tutti i comandanti di aereonave avevano incarichi paralleli per quanto riguardava la sicurezza interna, offrì le proprie credenziali. Bergier vi diede una rapida occhiata, quindi gliele riconsegnò. — Quelli come voi non sono ben visti da tutti su questo pianeta, signore — disse il comandante. — Voi ci costringete alla povertà, vivete sul nostro lavoro, sfruttate le nostre risorse e non ci ripagate con nulla se non con accondiscendenza.

Il burocrate sbatté le palpebre, stupito. Prima ancora che riuscisse a organizzare una risposta, il comandante proseguì: — Ciò nonostante, io sono un ufficiale, e farò il mio dovere. — Si infilò in bocca una pastiglia e la succhiò rumorosamente. La cabina di pilotaggio venne invasa da un odore dolciastro e nauseante. — Date pure i vostri ordini.

— Non ho alcun ordine da dare — iniziò il burocrate. — Voglio solo…

— Ecco, così parla la voce del potere. Voi ci negate la tecnologia che potrebbe trasformare Miranda in un paradiso. Controllate i processi di produzione in un modo che vi permette di svalutare la nostra economia come e quando vi pare. Noi esistiamo solo per vostro capriccio, e nella forma che più vi aggrada. Poi arrivate voi, entrate qua dentro con in mano la vostra frusta, imponendo degli ordini perentori che senz’altro preferite chiamare richieste, facendo finta che sia tutto per il nostro bene. Vi prego, signore, almeno non siate ipocrita.

— La tecnologia non ha esattamente reso la Terra un “paradiso terrestre”. O forse da queste parti non vi insegnano la storia classica?

— Un tipico sfoggio di arroganza. Voi ci negate la nostra eredità materiale, e ora siete anche arrivato fino al punto di chiedermi di ringraziarvi per questo. Ebbene, signore, io non vi ringrazierò. Ho il mio orgoglio, io. E inoltre… — Si fermò. Nell’improvviso silenzio, si poté notare che la sua testa ogni tanto aveva uno scatto, come se il comandante stesse cercando di non cadere improvvisamente addormentato. La sua bocca si aprì e si richiuse, si riaprì e si chiuse di nuovo. I suoi occhi si spostarono lentamente da un lato, alla ricerca del pensiero perduto. — E… ah. E… ah…

— L’illusionista — insistette il burocrate. — L’impersonatore del tenente Chu. Lo avete trovato o no?

Bergier si impettì di nuovo. — No, signore, non lo abbiamo trovato. Non lo abbiamo trovato perché è impossibile trovarlo. Ha abbandonato la nave.

— È impossibile. Siamo scesi a terra una sola volta, e non è sbarcato nessuno. Ero davanti al portello, ho visto.

— Questo volo è diretto verso il mare. È piuttosto vuoto. Forse su un volo diretto verso la terraferma… sì, un uomo molto agile e determinato sarebbe riuscito a sfuggirmi. Ma vi assicuro che ho controllato ogni passeggero e ordinato agli uomini dell’equipaggio di aprire tutti gli scomparti di carico e tutti gli alloggi dell’equipaggiamento del Leviathan. Sono arrivato addirittura a mandare un ingegnere con un airpack fin su alle ventole del gas. Il vostro uomo non si trova a bordo del mio velivolo.

— Mi pare quantomeno logico che avesse preparato la fuga anticipatamente. Magari aveva un aliante pieghevole nascosto da qualche parte a prua — suggerì Chu. — Non si tratta di una cosa tanto difficile, per un uomo abbastanza atletico. Può benissimo darsi che sia scappato da una finestra.