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«Povero Paul» mormorò.

«Ti ho fatto una domanda, Jessica!» La voce della vecchia era brusca, imperiosa.

«Che cosa? Oh…» Jessica, con uno sforzo, si strappò dal passato e rivolse lo sguardo alla Reverenda Madre che sedeva, appoggiando la schiena al muro di pietra, fra le due finestre che guardavano a occidente. «Che devo dirvi?»

«Che devi dirmi? Che devi dirmi?» La vecchia voce la beffeggiò crudelmente.

«Sì, ho avuto un figlio!» esplose Jessica. E sapeva che la vecchia l’aveva condotta deliberatamente allo scoppio d’ira.

«Ti era stato ordinato di generare soltanto figlie agli Atreides.»

«Significava tanto per lui…» si giustificò Jessica.

«E tu, nel tuo orgoglio, pensavi di poter generare lo Kwisatz Haderach!»

Jessica protese il mento, fieramente. «Ne avvertivo la possibilità.»

«Hai pensato soltanto al desiderio del tuo Duca di avere un maschio» le rinfacciò duramente la vecchia, «e i suoi desideri non hanno nulla a che fare con noi. Una figlia degli Atreides avrebbe potuto andare sposa a un erede degli Harkonnen e chiudere la frattura. Hai complicato le cosa in modo irreparabile. Adesso corriamo il rischio di perdere entrambe le linee genetiche.»

«Voi non siete infallibili.» Jessica affrontò lo sguardo gelido di quei vecchi occhi.

La vecchia, dopo un istante di silenzio, mormorò: «Quel che è fatto è fatto».

«Ho fatto voto di non pentirmi mai della mia decisione» ribatté Jessica.

«Molto nobile da parte tua» la canzonò la Reverenda Madre. «Niente pentimenti… Vedremo, quando sarai una fuggitiva con una taglia sulla testa, e la mano di ogni uomo sarà puntata contro di te per uccidere te e tuo figlio.»

Jessica impallidì. «Non c’è alternativa?»

«Alternativa? Una Bene Gesserit che mi chiede questo?»

«Vi chiedo soltanto quello che vedete nel futuro grazie alle vostre superiori capacità.»

«Io vedo nel futuro quello che ho visto nel passato. Tu ben conosci ciò che ti riguarda, Jessica. La razza sa di essere mortale, e teme il ristagno della sua eredità. È il flusso del sangue… l’invincibile impulso a mescolare le caratteristiche genetiche senza una pianificazione. L’Impero, la CHOAM, tutte le Grandi Case, sono soltanto fuscelli trascinati da un fiume in piena.»

«La CHOAM…» mormorò Jessica. «Suppongo che hanno già deciso come si divideranno le spoglie di Arrakis.»

«La CHOAM è solo una banderuola che si muove al soffio dei tempi in cui viviamo» replicò la vecchia. «L’Imperatore e i suoi sostenitori ora controllano il 59,65 per cento dei voti, nel direttivo della CHOAM. Sicuramente hanno visto dei profitti, e poiché altri hanno visto gli stessi profitti, la percentuale aumenterà. È la tendenza storica, ragazza.»

«È proprio quello che mi serve in questo momento» fece Jessica, «una lezione di storia…»

«Risparmiami il tuo sarcasmo, ragazza! Conosci quanto me le forze che ci circondano. La nostra civiltà si basa su tre punti fermi: la Famiglia Imperiale, in equilibrio con le Grandi Case Federate del Landsraad, e in mezzo la Gilda, col suo maledetto monopolio dei trasporti interstellari. In politica, un tripode è la più instabile delle strutture. Sarebbe già brutto, anche senza le complicazioni di una cultura commerciale feudale che osteggia praticamente qualsiasi scienza.»

Jessica ripeté amaramente: «Fuscelli trascinati da un fiume in piena… e i fuscelli in questo caso sono il Duca Leto, e suo figlio, e la sua…»

«Oh, stai zitta. Quando sei entrata a farne parte, sapevi perfettamente su quale crosta bollente t’incamminavi.»

«’Io sono una Bene Gesserit: esisto solo per servire’» citò Jessica.

«Giusto» disse la vecchia. «La nostra unica speranza, adesso, è di impedire l’eruzione di un conflitto generale, e di salvare quanto possiamo delle linee genetiche più importanti.»

Jessica chiuse gli occhi, sul punto di scoppiare in lagrime. Combatté il brivido interiore che l’assaliva, il tremito esterno, il respiro affannoso, il battito disordinato del polso, le palme madide di sudore. Poi disse: «Pagherò per il mio errore».

«E tuo figlio pagherà con te.»

«Lo proteggerò con tutte le mie forze.»

«Proteggere!» ribatté la vecchia. «Sai bene qual è il punto debole, Jessica! Se proteggerai troppo tuo figlio, non diventerà mai forte abbastanza per concretizzarsi un destino, uno qualsiasi.»

Jessica voltò le spalle alla vecchia, e sprofondò lo sguardo nelle tenebre che s’infittivano al di là della finestra. «È veramente così brutto quel pianeta, Arrakis?»

«Abbastanza brutto, ma non così brutto. La Missionaria Protettiva c’è stata e lo ha un po’ raddolcito.»

La Reverenda Madre si alzò in piedi, lisciandosi una piega sulla veste. «Chiama il ragazzo. Dovrò partire fra non molto.»

«Dovete proprio farlo?»

La voce della vecchia si raddolcì. «Jessica, ragazza mia, vorrei essere io al tuo posto e sopportare le tue sofferenze. Ma ognuna di noi deve seguire la propria strada.»

«Lo so.»

«Tu mi sei cara come una delle mie figlie, ma non posso permettere che ciò interferisca col dovere.»

«Capisco… le necessità.»

«Quello che hai fatto, Jessica, e la ragione per cui lo hai fatto, li sappiamo ambedue. Ma devo esser sincera con te, e dirti che esistono ben poche speranze che quel tuo ragazzo sia la Totalità Bene Gesserit. Non sperare troppo.»

Jessica scosse le lagrime che le si erano formate agli angoli degli occhi. Un gesto di rabbia. «Mi fate sentire di nuovo come se fossi una ragazzina che recita la prima lezione.» Si sforzò di dire la formula: «’Gli esseri umani non devono mai assoggettarsi agli animali’» un brusco singhiozzo la scosse. Continuò a bassa voce: «Mi sentivo così sola».

«Questa è appunto una delle prove» disse la vecchia. «Gli esseri umani sono quasi sempre soli. Ora, chiama il ragazzo. È stata una giornata lunga e spaventosa, per lui. Ma ha avuto il tempo di riflettere e di ricordare, e devo fargli altre domande sui sogni che ha avuto.»

Jessica annuì; si diresse verso la porta della Camera della Meditazione e l’aprì. «Paul, per favore, vieni.»

Paul si affacciò con lentezza ostinata. Fissò sua madre come se fosse stata un’estranea. I suoi occhi si rivolsero alla Reverenda Madre con circospezione, ma questa volta accennò con il capo: il cenno che si concede a uno dello stesso rango. Sentì che la madre gli chiudeva la porta alle spalle.

«Giovanotto» disse la vecchia, «torniamo adesso a quella faccenda dei sogni.»

«Cosa volete sapere?» domandò Paul.

«Sogni ogni notte?»

«Sogni che non val la pena ricordare. Posso ricordare tutti i sogni, ma alcuni vale la pena ricordarli, altri no.»

«Come sai la differenza?»

«La so, e basta.»

La vecchia lanciò un’occhiata a Jessica, poi ritornò a Paul. «Che cosa hai sognato la scorsa notte? Vale la pena ricordarlo?»

«Sì.» Paul chiuse gli occhi. «Ho sognato una caverna… e dell’acqua… e una ragazza che era lì… molto magra, con grandi occhi. Occhi azzurri, nessuna traccia di bianco. Le ho parlato di voi, le ho detto che ho visto la Reverenda Madre su Caladan» Paul aprì gli occhi.

«E quello che hai detto di me alla ragazza, è forse accaduto oggi?»

Paul rifletté sulla domanda, poi rispose: «Sì. Ho detto alla ragazza che voi siete venuta, e che avete impresso su di me il marchio della diversità».

«Il marchio della diversità» bisbigliò la vecchia, e lanciò un’altra occhiata a Jessica. Poi si concentrò nuovamente su Paul. «Dimmi la verità, adesso, Paul. Sogni molto spesso cose che accadono nell’identico modo in cui le hai sognate?»