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Jessica sfilò la lama dal fodero. Come lampeggiava! La puntò contro Mapes, vide nei suoi occhi un terrore più grande della morte.

La punta è avvelenata? si chiese Jessica. Alzò la lama e tracciò una linea sottile col fianco della lama sul seno sinistro di Mapes. Uscì qualche goccia di sangue che subito si arrestò. Coagulazione ultrarapida, pensò Jessica. Una mutazione per conservare l’umidità del corpo?

Infilò nuovamente la lama nel fodero e disse: «Riallacciati il vestito, Mapes».

Mapes ubbidì, tremando. I suoi occhi privi di bianco fissavano Jessica. «Voi siete dei nostri» mormorò. «Voi siete l’Unica.»

Si udì nuovamente, fuori, lo scaricarsi di un’altra montagna di pacchi. Mapes afferrò il coltello inguainato e lo nascose nel corpetto di Jessica. «Chiunque veda il coltello dev’essere purificato o ucciso!» sibilò, in tono di vago rimprovero. «Ma voi certamente lo sapete, mia Signora.»

Lo vengo a sapere ora, pensò Jessica.

Gli scaricatori se ne andarono senza passare per la Grande Sala.

Mapes si ricompose, e disse: «Ma chi è impuro e ha visto un cryss non può lasciar vivo Arrakis. Non lo dimenticate mai, mia Signora. Vi è stato affidato un cryss.» Respirò profondamente. «Ora le cose devono seguire il loro corso. Impossibile affrettarle.» Lasciò scivolare lo sguardo sugli enormi cumuli di merci ammucchiate tutto intorno. «E qui c’è molto lavoro per passare il tempo.»

Jessica esitò. «Le cose devono seguire il loro corso.» Una tipica frase che proveniva direttamente dagli incantesimi della Missionaria Protectiva. «La Reverenda Madre verrà a liberarvi.»

Ma io non sono una Reverenda Madre, pensò Jessica. E poi: Grande Madre! Questo mondo dev’essere orribile perché vi abbiano instillato questo!

Con voce tranquilla, Mapes disse: «Qual è la prima cosa che debbo fare, mia Signora?»

L’istinto spinse Jessica a rispondere con lo stesso tono tranquillo. «Quel ritratto del Vecchio Duca… dev’essere appeso su un lato della sala da pranzo. E la testa del toro sul lato opposto.»

Mapes si avvicinò alla testa di toro. «Doveva essere una bestia enorme per avere una testa così grossa» si chinò a osservarla. «Dovrò ripulirla prima di appenderla, mia Signora?»

«No.»

«Ma le corna sono incrostate di sudiciume.»

«Non è sudiciume, Mapes. È sangue del Vecchio Duca. Quelle corna sono state spruzzate con un fissativo trasparente, poche ore dopo che il toro lo uccise.»

Mapes si rizzò di scatto. «Oh…?»

«È soltanto sangue» spiegò Jessica. «Sangue antico. Cerca qualcuno che ti aiuti ad appenderli. Questi oggetti sono molto pesanti.»

«Credete che un po’ di sangue mi faccia impressione?» chiese Mapes. «Io vengo dal deserto, e ho visto sangue in abbondanza.»

«Ne sono convinta» disse Jessica.

«E a volte, era il mio sangue. Molto più sangue di quanto ne abbia sparso il vostro piccolo graffio.»

«Avresti voluto che incidessi più a fondo?»

«Oh, no! L’acqua del corpo è già poca, e non c’è bisogno di sprecarla spargendola all’aria. Voi avete agito correttamente.»

Al di là di queste parole, e del modo in cui erano state dette, Jessica ne afferrò le profonde implicazioni. L’acqua del corpo. Nuovamente si sentì oppressa dall’importanza dell’acqua su Arrakis.

«Su quale parete della sala da pranzo devo appendere queste ricchezze, mia Signora?» chiese Mapes.

Sempre pratica, questa Mapes. «Mi fido del tuo giudizio, Mapes» disse Jessica. «Non ha molta importanza.»

«Come voi desiderate, mia Signora.» Mapes si curvò e cominciò a liberare la testa di toro dall’imballaggio. «E così, hai ucciso un Vecchio Duca?» borbottò sottovoce.

«Devo chiamare un facchino per aiutarti?» chiese Jessica.

«Posso farcela da sola, mia Signora.»

Sì, ce la farai, disse Jessica tra sé. Voi Fremen avete la volontà di farcela!

Percepì il gelido contatto del cryss, nel corsetto, e pensò alla lunga catena d’intrighi del Bene Gesserit e al nuovo anello che era stato appena forgiato in quel luogo. E proprio quegli intrighi l’avevano salvata da una crisi mortale. Impossibile affrettarle aveva detto Mapes. E tuttavia questi luoghi erano dominati da un crescendo che riempiva Jessica di paura. Tutti gli intrighi della Missionaria Protectiva, tutte le sospettose perquisizioni eseguite da Hawat in quel mostruoso cumulo di pietre a forma di castello, non riuscivano a cancellare i suoi foschi presagi.

«Quando avrai finito di appendere queste cose, comincia a disfare i bauli» disse ancora. «Uno degli scaricatori è all’ingresso principale con tutte le chiavi, e ti dirà dove mettere ogni cosa. Fatti dare da lui le chiavi e la lista. Se hai qualcosa da chiedermi, sono nell’ala sud.»

«Come voi desiderate, mia Signora.»

Jessica si allontanò, pensando: Hawat avrà giudicato sicura la Residenza, ma c’è qualcosa di storto in questo posto, lo sento.

Sentì l’urgente bisogno di vedere suo figlio. S’incamminò verso la grande porta a volta che si apriva sul passaggio per la sala da pranzo e gli appartamenti privati. Camminò sempre più in fretta. Alla fine quasi correva.

Dietro di lei, Mapes smise per un attimo di svolgere dagli imballaggi la testa di toro, e fissò la schiena di Jessica che si allontanava. «È l’Unica, non c’è dubbio» mormorò. «Poveretta.»

«Yueh! Yueh! Yueh!» dice il ritornello. «Mille morti non sarebbero abbastanza per Yueh!»

dalla «Storia di Muad’Dib per bambini», della Principessa Irulan

La porta era socchiusa, e Jessica l’aprì entrando in una stanza dalle pareti gialle. Alla sua sinistra, un basso divano di pelle nera, due scaffali vuoti e una fiasca per l’acqua, dai fianchi tondeggianti, che pendeva vuota e polverosa. Alla sua destra, altri scaffali vuoti intorno a un’altra porta, una scrivania venuta da Caladan e tre sedie. Alla finestra, proprio davanti a lei, il dottor Yueh: le voltava la schiena e tutta la sua attenzione era rivolta al mondo esterno.

Jessica avanzò di un altro passo, in silenzio.

Vide che il mantello del dottore era spiegazzato, e che c’erano delle chiazze bianche all’altezza del gomito sinistro, come se si fosse appoggiato sul gesso. Visto così, di schiena, sembrava uno scheletro privo di carne, avvolto in una veste nera troppo larga per lui; una marionetta che aspettava a muoversi quando il burattinaio avrebbe tirato i fili. Solo la testa sembrava viva, con lunghi capelli, chiusi nell’anello d’argento della Scuola Suk, che gli scendevano sulla spalla e si muovevano leggermente quando si spostava per seguire qualche movimento là fuori.

Jessica esplorò nuovamente la stanza con lo sguardo, ma non vide traccia del figlio. Sapeva però che la porta chiusa, alla sua destra, conduceva alla stanza più piccola che Paul aveva preferito.

«Buona sera, dottor Yueh» disse. «Dov’è Paul?»

Il dottore mosse la testa come se si stesse rivolgendo a qualcuno, là fuori, e parlò con voce assente, senza voltarsi: «Tuo figlio era stanco, Jessica. L’ho mandato a riposarsi nell’altra stanza».

Poi s’irrigidì bruscamente, si girò di scatto e i baffi gli ricaddero sulle labbra purpuree. «Perdonatemi, mia Signora! I miei pensieri erano lontani da qui… io… non intendevo parlarvi così familiarmente.»